Correva l’anno 1980 quando Roberto Vecchioni, noto cantante internazionale, sfoderava un brano che sarebbe diventato virale per gli spensierati ragazzi che si apprestavano ad affrontare gli anni del boom musicale; si intitolava “Luci a San Siro”, un richiamo forte, degno di passione e amore per una favola colma di gioia. Quel senso di bontà che si respira in un prato verde ricco di speranza, colmo di emozione e portatore di sport, unico passatempo in grado di riunire filoni di amicizia e fratellanza, con la mano sul cuore che simboleggia l’appartenenza ad una squadra.

La domenica calcistica appena trascorsa ha sicuramente portato in scia una grande dose di spettacolo, con il Napoli che allo stadio Olimpico di Roma travolge i giallorossi e il Liverpool di Klopp che si fa comandare dalla “bolgia di Anfield”, stadio stracolmo di passione e magia che, sulle spalle della musica, permette di piegare l’avversario in un battito di ciglia. Poi, per concludere al meglio la serata, torna in scena la Serie A: il catalogo presentato dalla Lega mette in evidenza Inter-Lazio, gara aperta e valevole sicuramente per un posto in Champions nella prossima stagione.

Ecco che qui partono i problemi. Dopo aver contemplato la magia della Premier ed essersi divertiti nella visione della realtà del “You’ll never walk alone”, i riflettori si puntano sullo stadio Meazza in San Siro, terra dell’Inter e di una squadra vittima di società e allenatore. Una gara importante, alla luce della sconfitta patita dal Milan sul campo della Sampdoria e del tracollo romanista. Che cosa succede invece? L’Inter, senza Icardi e Lautaro Martinez, viene sconfitta dalla Lazio grazie ad un colpo di testa vincente di Milinkovic Savic, pallino dello stesso Marotta presente sugli spalti.  Un match ricco di intoppi, con la squadra di Spalletti sprecona sotto porta e priva di un centravanti puro; e pensare però che con un po’ di buonsenso, il bomber da 30 gol stagionali poteva collocarsi in mezzo all’area di rigore per sfruttare i numerosi cross effettuati dai terzini.

Insomma, basta guardare con attenzione il risultato per capire che all’interno della squadra nerazzurra ci sono troppi casi da risolvere, primo su tutti la questione allenatore. Sì, perché a questo punto è vero che Icardi, nel nome di Wanda Nara ha sbagliato approccio, ma inabissarsi sul voler dare una punizione come ai tempi delle scuole elementari stona quando sei a guidare una compagine storica come l’Inter. Per la cronaca, dopo l’ondata trionfante lasciata dal derby, il bomber argentino era tornato finalmente a disposizione della squadra, con l’intento di voler mettere da parte le turbolenze passate per cercare di raggiungere l’obiettivo terzo posto. Allenamenti, corse e speranze che però vengono ristretti nella morsa una volta che escono le convocazioni; Mauro Icardi, ex capitano dell’Inter, non è in rosa per il match casalingo contro la Lazio. Responsabile di tutto ciò? Luciano Spalletti, sempre più fermo sulla volontà di considerare ormai il suo ex attaccante un traditore della patria, per usare un termine che riconduce all’antico Impero Romano. Una scelta inspiegabile, non perché Mauro dovesse giocare l’intero match, ma per il semplice fatto che vista l’assenza anche di Lautaro, l’Inter non aveva punte di ruolo, e magari un ingresso a gara in corso poteva far comodo a tutti.

Finisce la sfida tra i fischi più che giusti del Meazza e lo stesso tecnico di Certaldo si presenta davanti alle telecamere di Sky Sport facendo chiaramente capire che per come Icardi si è comportato dovevano scendere in campo gli altri, e in più avvalorando la tesi che la mediazione con un calciatore per fargli indossare la maglia dell’Inter è umiliante. Parole forti, sicuramente azzeccate in un altro contesto, ma il problema di fondo è che Mauro è interista e, pur avendo fatto degli errori, sarebbe disposto a tornare in campo per fare quello che gli riesce meglio, almeno fino a giugno. Quando però lo scoglio della vergogna e del rimpianto per gli errori commessi in passato si frappone tra la voglia di vittoria e il mistero del futuro, ecco che Spalletti si presenta davanti al microfono sfogandosi apertamente; sicuramente il tecnico toscano immagina già la conclusione della sua avventura milanese, ma passo dopo passo dall’avere ragione  sta passando al torto ricadendo sotto certi aspetti in un nuovo caso Totti.

Considerando tutto quello che sta succedendo all’Inter in questo periodo, c’è sicuramente bisogno di una mossa vincente, anche se con una società inesistente come Suning appare veramente impossibile riuscire a trasformare le promesse in concreta realtà. Adesso il campionato si complica perché ci sono 9 finali da giocare e per riuscire a resistere ai colpi di Lazio, Milan e Roma c’è bisogno dell’amore per l’Inter. A mio modesto parere, con una squadra sull’orlo del precipizio e uno spogliatoio spaccato in due, l’unico in grado di far tornare Icardi a giocare è colui che lo scorso anno ci ha portato in Champions: Walter Zenga. Molti sicuramente si staranno chiedendo il motivo della mia ultima frase, ma se ci pensiamo bene nella scorsa stagione, a seguito della sconfitta patita dall’Inter contro il Sassuolo nella penultima giornata di campionato, fu proprio il Crotone di Zenga a fermare gli uomini di Inzaghi e a permettere all’Inter di andarsi a giocare il tutto per tutto all’Olimpico. E c’è di più: sul pareggio, a pochi minuti dalla fine, lo stesso Uomo Ragno consigliava al portiere Cordaz di pazientare per tenere il risultato, anche se in realtà ai calabresi il pareggio serviva a poco, solo per poter sperare nella giornata successiva. Tutti noi poi sappiamo com’è andata a finire, con l’Inter di Spalletti che riesce a qualificarsi per la Champions.

In passato sono arrivati in Corso Vittorio Emanuele allenatori come Mazzarri e De Boer, sicuramente non attaccati ai colori del club, ma scelti per poter traghettare e fare qualcosa in breve tempo. Zenga, nonostante le ultime cadute, si merita di poter condurre la squadra almeno fino a giugno, in attesa poi di Conte, Mourinho o chiunque altro. Poi i miracoli in stile Solskjaer esistono, ma arrivano con il tempo e con l’amore per il club. Quell’amore che dalle “Luci a San Siro” sembra aver fatto posto all’oscurità più estrema.