In occasione della recente conferenza stampa, tenutasi a margine dell’assemblea degli azionisti della Juventus, il Presidente, Andrea Agnelli ha rammentato (senza mai citare il nome di Antonio Conte) – quale uno degli eventi più critici sotto la sua gestione – la circostanza che per sei mesi (stagione 2012/2013) la Juventus sia stata costretta a rinunciare al suo primo allenatore in panchina, stante la sopraggiunta condanna che il tecnico in questione aveva subito, per effetto di un’omessa denuncia (episodio marginale), riguardante fatti verificatisi in epoca antecedente al tesseramento del tecnico da parte della Juventus.

In esito alla conferenza, sono ovviamente rimbalzati i commenti dei vari addetti ai lavori su tali dichiarazioni, interpretate come una stoccata del Presidente all’ex allenatore della Juventus, in risposta al fatto che Antonio Conte - durante un incontro con i giornalisti di qualche settimana prima, a precisa domanda se ci teneva a ringraziare Agnelli per il fatto che non avesse preso in considerazione la petizione di tifosi bianconeri, che chiedeva di togliere la stella di Antonio Conte dall’Allianz Stadium – avesse risposto che non doveva ringraziare nessuno, perché anche l’intervento di Agnelli serviva a dare voce, in qualche modo, ad una iniziativa giudicata, dal tecnico salentino, becera ed ignorante.

Francamente, non credo minimamente che le dichiarazioni di Andrea Agnelli fossero una risposta al mancato ringraziamento di Conte (tra l’altro non risultano dichiarazioni del Presidente della Juventus circa un suo rifiuto a togliere la stella) ma un messaggio subliminale pubblico rivolto a Conte e riguardante il suo passato, culminato con l’ultima scelta professionale dell’allenatore leccese.


Cerco di spiegarmi meglio, con due doverose premesse.
La prima consiste nel fatto che Andrea Agnelli non si pone certamente sullo stesso piano di Antonio Conte, nel senso che non ci può essere dualismo tra le figure di “datore di lavoro” e “dipendente”, e ovviamente non per una questione di classe quanto per un piano di rapporti sostanzialmente diverso. Ci può essere polemica diretta solo tra soggetti, che esercitano lo stesso ruolo (vedi Agnelli e Moratti, ad esempio) o tra dirigenti sportivi di pari livello o tra calciatori. E’ una circostanza che non riguarda solo lo sport ma tutti i contesti della vita sociale e professionale.

La seconda premessa è che Agnelli è il primo a riconoscere che la Juventus ha un enorme debito di riconoscenza nei confronti di Antonio Conte, perché solo con l’avvento di tale allenatore, ai suoi metodi di lavoro, all’impegno e all’abnegazione per la “causa”, la Juventus è tornata a primeggiare nel campionato italiano e, stante la serie B di solo qualche anno prima, la rinascita della Juventus con Conte è stata come l’araba fenice, uccello mitologico noto per il fatto di rinascere dalle proprie ceneri dopo la morte.

Esaurito il doveroso preambolo, occorre quindi tentare di comprendere i motivi per i quali Andrea Agnelli abbia ritenuto, ancora di recente, di lanciare pubblicamente una frecciata ad Antonio Conte e, ovviamente, la verità “vera” risiede nella testa dei protagonisti della vicenda; ma, in tale ambito, si possono comunque formulare ipotesi.

 


La scelta bianconera di puntare su Antonio Conte

Per la stagione 2011/2012 (l’anno dell’inaugurazione dello Stadium), Agnelli “impose” alla dirigenza bianconera (Marotta in primis) di scegliere come tecnico della rinascita, proprio Antonio Conte che, all’epoca, era un allenatore, appena emergente, con esperienze positive ma anche decisamente negative (vedere Atalanta). La scelta di Agnelli si basava, evidentemente, sulle qualità del professionista, che il Presidente aveva apprezzato (tra i due ci sono solo sei anni di età di differenza), prima come giocatore e poi come capitano della Juventus; ma anche e soprattutto sul fatto che Conte, oltre alle doti professionali, era nato e cresciuto bianconero e Agnelli comprese che la scelta dell’allenatore doveva ricadere su una figura identitaria della realtà juventina. Il tecnico salentino era stato, da sempre, un vero tifoso bianconero e ne conosceva molto bene la filosofia.
Era una scelta azzardata ma che si rivelò, come noto, brillante e tra il mondo bianconero (dal Presidente all’ultimo dei tifosi) e il tecnico leccese si cementò, ancora di più, un legame fortissimo, ritenuto indissolubile e ciò a prescindere dal futuro della carriera professionale del tecnico - Conte si inseriva insomma nella scia dei due tecnici “più bianconeri” di sempre, ovvero Trapattoni e Lippi, rimasti tali anche dopo le esperienze juventine. Conte aveva però qualcosa in più: un passato da calciatore e capitano della squadra per la quale tifava sin da bambino -.
Per contro, solo l’esperienza vincente bianconera consentì a Conte di consacrarsi quale allenatore di livello, per cui il rapporto Juventus/Conte fu il classico rapporto che in natura si identifica come simbiosi mutualistica, ovvero, in estrema sintesi, si trae vantaggio reciproco dallo stare insieme.

