L’amico Guidorodolfo mi perdonerà (o forse no...), ma all'esito di una stagione che ha visto la impietosa debacle delle squadre guidate dai visionari, dai dogmatici, dai giochisti (chiamateli un po' come volete), da allenatori, insomma, che fanno del possesso palla e del fraseggio prolungato il proprio mantra, ergendosi (o comunque venendo eretti) a guru del calcio, non c'è niente di più appagante, - per chi come me sposa invece l'inversa tendenza - che poter suggellare il trionfo del teorema di Max, così riassunto dal livornese con una delle sue tante chiose: "Nel calcio sono diventati tutti filosofi!".

Da Guardiola a Sarri, passando per Pochettino e Setien, abbiamo assistito alla definitiva implosione calcistica della maniacale applicazione geometrica alla impostazione del gioco, con linee del campo e posizione degli uomini studiate con droni e pc multimediali, numero pre-determinato di tocchi di palla consentiti a ciascun giocatore, movimenti meccanici in avanti, indietro, lateralmente e obliquamente. Con buona pace del calcolo delle variabili di campo (la palla che prende uno strano effetto, la zolla del terreno, un rimpallo malandrino) o, più semplicemente, dell'avversario, che quelle mosse ripetitive e immutabili ha ormai imparato a decifrarle, prendendo le dovute contromosse, cui però compagini troppo impostate e pre-confezionate non sono a loro volta più in grado di controbattere efficacemente. E così capita che, al netto delle terapeutiche stoccate vincenti dei singoli, le squadre iper-organizzate prendano scoppole a destra e manca, infilzate da azioni ficcanti in contropiedi armati ad arte da difese e centrocampi granitici e compatti, che fanno della densità e delle ripartenze repentine frecce micidiali all'arco di chi le scocca.

"Il calcio è un gioco stupido per persone intelligenti" dice sempre qualcuno tacciato di non gioco (ahhhh, beata ignoranza), eppure, chissà poi perché, lo si vuole rendere ad ogni costo complicato, quasi sofisticato, cosi perdendo di vista la sua vera essenza: arrivare in porta dritti come fusi (cito ancora testualmente), partendo da una buona organizzazione difensiva e affidandosi da metà campo in su all'estro dei campioni, senza scimmiottare l'altrui calcio astratto, quello possibile ammirare (che non significa poter imitare) solo in specifici contesti, dettati da più circostanze concomitanti, non ripetibile in condizioni e ambienti diversi. La verità è che il calcio è praticità, duttilità, capacità di adattamento alle diverse situazioni in campo; ma soprattutto il calcio è dei calciatori e della loro attitudine a capitalizzare le proprie caratteristiche, mettendole al servizio dei compagni e così creando una sinergia che si chiama squadra.

Viva il calcio semplice dunque, quello in cui non serve prendere centinaia di appunti (...), impostare algoritmi, congiungere ascisse e ordinate per individuare schemi e posizioni, viva il calcio che si fa giocando e non si gioca facendo, perché è la palla che rotola a dettare ritmi e sono le gambe e il cuore dei giocatori a determinare i risultati. L'allenatore deve essere una guida, un gestore di risorse tecniche, atletiche e umane, deve essere in grado di condividere principi non imporre idee. E in un'epoca in cui sempre più il fisico e il dinamismo vincono sulla tecnica fine a se stessa, sarebbe davvero il caso che lo spettacolo dei giocolieri lo lasciassimo al circo!