Molti di voi, soprattutto quelli nati negli anni ‘60 e ‘70, hanno visto almeno una volta nella vita il film Fuga per la vittoria, ricordando certamente il goal in rovesciata di Pelè e il rigore parato all’ultimo minuto da Sylvester Stallone.
La sceneggiatura di quella pellicola cinematografica del 1981 trasse ispirazione da un fatto accaduto una quarantina di anni prima durante la seconda guerra mondiale in quella che allora era l’Unione Sovietica.

Nel 1942, nella Kiev messa alle corde dall’esercito tedesco, Iosif Ivanovič Kordik, un panettiere ceco anti nazista rifugiatosi anni prima in Ucraina, decise di assumere, nel panificio cittadino nel quale lavorava e che coordinava, ex atleti, in particolare ex calciatori, offrendogli come bonus la possibilità di svolgere attività fisica da lui organizzata.
In breve tempo risposero all’annuncio ex giocatori della Dinamo Kiev, come per esempio Nikolaj Trusevič, portiere noto per le sue doti acrobatiche, per le sue parate spettacolari, miracolose.

A Trusevič e a suoi ex compagni di squadra si aggiunsero altri campioni della città, una volta militanti nella meno blasonata ma comunque forte Lokomotyv Kiev. In poche settimane ai forni di panificazione c’erano nomi di grido come Fedir Tyutchev, Makar Hončarenko e Vladimir Balakin.

Nel frattempo, nella città che opponeva resistenza all'occupazione tedesca, i gerarchi tedeschi pensarono di piegare lo spirito fiero degli ucraini affidandosi proprio allo sport, al calcio. Decisero di organizzare un torneo di calcio con data di inizio 07 giugno 1942, al quale avrebbero partecipato 6 squadre: quella dei lavoratori del panificio nominata Start Football Club, quattro formate da militari dell’alleanza nazifascista tedesca, ungherese e rumena, e la Ruch, la squadra composta da cittadini ucraini e appoggiata dal movimento nazionalista ucraino anti-sovietico e filo-tedesco.

Il torneo, dall’inizio alla fine, fu a senso unico, la Start travolse ripetutamente gli avversari siglando 43 goal e subendone solo 8: una disfatta per i tedeschi e il loro regime assassino.
Fu così che dai piani alti del terzo Reich arrivò l’ordine di fare un’ultima partita: la data decisa per piegare la Kiev calcistica il 09 agosto, lo scontro tra la Start e il meglio calcistico dei militari nazifascisti impiegati sul fronte ucraino.
La partita venne pubblicizzata con manifesti affissi su tutta la città e i giornali furono obbligati a pubblicare articoli inneggianti la squadra tedesca.

Il giorno della partita, circa mezz’ora prima del fischio d’inizio, l’arbitro tedesco, incaricato di dirigerla, fece il suo ingresso nello spogliatoio della Start vestito dei suoi abiti da ufficiale delle SS, chiedendo in maniera poco gentile ai giocatori di fare il saluto «Heil Hitler» e di far vincere gli avversari. I giocatori della Start risposero facendo il saluto che era all’epoca di costume nello sport sovietico: «Fitzcult Hurà!», «Viva la cultura fisica», indossarono la loro divisa rossa trovata mesi prima in un vecchio magazzino ed entrarono in campo più fieri che mai a fare il riscaldamento.
Gli spalti erano pieni di soldati della Wehrmacht che imbracciavano le loro armi, pronti ad utilizzarle. Solo un piccolissimo settore era stato riservato ad ucraini, ad anziani, donne e bambini.

Il clima era surreale, la partita fu da subito una caccia all’uomo, i tedeschi provocavano e picchiavano senza che l’arbitro fischiasse nulla, da un'azione di dubbia regolarità, un palese fuorigioco e un calcio in testa al portiere Trusevič, i tedeschi passarono immeritatamente in vantaggio.

Una situazione di quel tipo avrebbe tagliato le gambe al 99% degli esseri umani ma non agli eroi ucraini della Smart: in una ventina di minuti ribaltarono il risultato portandosi in vantaggio per 3 a 1. Il primo goal lo fece Kuzmenko con un bolide dalla distanza, il secondo Goncharenko in mezza rovesciata e il terzo sempre Goncharenko dopo aver funambolicamente dribblato mezza squadra avversaria.

La partita, dopo l’ennesimo tentativo di persuasione di un ufficiale SS nell’intervallo, terminò 5 a 3 per la Start, con il difensore Klimenko che poco prima del fischio finale dribblò la difesa tedesca, compreso il loro portiere, si fermò sulla linea, si girò e calciò il pallone verso le tribune, umiliando così definitivamente l’esercito Hitleriano.

Nel film scritto da Evan Jones il finale vede i vincitori correre in fuga verso la meritata libertà, nella realtà purtroppo invece la maggior parte di quei fantastici ragazzi che lavoravano tutte le notti per dare almeno un pezzo di pane ad un popolo reso allo stremo dalla guerra fu arrestato, ingiustamente processato e condannato, deportato, torturato ed ucciso: erano nemici del Reicht.

Rimane il loro ricordo, la loro passione per lo sport, il loro orgoglio, la loro dignità, il loro rifiuto a piegarsi di fronte all’oppressore.

Oggi, nella stessa città, sotto le bombe di un’altra guerra, di un altro invasore, allo Start Stadium c’è una statua che li ricorda, una statua che raffigura il loro capitano, il loro straordinario portiere Nikolaj Trusevič. Un’opera che lo ricorda con queste parole: "a uno che se lo merita".