Amori, tradimenti, sfide, contese, inganni e magie, i buoni tutti buoni e i cattivi tutti cattivi, musica sovente sublime. E se il teatro rispondesse anche al nostro bisogno di fiabe?
La voglia di opera, di arte, dilaga anche a livello popolare. Vivificati dal talento dell'improvvisazione, i canovacci della Commedia dell'Arte propongono improbabili trame di amori e burle, contrasti fra ricchi e poveri, fra vecchi e giovani.
I primi testi sono favole pastorali, animate da personaggi mitologici e pastori di maniera, che vivono e si muovono in un tempo abbastanza indefinito.
Nelle case dei nobili nascono i primi teatri: argomenti mitologici, allegorici, musiche vocali e strumentali, pantomime e balli, messinscene festose. 

Ma cosa è il teatro?
I primi avevano una forma molto semplice: uno spiazzo delimitato da panche di legno per il pubblico e una tenda. Solo successivamente verrà concepito come opera architettonica vera e propria, rimanendo però sempre una struttura all'aperto. Ogni spazio del teatro aveva una funzione, nella cavea (le gradinate) si sedeva il pubblico. Era suddivisa in diversi settori da corridoi semicircolari. Il palcoscenico era il luogo sul quale agivano gli attori, mentre il fondale della rappresentazione costituiva la scena.
L'orchestra era lo spazio circolare dove si esibiva il coro, gruppo di persone che nel corso dello spettacolo cantava e ballava, spesso suonando e improvvisando.
Il teatro (dal greco théatron, "luogo in cui si guarda") aveva per i Greci una funzione educativa di rilievo ed era strettamente influenzato dalla religione. Per questo furono edificati non solo nelle grandi città, come Atene, ma anche presso santuari e luoghi di culto. In occasione degli spettacoli tutte le attività venivano sospese e l'intera popolazione si recava al teatro, una costruzione all'aperto in stretto rapporto con il paesaggio circostante.
Gli spettacoli potevano durare diversi giorni e le spese erano a carico dei cittadini benestanti, che sceglievano sia il coro sia gli attori principali. Le opere, selezionate da una giuria, potevano essere di due generi: tragedie o commedie. Le tragedie, contraddistinte da eventi drammatici e dolorosi, le commedie, più leggere e a lieto fine, traevano spunto dalla quotidianità e avevano spesso come tema la satira sociale.
Il mestiere dell'attore in Grecia era riservato agli uomini, che interpretavano anche i ruoli femminili. In ogni spettacolo, di norma, venivano utilizzati tre attori, ognuno chiamato a esibirsi con ruoli diversi. Per la recita vestivano costumi facilmente riconoscibili e portavano alti calzari per accrescere la loro imponenza, usavano maschere di tela o di legno vivacemente dipinte, così ogni volta che cambiava la loro parte, cambiava anche la maschera del personaggio. Caratteristici i fori per gli occhi e la grande apertura per la bocca, affinché il suono delle parole potesse sentirsi distintamente.

Ho sempre "mangiato" il cinema, come sono a conoscenza i miei esigui lettori, ma, coincidenza delle coincidenze, sono tre i fatti che, recentemente accaduti, mi hanno indotto ad aprire il mio particolarissimo boccascena.
"... se sposti un po' la seggiola stai comodo anche tu..."; riecheggiare il ritornello, per un caso assolutamente fortuito, mi ha riportato alla memoria la mia prima volta al Sistina con il babbo.
La morte di Pietro Garinei potrebbe aver lasciato indifferenti i più, almeno tutti quelli sotto i 50 anni. Eppure, il piccolo e minuto fratello, Enzo, ha contribuito a fare dell'attore di spalla, del cabaret e dello spettacolo leggero, la grandezza proprio di quel genere di teatro.
Una longevità anagrafica e artistica rara e preziosa, sempre molto discreta, scomparso all'età di 96 primavere alla fine di agosto. Una tempra invidiabile, la sua, che gli ha permesso di essere in tournée a dar la voce fuori campo nientemeno che al Padreterno. Già, perché era sua quella che ha dialogato a ogni rappresentazione di "Aggiungi un posto a tavola", capolavoro d'opera musicale creata dalla premiata coppia Garinei&Giovannini e che, nel tempo, ha visto sul palcoscenico Johnny Dorelli prima e suo figlio Gianluca Guidi poi, su musiche intramontabili (ritornello strafamoso e stracantato) firmate dal maestro Armando Trovajoli.
Con la sua morte scompare definitivamente, come affermava la soprano Magda Oliviero, "un artista che è sempre stato pronto a sacrificarsi per servire l'arte e il teatro. Come un soldato".