Ma Agnelli e tutta la dirigenza sapeva perfettamente quale fosse il carattere di Antonio Conte, un vero sanguigno e, se da una parte, ciò rappresentava un pungolo e uno stimolo per i calciatori e per tutto l’ambiente; dall’altra, tale carattere fumantino avrebbe potuto causare qualche problema, in caso di divergenza di opinioni su decisioni di importanza strategica. Ma Conte lo si doveva e deve prendere così come è, con i suoi pregi che paradossalmente possono diventare anche i suoi difetti.
Ciò che Agnelli sicuramente apprezzava in Conte era comunque la sua lealtà, il suo agire in modo assolutamente trasparente, nel bene e nel male.


La “quarta” stagione

Il secondo giorno di ritiro della quarta stagione (2014/2015) di Conte in bianconero, si consuma il clamoroso divorzio del tecnico con la Juventus, ma questo è solo l’atto finale di rapporti ormai disgregatisi da tempo con la dirigenza e gli stessi calciatori. Il paradosso di una situazione, che diventava sempre più ingestibile, era costituito però dal fatto che le incomprensioni, ormai, non erano più gestite all’interno dello spogliatoio o della Società, ma erano rese pubbliche con dichiarazioni dello stesso Conte, francamente imbarazzanti per tutto l’ambiente bianconero.
Nel maggio 2015, per giustificare gli insuccessi in campo internazionale nel triennio della sua gestione, il tecnico salentino dichiarò pubblicamente che la Champions non poteva essere un obiettivo realistico, tenuto conto che "Non puoi sederti al ristorante da 100 euro con 10 euro. In Europa ci sono squadre economicamente irraggiungibili, per me sarà molto dura vedere una squadra italiana in finale di Champions League da qui a tanti anni a venire" (Conte venne poi smentito proprio quella stagione con la Juventus guidata da Allegri in finale di Champions).

Nonostante i rapporti ormai deteriorati, Conte iniziò comunque la quarta stagione e c’è subito da chiedersi per quale motivo la separazione non potesse consumarsi prima. Evidentemente, Agnelli e la dirigenza, conoscendo Conte, erano convinti che il tecnico avrebbe recuperato in fretta le sue motivazioni. Ma non fu così: Conte si dimise subito, il 15 luglio 2014.
L’evento era assolutamente clamoroso per l’ambiente bianconero e non solo: non credo ci siano precedenti in merito alla chiusura del rapporto dopo 2 giorni dall’inizio del ritiro, a dimostrazione che la rottura tra il tecnico e la Società era da considerarsi insanabile.
Ma, evidentemente, Conte avrà fatto ben comprendere a tutti (ad Agnelli in primis) che – per il bene della Juventus – era comunque giunto il momento di sciogliere il rapporto, in quanto il tecnico non aveva più gli stimoli giusti, elementi basici per qualsiasi allenatore ma determinanti per Conte e ciò a prescindere dai contrasti con la dirigenza o degli attriti con i calciatori (peraltro comuni in qualsiasi contesto calcistico)

Le reazioni alla decisione da parte degli addetti ai lavori esterni alla Juventus furono ovviamente di pieno sconcerto ma in questa sede vorrei ricordare contenuto e forma del saluto di Agnelli, apparso sul sito ufficiale della Società bianconera, perché testimoniano l’affetto, la stima e la riconoscenza del Presidente nei confronti del tecnico, nonché (tra le righe) anche i motivi della fine dell’esperienza in bianconero di Conte: "Caro Antonio, sei stato un grande condottiero per i nostri ragazzi e la notizia di oggi mi rattrista enormemente. - scrive Agnelli - penso ai tre anni trascorsi insieme, tre anni che ci hanno portato a scrivere la storia di questa Società: tre scudetti consecutivi, due Supercoppe italiane, ma soprattutto un percorso di crescita esponenziale. Ma di fronte ai sentimenti e alle ragioni personali anche un Presidente deve fare un passo indietro. Ora si riparte da zero». Infine i ringraziamenti a Conte: «Grazie di tutto Antonio. Fino alla fine...".

