“Il calcio è un gioco di squadra, i dieci compagni che coprono il campo con la tua stessa maglia, condizionano la tua prestazione e il risultato finale del match, e tu allo stesso modo condizioni le loro prestazioni e contribuisci, nel bene e nel male, al raggiungimento dell’obiettivo”.
Queste sono le parole che andrebbero dette a tutti i bambini del mondo per insegnargli il significato di team, di gruppo, di alleanza, per responsabilizzarli verso sé stessi e verso gli altri, per non farli sentire inutilmente sempre in colpa per gli insuccessi in qualsiasi ambito della vita.

Lautaro Javier Martinez, da Bahia Bianca (città argentina al confine tra la Pampa e la Patagonia), quando è approdato all’Inter a metà del 2018 era poco più di un bambino, non aveva ancora compiuto ventuno anni e fino a quel momento contava solo quarantotto presenze nel Racing Club de Avellaneda.
Ora, cinque anni dopo, è diventato padre, ha vinto uno scudetto, due coppe Italia e due Supercoppe italiane, oltre ad aver disputato con la stessa maglia una finale di Europa League, seconda manifestazione europea per club per importanza.
Lautaro Martinez, ad oggi in cinque anni in Italia, ha segnato 79 goal in campionato, 10 nelle coppe nazionali e 13 in quelle europee: totale 102 goal.
Niente male per un attaccante, niente male per un ragazzo che festeggerà i 26 anni il prossimo 22 agosto.
Mauro Icardi, precedente numero 9 nerazzurro, anch’egli arrivato giovanissimo all’Inter (vent’anni), in sei anni di militanza siglò 124 reti, venendo così considerato il bomber per antonomasia.

A questo punto qualcuno potrebbe dire: “Icardi nelle prime tre/quattro stagioni giocava insieme a degli scappati di casa, Lautaro invece ha avuto come compagni Hakimi, Eriksen, Barella, Bastoni, Lukaku… a calcio si gioca in undici… Icardi negli ultimi sedici metri è indubbiamente più letale, più forte, più decisivo”.

Io paragoni tra i due non ne faccio, non mi azzardo a farli perché già mercoledì scorso, durante la finale di Coppa Italia, dopo il secondo goal di Lautaro, ho ricevuto telefonate e messaggi da decine di persone che mi accusavano di aver gravemente sbagliato nel definire l’attuale centroavanti interista un buonissimo giocatore ma non un fuoriclasse.
Buonissimo giocatore significa che la mia personalissima valutazione è otto, otto e mezzo, fuoriclasse per me è dieci e lode, undici se esistesse come votazione.
Lautaro ha mai dimostrato eccellenza? La ha mai dimostrata con continuità, con costanza di risultati personali e di conseguenza di squadra? No signori, in cinque anni di Inter non lo ha mai fatto e agli ultimi mondiali vinti con la sua Nazionale è stato a metà torneo relegato in panchina per far posto in campo ad un diciannovenne che non gioca titolare nel suo club.

Io ho avuto la fortuna per gli occhi e la sfortuna per il cuore interista di veder giocare dal vivo, tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90, Marco Van Basten, numero nove del Milan di quel periodo. Per i giovani nati in questo millennio: se non lo avete mai visto, passate una giornata intera a guardarlo su internet, avrete così la dimostrazione di cosa significa giocare al pallone, cosa significa farlo con eccellenza, con doti da fuoriclasse.
Van Basten, causa infortuni, ha smesso a soli 29 anni dopo aver segnato 277 reti con Ajax e Milan e 24 con la Nazionale olandese. Van Basten ha vinto 3 Palloni d’oro, 1 Campionato Europeo segnando in finale con un tiro al volo dalla bandierina del corner, 7 campionati nazionali, 3 Coppe dei Campioni e 1 Coppa delle Coppe.
Io, da super interista quale sono, mi auguro che Lautaro il 10 giugno ad Istanbul incominci a fare il Van Basten, incominci a fare il fuoriclasse, incominci ad essere decisivo come lo è stato Diego Alberto Milito per la storia della mia amatissima maglia neroazzurra.

E’ vero, al football si gioca in undici, Lautaro a differenza di Milito non ha Eto’o, Snejder, Zanetti, Cambiasso, Samuel, Maicon… ma i libri sono lì, hanno le pagine bianche, sono pronti per essere scritti, la penna è calda, l’inchiostro vuole trasformarsi in un timbro per l’eternità.
Vai Lautaro, stupiscimi, fammi chiamare e scrivere da milioni di persone urlanti: “Hai visto?! Ora dillo, ammettilo, è un fuoriclasse!!!”.