"Mi sposti, per cortesia, quello scatolone, devo prendere gli addobbi di Natale!". È cominciato così, per un altro caso, l'inizio della seconda scoperta. Una domanda di aiuto di mia moglie, mi ha indotto, vista la curiosità, a scoperchiare quell'immenso faldone. C'erano tante "cose", troppe. Per il primo anno non mi sono adoperato, come di consueto, al sempre più improbabile districamento dei mille fili di luci che mettiamo sopra l'albero.
Appunti, foto, memorie, schizzi e poi, mentre stavo imprecando del perché avessi conservato tutto, visto che sono considerato il minimalista della famiglia, due fogli mi hanno colpito. Erano due fogli protocollo battuti rigorosamente con la vecchia Olivetti.
"Come quella di Montanelli" - avrebbe esordito mio padre; "quella di Indro" - avrebbe ribattuto mia nonna, visto che era stato un suo compagno di giochi nella sperduta piana delle Calle a Ponte a Cappiano. 
Vedere quelle foto in bianco e nero del babbo mentre era "in scena" hanno aperto, idealmente, il proscenio davanti ai miei occhi.
Accompagnavano un racconto.

"Il Violinista Parrucchiere".
[...] Forse riuscirò a ritrovare i volti e le sensazioni di quel periodo degli anni cinquanta.
Da dove cominciare? Ma da Baghigo, violinista parrucchiere. Già dall'età scolare conoscevo Aldino in quanto frequentavo la sua casa. La nipote Ambretta era una mia compagna di scuola. Conoscevo i suoi genitori, la moglie, i figli, compreso i gemelli. Le frequentazioni ripresero dopo la guerra. Eravamo in pieno periodo di "guerra fredda", i blocchi contrapposti. Anche i parrucchieri, come del resto i pizzicagnoli, risentivano di questo clima.
Non eri dalla parte dei "preti"? Allora barba e capelli non dovevano essere fatti da Aldino ma da Sirio. Poche le eccezioni. Ambedue molto bravi nel mestiere ma con... "tagli" politici ben diversi. Allora, purtroppo, il clima era questo.
La bottega di Baghigo si trovava e si trova a Pietrone; Ugo di Nacco il Patriarca. Il lavoro era concentrato principalmente tra il sabato e la domenica mattina. Il lunedì si osservava la chiusura completa. Gli altri giorni poco lavoro e sempre nel tardo pomeriggio, al rientro degli operai.
La bottega d'Aldino era considerata il "nostro salotto buono". Era frequentata da giovani tutti, purtroppo, in attesa di una prima occupazione. La disoccupazione giovanile, e non solo quella, era elevatissima. Il violino, in bella mostra, era il suo vero amore. La musica accompagnerà ogni suo movimento. La chitarra, anch'essa presente, era un optional: in genere era scandita da Silvano. Non sembrava di essere in un negozio di barbiere ma appunto, in un circolo privato dove la musica, l'arte e la cultura la facevano da padroni. A volte anche a sproposito. Gli assidui? Il sottoscritto in permanenza, Fosco un po' meno in quanto già lavorava, Silvano, Dino, Raffaello, Otello, Andreino, Dante e Oreste, detto Cirillo.
Nei pomeriggi era abbassato a metà il bandone del negozio e all'interno succedeva un po' di tutto. Aldino al violino, Silvano alla chitarra, gli altri a cantare e Foscariello a raccontare... l'ultima barzelletta. Raffaello era il "gran saggio". L'unico che disponeva di qualche sigaretta (le "Sport" con l'esse rossa); il passamano per qualche tirata (un "peo") era di norma.
In questo clima spensierato fu pensata, ideata, scritta e musicata la rivista "I Cadetti di Guascogna", data al Teatro Bruschi con successo. Si trattava di una classica rivista d'avanspettacolo in due tempi. Per me non sarebbe stata la prima volta che calcavo le scene e neppure l'ultima. Era un teatro eccezionale per un piccolo paese; un vero gioiello nel suo genere: gran palco, camerini per gli attori e un enorme palcoscenico che abbracciava la platea e la galleria. Funzionante, all'interno, una sala bar.
Quest'idea avrebbe tenuto impegnati un po' tutti. La regia, e non solo quella, di diritto, a Raffaello, genio e sregolatezza. Grandi discussioni nelle riunioni collettive nella bottega d'Aldino oppure durante le lunghe passeggiate sul lungarno e oltre per affinare o farsi venire nuove idee. L'ultima parola e la stesura finale era sempre di Raffaello.
Altro punto di incontro la Cooperativa, nelle scalette, gestita da Otello e Flora, quest'ultima grand'amica. In queste occasioni ci scappava anche un panino con la mortadella.
L'impianto musicale era stato curato ed eseguito da un'orchestra di cinque elementi, il "Quintetto Lampo". Baghigo al violino, Vitaliano al sassofono, Adone alla tromba, Costantino alla batteria e Sergio alla fisarmonica. Il cantante era Otello.
La rivista era una spassosa cantata cabarettistica, come si usa dire oggi, tesa a ripercorrere diversi aspetti comici attraverso i tempi. Un collage di tante facce che s'intrecciavano l'una l'altra in un piacevole gioco d'incastro. La cantata passava attraverso sketch comici, parodie musicali: ben riuscite quelle su Wanda Osiris e del pittore negro.
Canzoni, barzellette mimate, gag, indimenticabili quella su Totò e le interviste ai pellegrini giunti a Roma per l'Anno Santo (era il 1950) di Fosco, in arte Foscariello.
Le scenografie erano state curate da Silvano, i costumi a noleggio a Firenze. Le ultime prove in teatro: gran nervosismo anche perché Raffaello era un perfezionista ma...
"Ti ricordi dove possiamo aver messo il puntale che abbiamo acquistato l'anno scorso a Laives?". Mia moglie mi ha interrotto così mentre stavo continuando a leggere; meglio, molto meglio. Rimetto tutto in ordine. 
L'anno prossimo continuerò a sfogliare; magari mi sorprenderò di nuovo. O farò finta. In fondo in teatro tutto è finto ma niente è falso...