Era insomma un addio, dettato da opinioni diverse sulle prospettive future della Juventus, ma anche un saluto affettuoso ad una bandiera juventina, che, nonostante un divorzio inaspettato, Agnelli considerava sarebbe rimasta tale nella convinzione che nulla avrebbe potuto comunque scalfire il DNA bianconero del tecnico (ma non a parole bensì nei fatti)

L’immediato approdo in Nazionale

L’epilogo clamoroso poteva lasciar presumere che Conte sarebbe stato costretto, suo malgrado, a restare comunque fermo, nonostante la risoluzione del rapporto non comportasse alcun vincolo contrattuale ancora pendente da parte di Conte con la Juventus (il contratto in scadenza nella stagione dell’addio fu infatti risolto in modo consensuale).

E invece, il 14 agosto 2014, l’annuncio che Conte sarebbe stato il nuovo allenatore della Nazionale! Era evidente per chiunque che l’immediatezza del cambio si rendeva possibile solo a fronte di accordi che, nel frattempo, l’entourage di Conte aveva condotto con i Vertici della Nazionale, pendente il rapporto contrattuale con la Juventus. Ma, allora, la scelta di Conte di dire basta alla Juventus non fu una scelta d’ “impeto”, dettata cioè dalla pancia, bensì dal fatto che si era sostanzialmente concretizzata la prospettiva della Nazionale e quindi non si poteva attendere. Per Agnelli e per tutto il mondo bianconero, le dimissioni di Conte assunsero pertanto i contorni di un atto calcolato e pertanto non giustificabile, perché frutto di una scelta ponderata e non istintiva, che minava dalle fondamenta la consistenza del rapporto personale tra Agnelli e Conte
E per Agnelli (come per qualsiasi altro juventino) il comportamento di Conte non era in alcun modo più giustificabile; perché se poteva in qualche modo essere metabolizzato il danno derivante dal divorzio improvviso (se dettato da sentimenti e ragioni personali) ad inizio ritiro; non era accettabile la beffa dell’ingaggio immediato da parte della Nazionale


L’ingaggio di Conte da parte dell’Inter

Dopo la fine del quinquennio allegriano, furono diversi i rumors che riaccostavano il nome di Antonio Conte (che nel frattempo aveva concluso la sua esperienza al Chelsea) sulla panchina della Juventus, ma credo che ciascun (assennato) tifoso bianconero non abbia mai preso in considerazione la praticabilità di una tale possibilità.
Una conoscenza non superficiale del mondo bianconero e dei principi cui si ispira la Famiglia Agnelli (vedere vicenda Del Piero, giusto per intenderci) avrebbe quindi dovuto indurre a scartare immediatamente un’opzione simile: tra la Juventus e Conte era stata scritta la parola fine. Era un capitolo chiuso, che non sarebbe stato possibile riaprire.

All’epoca in cui allenava la Juventus, Conte ebbe modo di dichiarare: "Nel calcio noi allenatori siamo dei professionisti. Ribadisco il concetto: io sono tifoso della Juve e sono l'allenatore della Juve, ma se dovessi allenare l'Inter o il Milan, allora diventerei primo tifoso dell'Inter o del Milan, o di Roma e Lazio".

Assolutamente legittimo per un professionista. Ci mancherebbe. Ma “tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare” e, nel caso dell’Inter, c’era di mezzo l’oceano del popolo bianconero. Di conseguenza e, inevitabilmente, l’approdo all’Inter da parte di Conte ha in qualche modo “certificato” il divorzio definitivo tra la Juventus ed il tecnico leccese.

La scelta professionale di Conte - più che giustificata dal suo punto di vista per 12 milioni di buoni motivi - equivale quindi ad una sorta di abiura nei confronti della Juventus, perché - come ben sa Conte - l’Inter non rappresenta più per Agnelli e per i tifosi della Juventus solo una rivale calcistica, ma una Società che ha potuto fruire di trofei (giudicati dal mondo bianconero immeritati) per effetto di Calciopoli e non è questa la sede per dilungarsi sulle motivazioni dell’aggettivo “immeritati”, in quanto sul punto si è già scritto di tutto e di più, in merito alle ragioni dell’una (Juventus) o dell’altra (Inter).


Ma lo strappo non più componibile tra Agnelli e Conte si era già consumato quattro anni prima, per cui l’ingaggio di Conte da parte dell’Inter ha solo reso plastico un sopravvenuto e definitivo distacco tra Conte e la realtà bianconera nel suo complesso, perché ha consentito a tutti di comprendere che la vita (anche professionale) ci consente di aprire porte, che sembravano chiuse ma che, forse, abbiamo sempre lasciate socchiuse di proposito.