Mancano poco più di 48 ore a Inter-Benfica, partita di ritorno dei quarti di finale di Champions League, il più importante torneo di calcio per club al mondo.
Si ripartirà dal 2 a 0 per i nerazzurri, usciti vincitori martedì scorso dallo stadio da Luz di Lisbona, risultato che avvantaggia la compagine italiana, ma non mette al sicuro la qualificazione, la pazza Inter ci ha abituato nei suoi 115 anni di storia a tutto e di più, nel bene e ahimè nel male.

In un’altra epoca calcistica, neanche tanto lontana, proprietà, dirigenza, staff tecnico, giocatori, tifosi e giornalisti sarebbero tutti euforici, pronti a festeggiamenti trionfalistici in caso di approdo alle final four europee, ma in questo tempo di conti economici, stati patrimoniali e situazioni finanziarie più importanti del risultato sportivo, la partita con il Benfica risulta quasi essere paradossalmente fastidiosa, quasi come un secondo turno di Coppa Italia prima di un big match di campionato o un’amichevole della nazionale che toglie forze psico-fisiche e aumenta il rischio di infortuni.
Se arrivare quarti in campionato è più importante di giocarsi la possibilità fino a pochi mesi fa remota di andare il 10 giugno prossimo  a Istanbul, a mio parere siamo alla follia, significa che il football inventato dagli inglesi non è più sport, ma è contabilità aziendale, ed io, che di contabilità me ne occupo 8 ore al giorno per lavoro, sinceramente vorrei continuare a vedere giocare al pallone nel mio tempo libero, non a fare conti con il dare e l’avere.

Un amico interista da inizio stagione mi “tortura” settimanalmente giudicando il lavoro di Simone Inzaghi gravemente insufficiente, a suo dire la Supercoppa Italiana vinta contro il Milan, la semifinale di Coppa Italia e il 2 a 0 nella partita di andata dei quarti di finale di Champions League valgono molto meno dello scudetto, e il fatto di essere ad oggi quinti in campionato toglie qualsiasi significato positivo ai traguardi raggiunti nelle altre manifestazioni.

Io credo che nel periodo di Fraizzoli, Pellegrini e dei primi 10 anni di Moratti, noi tifosi interisti saremmo stati disposti a fare l’intero cammino di Santiago di Compostela in retromarcia se ci avessero detto che facendo ciò avremmo avuto in premio una stagione come quella di quest’anno.
Attenzione, non sono contento delle 11 sconfitte in campionato, della posizione attuale, so che la squadra avrebbe dovuto fare di più, che l’allenatore non è stato in grado di tirare fuori in ogni partita da ogni giocatore il 110% che serve per avvicinarsi alla perfezione raggiunta nel 2010 con il Triplete, ma sono anche consapevole che in quella Inter gli unici due giocatori della rosa attuale che avrebbero forse giocato titolari sono Barella e Skriniar (di fatto ex Inter da mesi).
Non so cosa succederà nelle prossime settimane, ma se “malauguratamente” l’Inter, oltre alla Supercoppa già vinta, dovesse vincere anche la Coppa Italia e arrivare incredibilmente in semifinale o addirittura in finale di Champions, però perdendola, e non dovesse arrivare nelle prime quattro in campionato, ho una certezza: i primi ad essere venduti saranno Barella e Bastoni.

Alla Società interessa solo qualificarsi alla prossima Champions League, non interessano i trofei alzati, le finali eccezionalmente raggiunte, e tutto ciò spaventa i tifosi, i quali inconsciamente ragionano come i dirigenti e non godono più del momento fantastico che mancava da 13 anni per soffocare nell’ansia di un quarto posto italiano che sta scappando via.
Non offendetevi, ma per me questa è follia.
Noi interisti siamo “ostaggio” della famiglia Zhang, proprietaria dei colori che amiamo, siamo costretti a tifare un quarto posto e a barattarlo nelle nostre preghiere da tifosi con la finale di Champions League.
Mentre scrivo ho la pelle d’oca, un senso di nausea, di malessere.

Ci vediamo il 10 giugno a Istanbul, a tifare chi non so.