“Seconda stella a destra, questo è il cammino, e poi dritto fino al mattino”. Recitava così l’incipit di una famosissima canzone di Edoardo Bennato, artista in grado di colpire in modo profondo l’io erotico di ciascun individuo. Un brano, quello del maestro dei cartoni animati, in grado di indirizzare anche il più freddo ascoltatore verso un mondo astrale, privo di problemi e ipocrisia e ambientato nella pace più estrema, nel mondo dei sogni e dei cavalieri, ma soprattutto nella bontà d’animo, quell’aspetto ricoperto da ogni bambino che deve ancora crescere per capire la falsità che si cela sotto al concetto di mondo.
La chiamavano "l’isola che non c’è", quel tratto di terra che non poteva essere raggiunto con la materialità delle cose, ma con passione e amore, appesi al filo dell’amicizia e alle note della musica, armonia che differenzia l’essere umano dagli animali. Per quanto il tempo reciti la sua parte e conduca ad una visione più ristretta della realtà, mi è capitato per qualche istante di tornare bambino anche perché, come diceva il famoso attore britannico John Irons, abbiamo tutti le nostre macchine del tempo che sono in grado di portarci indietro ad assaporare il passato, alla ricerca dei ricordi più ameni.

Compio questo viaggio ripercorrendo il mio trascorso scolastico e soffermandomi sul periodo più bello in assoluto, i tre anni della scuola media. Un’epoca trascorsa sotto il lume della spensieratezza, caldeggiata da compagni di classe e professori troppo importanti da poter essere descritti; ricordo le risate nei corridoi durante il celebre intervallo, le confidenze degli amici più cari e gli insegnamenti trasmessi durante le ore di lezione, perché giorno dopo giorno si avvicinava l’ombra delle scuole superiori, entità nascoste che forse per la loro denominazione spaventava non poco il nostro futuro percorso educativo. Lo sfondo comico assottigliato alla nostra visione del mondo veniva però ricoperto dalla musica, deliziosa armonia in grado di farti precipitare in un mondo assai particolare, ricco di note e di figure invidiabili con un microfono in mano, davanti ad una folla animata dalla passione e dal testo del brano. Ricorderò sempre il mio professore di musica, un uomo dalla battuta pronta in grado di far scaricare le tensioni della vita mondana con un po’ di buon senso, decisamente il professore che tutti vorrebbero avere perché nelle fredde mattinate invernali i sessanta minuti trascorsi in sua compagnia presentavano una calorosa dose di umorismo, difficile da dimenticare. E proprio dal suo ingegno nacque lo spettacolo di fine percorso, un’esibizione teatrale basata sul mondo delle favole, identificato nella figura degli eroi e nella concettualizzazione della famosa isola che non c’è, argomento che ancora oggi viene ricoperto da incertezza e curiosità. Ricordo la serata del nostro show, popolata dal panico dei balli di gruppo davanti ai nostri professori che un mese più tardi ci avrebbero risentito la tesina d’esame per salutarci al meglio e inviarci al futuro ostacolo da superare. Tutto passò come se nulla fosse, tra gli applausi delle prime file e l’esaltazione di chi si trovava quasi fuori dall’impianto teatrale per il caos che imperversava davanti ai nostri occhi; un momento unico, caratterizzato anche dall’interpretazione del brano di Edoardo Bennato, pezzo musicale che cantato dal palco assieme a tutti i miei amici mi ha aiutato ad apprezzare ancora di più le note del maestro napoletano.

Ritornando ai giorni nostri e riflettendo sul mondo calcistico mi chiedo: esiste davvero un’isola che non c’è, un mondo dove lo sport domina l’ipocrisia con amicizia e onestà?  Un quesito del genere merita una risposta secca, basata sulla conoscenza del mondo del pallone e animata dalle più astute sfaccettature che intercorrono tra un campionato e l’altro. Come ormai ritengo da troppo tempo, il concetto astrale e fiabesco della famosa isola di Peter Pan si identifica nella Premier League, massimo campionato inglese e fonte di spettacolo puro. La parola chiave della mentalità britannica, a differenza della nostra, è equilibrio; chi ama godersi lo show e immedesimarsi nei volti della Premier capirà benissimo che in Inghilterra ogni partita è combattuta e presenta sia la sfida dei protagonisti in campo sia quella tra le coreografie e la voglia di tifo dei sostenitori. È impossibile non fermarsi a pensare a due impianti sacri come Old Trafford ed Anfield Road; i due stadi, situati a pochi km di distanza vista la vicinanza tra Manchester e Liverpool si identificano nel concetto di sogno. Da una parte, i Red Devils trovano la voglia di sognare con il nickname “The Theatre of Dreams”, dall’altra la corazzata dei guerrieri cresciuta con la musica e con lo stadio che canta "You’ll never walk alone", canzone che si sviluppa con una sincronia orchestrale da urlo. Insomma, due ambienti caldi e animati dalla passione per qualunque sfida.

E proprio la brama di competizione va a racchiudere quel concetto di equilibrio tipico della mentalità britannica. Ogni gara è una battaglia, ventidue uomini che corrono dietro ad un pallone con foga agonistica e voglia di vittoria. In Inghilterra il fascino dello sport è ricreare all’interno dell’arena la mentalità del popolo, dotato di un forte senso di sportività e pulizia, come è testimoniato dall’ordine degli steward in ogni settore dello stadio.

Cambiamenti strutturali e mode diverse dalla nostra Serie A. Un esempio su tutti: l’importanza che viene data alla Fa Cup, equivalente della nostra Coppa Italia. Il valore della Fa cup rispecchia il mix di generazioni cresciute con una palla sui piedi anche perché la coppa nazionale inglese permette al più debole la possibilità di ospitare il più forte nel suo stadio, spesso piccolo e non abituato ad intrattenere top player di alta levatura. Un modo per dare semplici possibilità davanti ad un discreto colpo d’occhio del pubblico, sempre amante di queste iniziative; e proprio la curiosità del caso presenta squadre di Premier League che si sono viste eliminare da club di seconda o addirittura terza categoria.  

Come affermava il grande Tito Stagno, in un mondo che ormai si sta identificando nella paura di sognare viene sempre di meno il coraggio di osare, di spingersi verso altri confini e anche il calcio, fatto di tattiche e turbolenze interiori, si sta appiattendo sempre più alla monotonia totale e ad insulti inguardabili dei quali faremmo volentieri anche a meno.
Se dovessi spiegare ad un bambino dove si trova l’isola che non c’è, probabilmente dovrei temporeggiare un attimo. Poi, se il calcio è la sua passione, potrei avvicinarla all’Inghilterra, anche se tutto ruota attorno al sogno e all’immaginazione di un mondo migliore.

 Seconda stella a destra questo è il cammino e poi dritto fino al mattino, non ti puoi sbagliare perché, poi la strada la trovi da te…