Anche Ibrahimovic ha lasciato il calcio giocato e lo ha fatto dimostrando un lato umano forse mai svelato nei vent’anni di carriera professionistica nei quali ha vestito alcune tra le maglie più importanti al mondo, anni in cui si è reso protagonista di giocate sublimi, di un esagerato apprezzamento di se stesso e delle proprie capacità, di vittorie nazionali esaltanti e di sconfitte internazionali umilianti (Inter – Barcellona, semifinale di Champions del 2010 in primis).

Zlatan le ha provate tutte per dimostrare al mondo di essere “Dio in terra”, ha tentato qualsiasi cosa, sportivamente parlando, per dimostrare di essere realmente un’entità superiore, di non essere afflitto da una manifestazione psicopatologica chiamata megalomania, ma purtroppo non ci è riuscito benissimo: il suo progetto è fallito ovunque, e non in posti qualunque.

Ha giocato nella Juve di Buffon, Zambrotta, Cannavaro, Emerson, Vieira, Del Piero…, nell’Inter di Julio Cesar, Maicon, Samuel, Zanetti, Cambiasso, Stankovic, Adriano…, nel Milan di Nesta, Thiago silva, Gattuso, Pirlo, Boateng, Van Bommel, Ronaldinho, Robinho, Pato…, nel Bercellona di Piqué, Dani Alves, Xavi, Iniesta, Messi..., nel Paris Saint Germain dei ricchi qatarioti…nel Manchester United… e non ha mai vinto un trofeo europeo (quando lo United ha vinto l’Europa League lui era rotto).

Ieri, a fine partita, ha pianto, ha tolto la maschera da super uomo, ha ringraziato i tifosi milanisti per averlo reso felice, per averlo fatto sentire amato, ha promesso in cambio amore eterno.
Ha fatto quasi tenerezza anche a quelli come me che non hanno mai sopportato il suo modo di essere, quel suo voler a tutti i costi sfidare chiunque, quel suo autodefinirsi una divinità.
Ieri sera sembrava esser diventato improvvisamente debole, disarmato, impaurito, in cerca di una mano, di un aiuto. Ora dovrà dimostrare agli abitanti del Pianeta Terra che non è solo muscoli e parole forti di autocelebrazione, ma che è anche un cervello pensante, perché la vita non finisce a quarant’anni su un prato verde, la sua vita, glielo auguro con tutto il cuore, sarà ancora molto lunga e da oggi i pettorali scolpiti serviranno a ben poco.

Ibrahimovic a mio parere è sempre stato un uomo in cerca di riscatto, una persona alla quale è sempre pesato quel ghetto di Malmoe dove è cresciuto e dove ha vissuto infanzia e prima adolescenza tra povertà, risse e furti. Ibrahimovic è un essere umano bisognoso di gloria per poter dire “non sono quello che tutti voi pensate”.

Zlatan è stato un ottimo giocatore, un campione, un grandissimo dominante con i deboli e un dominato con i forti. Non è Meazza, non è Di Stefano, non è Pelè, non è Cruijff, non è Maradona, non è Messi, non è vicino a nessuno di questi fuoriclasse immensi che hanno scritto la storia del football. Zlatan è umano.