Gisella Marilli è una carissima amica, una donna deliziosa e, da quest'anno, una brava regista che si è cimentata nell'adattamento del testo "Un marito ideale" di Oscar Wilde presso il Laboratorio di Arti sceniche Nexus, Studio di Firenze, di cui è Deus ex machina, oltre che proprietaria.
Ha, però, un grandissimo difetto: il marito. Gianni, infatti, è un accanito tifoso di una squadra a strisce (ringraziando il Cielo non si tratta di Lei) e sta al cinema come il sottoscritto all'uncinetto.
Meno male che non andiamo mai allo stadio e nelle sale insieme; il teatro, grazie a Gisella, ci unisce e fa sì che la nostra indissolubile confidenza e forte affiatamento ci faccia passare insieme delle belle serate.


Oscar Wilde nacque a Dublino nel 1856 da una famiglia della ricca borghesia. Il padre era un medico e la madre un'eccentrica poetessa. Egli era particolare come la madre; per esempio firmava documenti con altri nomi, non ebbe mai dichiarato la sua vera età e tutti gli anni il giorno del suo compleanno si vestiva "a lutto". Si sposò con Costance Lloyd, che gli dette due figli, però durante la sua vita ebbe parecchi amanti sia uomini sia donne, essendo bisessuale.
Ebbe una relazione con Alfred Douglas a tal punto che il padre del giovane, scoprendo la relazione, mandò una lettera di insulti al giovane Wilde il quale lo denunciò per diffamazione. Ebbe inizio un processo e Oscar Wilde fu condannato a due anni di lavori forzati, scontò la pena e una volta uscito dal carcere si trasferì a Parigi, ma, all'età di quarantaquattro anni, morì di sifilide e meningite. Sul punto di morte, si convertì al cattolicesimo.

"Un marito ideale" (An Ideal Husband) è una commedia in quattro atti, scritta nel 1895 e portata in scena, per la prima volta, il 3 gennaio del medesimo anno all'Haymarket Theatre di Londra.
È un'opera adattata varie volte per lo schermo, non ultima la proiezione della pellicola diretta da Oliver Parker,  presentata fuori concorso al 52° Festival di Cannes nel 1999, con Rupert Everett nella parte di Lord Arthur Goring. 
Insieme a mia moglie, l'abbiamo "gustata" sabato scorso nel teatro, assolutamente atipico (consideratelo un suadente complimento), di Gisella che ha magistralmente riproposto la storia densa di avvenimenti, con ritmo incalzante e assai divertente.
E questa è la terza e ultima casualità che mi ha permesso di incorniciare la potenza scenica del teatro.
In via Rismondo, nella zona di Campo di Marte, a un tiro di schioppo dall'Artemio Franchi, abbiamo seguito l'interpretazione di attori ammirevoli che per amore, voglia, passione hanno messo loro stessi in una pièce che dovrebbe avere più consenso, più pubblicità, più possibilità, soprattutto da parte dei giovani, di vedere il bello magicamente congiunto in una alchimia che solo il palco, dal vivo, può regalare.
Marco Bartolini, Stefano Carotenuto, Francesca Cartelli, Valentina Corsi, Maria Rita Scibetta con il supporto del tecnico audio-luci Giovanni Mazzanti hanno entusiasmato per la loro dedizione, oltre che bravura.
Gisella la cornice di una quadro da ammirare e riammirare.
Al termine, un abbraccio all'amico Gianni per la consueta gentilezza, a Gisella per lo spettacolo (ho dato un consiglio sulla prossima rappresentazione; la location e la regia potrebbero intrecciarsi in un connubio vincente) e un ringraziamento, davvero sentito, ai giovani attori.

Cosa hanno reso uniche queste tre storie? Il teatro. Non gli attori perché quest'ultimi, famosi o meno, sono già Teatro. 
Vittorio Gassman diceva che il senso delle nostre imperfezioni ci aiuta ad avere paura. Cercare di risolverle ci aiuta ad avere coraggio.
Io credo che si reciti solo nella vita, mentre nell'arte si persegue solo la verità.
Sipario...