Ieri sera, mentre guardavo gli sguardi affranti dei tifosi dei Rangers di Glasgow, mi chiedevo se tutto quello che era appena successo fosse giusto, se i calci di rigore siano più umani del lancio di una monetina.

Facciamo un passo indietro. Nel 1968 due partite di football di straordinaria importanza furono decise, dopo la parità nei 90 minuti e nei supplementari, dal lancio della monetina, forse il più ingiusto, oserei dire il più incivile tra i metodi di assegnazione di una vittoria. I match a cui mi riferisco sono la semifinale degli Europei Italia-Russia (il fato ci fu amico) e uno dei quarti di finali delle Olimpiadi di Città del Messico che decretarono l’uscita dai giochi di Israele.
Due eventi di enorme importanza sportiva decisi dal testa o croce, dal pari o dispari, portarono UEFA, FIFA e CIO alla decisione di cambiare il regolamento, di introdurre al posto della mera fortuna qualcosa che potesse essere in qualche modo uno strumento di decisione più giusto, più sportivo: i calci di rigore… fu così che nel 1976 la Cecoslovacchia diventò campione d’Europa con il decisivo tiro dal dischetto di Panenka.
In questi ultimi cinquant’anni noi italiani abbiamo vissuto diverse emozioni legate ai calci di rigore, abbiamo da tifosi di club gioito e pianto, da tifosi della nazionale, da italiani abbiamo urlato sì al cielo e no con gli occhi chiusi e la testa contro un muro.

Finali di coppe europee, finali di Europei e Mondiali, partite incredibili come Milan-Liverpool del 2005, partite noiose come Italia-Brasile del 1994, partite nervose come Inter-Schalke del 1997, partite come queste tre perse, partite come Italia-Inghilterra dell’anno scorso vinte.

Il punto è, chi vince ai rigori vince veramente? Chi perde ha il dovere di accettare la sconfitta, di riconoscere la vittoria dell’avversario? Un calcio di rigore tirato da un essere umano stremato psico-fisicamente dopo 120 minuti di corsa, di lotta, è più giusto di una monetina lanciata e lasciata cadere da un arbitro?
Io sono per la ripetizione della partita, per il gioco vero, per i goal nati da un dribbling, per le vittorie magari nate dalla papera di un portiere, per quelle emozioni giuste che dà un’azione e che non dà un rigore.
E’ un po’ come se nel basket ad un certo punto della partita si decidesse di farla terminare decidendo la squadra vincitrice attraverso i tiri liberi, o come se nel tennis e nella pallavolo lo si facesse con i servizi. No signori, negli altri sport si va avanti, punto a punto, minuto dopo minuto, fino a quando qualcuno non mette avanti la testa.
Buttiamo le monetine, buttiamo i rigori, rifacciamo le partite, diamo dignità, giustizia ad una sconfitta. Facciamolo per chi gioca e per chi tifa.

Concludo raccontandovi una cosa. Trentacinque anni fa, in quinta elementare, la mia classe vinse il torneo della scuola ai rigori, l’ultimo a tirarlo fui io. Ricordo ancora quel giorno, ricordo ancora di averlo calciato di collo interno sinistro, a mezza altezza, alla sinistra del portiere. Fu un giorno di festa, avevamo battuto il più forte del paese. Le vittorie sono tutte belle, le sconfitte no.
L’ingiustizia dei calci di rigore… quando a sbagliarli sono gli altri.