“Luci a San Siro di quella sera, che c'è di strano siamo stati tutti là, ricordi il gioco dentro la nebbia, tu ti nascondi e se ti trovo ti amo là. Ma stai barando, tu stai gridando, così non vale è troppo facile così, trovarti, amarti, giocare il tempo sull'erba morta con il freddo che fa qui”

Queste parole sono una parte, la seconda strofa di una delle più belle canzoni italiane, una delle tante dedicate a Milano e ad un grande amore giovanile vissuto e rimpianto, a serate fantastiche passate annusando il prato della Scala del calcio, della Cattedrale del calcio, della Storia del calcio: dello stadio Giuseppe Meazza in San Siro.
Uno dei miei ricordi più cari di quando ero bambino riguarda il 23 settembre 1984, non avevo ancora compiuto dieci anni, e mio padre, accanito tifoso milanista, mi portò, insieme ad un gruppo di suoi amici in mezzo ai quali ero cresciuto, a vedere dal vivo la squadra di cui mi ero innamorato qualche anno prima quando un suo socio di lavoro mi regalò la maglietta neroazzurra numero 10 di Evaristo Beccalossi. Quel giorno l’Inter batté 2 a 1 l’Avellino con goal di Altobelli e Pasinato, ma la cosa più emozionante fu veder giocare il due volte pallone d’oro e campione d’Europa con il Bayern Monaco e la nazionale tedesca dell’ovest Karl Heinz Rummenigge. Quel giorno mio papà mi fece uno dei regali più belli ed indimenticabili portandomi a San Siro.

A dire il vero mio papà in quegli anni provò a cucirmi addosso il suo amato rossonero portandomi nel ritiro estivo del Milan facendomi fotografare con Buriani e Novellino e facendomi fare la mia prima visita a San Siro seduto ai distinti sud (quelli notoriamente ospitanti i tifosi milanisti), ma nulla riuscì a farmi cambiare idea, la mia squadra del cuore era e sarà sempre l’Inter.
Altro ricordo legato al calcio e a San Siro stampato nella mia mente è il 16 ottobre 1988, prima partita in casa di campionato dell’Inter guidata da Giovanni Trapattoni al terzo anno sulla panchina dei Bauscia.
Il mercato estivo di quell’anno era stato entusiasmante (per noi interisti sulla carta lo è sempre, è il nostro marchio di fabbrica): Alessandro Bianchi dal Cesena, Nicola Berti e Ramon Diaz dalla Fiorentina, Andreas Brehme e soprattutto Lothar Matthaus dal Bayern Monaco. Con Zenga, Bergomi, Ferri e Serena già in rosa uno squadrone pronto a contendere lo scudetto al Milan degli olandesi, al Napoli di Maradona e alla Sampdoria di Vialli e Mancini.

Iniziò la partita e il Pisa, avversario di quella prima giornata, andò in vantaggio con l’ex neroazzurro Bernazzani, che circa trent’anni dopo vincerà un campionato Primavera allenando i giovani dell’Inter.
Passarono pochi minuti e ci pensò a rimettere tutto in parità Andy Brehme, terzino sinistro con entrambi i piedi da fuoriclasse di centrocampo. Poi Diaz, poi Serena ed in fine Matthaus: 4 a 1 per Noi, un trionfo che fece subito capire che quella sarebbe stata un’annata trionfale.

Come dimenticare la rimonta con l’Aston Villa, il 3 a 0 firmato Klinsmann, Berti, Bianchi dopo aver perso 2 a 0 all’andata al Villa Park di Birningham? E nell’anno del Triplete la leggendaria notte del 3 a 1 al Barcellona più forte di sempre? Impossibile dimenticare.
Quanti ricordi, quante ore in coda in tangenziale io che vengo da un paesino della provincia di Pavia distante una settantina di chilometri da San Siro.

Gli ingressi due ore prima quando andavo in Curva Nord, i panini con la salsiccia dal calabrese, le birre bevute nei bicchieri di plastica, le tante sigarette stupidamente fumate per la tensione, per quell’immancabile assenza di tranquillità ad ogni finale di partita quando si sposa la fede neroazzurra.
Le sensazioni più belle le ho forse vissute nei sette anni in cui abitavo a Milano e andavo a San Siro in metropolitana con fermata Ippodromo.
Mi fermavo all’Ippodromo volutamente, mi piaceva fare quel pezzo di strada dove lo stadio rimane un po’ nascosto e più ti avvicini e più senti il canto dei ragazzi della Nord già presenti sugli spalti.
In quei pochi minuti di camminata era come se un’energia speciale mi avvolgesse, come se le anime dei grandi giocatori come per esempio Meazza e Facchetti fossero lì presenti e mi accompagnassero festosamente all’interno di quella che fu la loro casa.
Io abitualmente non rido molto ma in quegli attimi sorridevo come non facevo e non faccio mai, felice di vivere quel momento speciale, contento di vedere migliaia di ragazzi, ragazze, uomini, donne, bambini e bambine sventolare bandiere, cantare inni, saltellare senza sentire la fatica di una vita magari piena di problemi e scarna di gioie.
San Siro non è uno stadio, San Siro è lo stadio! San Siro è un monumento, San Siro è come il Colosseo di Roma, come il Battistero di Firenze, come la Torre di Pisa. Lì dentro hanno giocato i più grandi sempre. Inter e Milan in quello stadio hanno vinto 38 scudetti, 10 coppe dei Campioni, 2 coppe delle Coppe, 3 coppe UEFA

Voi demolireste, abbandonereste il Colosseo o la Torre di Pisa? Voi brucereste gli Uffizi e tutti i quadri, tutte le opere d’arte al loro interno?
Tutti gli appassionati di calcio, non solo interisti e milanisti hanno almeno un ricordo indelebile legato a San Siro: un trofeo visto alzare dal proprio capitano, un goal da cineteca, un bacio dato alla ragazza amata, un abbraccio con gli amici di sempre.
San Siro fa parte della nostra vita, della nostra storia, ce lo invidiano tutti e noi italiani come spesso facciamo invece di valorizzare un bene lo distruggiamo.

Roberto Vecchioni, compagno di caserma di mio papà durante l’anno di leva militare e grande tifoso interista, concluse il testo della meravigliosa canzone da me citata all’inizio con queste parole malinconiche che purtroppo in qualche modo prevedevano il futuro diventato oggi presente: “Milano mia portami via, fa tanto freddo e schifo e non ne posso più, facciamo un cambio prenditi pure quel po' di soldi, quel po' di celebrità. Ma dammi indietro la mia seicento, i miei vent'anni ed una ragazza che tu sai, Milano scusa stavo scherzando, luci a San Siro non ne accenderanno più”

Eh sì, purtroppo luci a San Siro non ne accenderanno più.