Stamani, come ogni mattina, ho visto l'alba. Una giornata uggiosa bagnava il Duomo che, in lontananza, riesco a scorgere dal balcone di casa. Molto prima che la sveglia dia fastidio alle mie donne, preparo il caffè, rigorosamente con la moka, e accendo la televisione per avere in sottofondo la musica.
Da sempre faccio così! Oltre a essere abitudinario, preferisco il suono dolce della melodia in sottofondo, piuttosto che le notizie fresche, ma già tristemente appassite, di buon'ora. Solitamente salto il pranzo, mi faccio riempire la pancia dal telegiornale e, come spesso accade, è un vero pugno allo stomaco.

"Ricordi sbocciavano le viole
Con le nostre parole
Non ci lasceremo mai
Mai e poi mai
Vorrei dirti, ora, le stesse cose
Ma come fan presto, amore
Ad appassire le rose
Così per noi".

Appena sintonizzato il canale 70 del telecomando, l'aria di casa si è inebriata della poesia di Fabrizio De André.
Tanti, troppi anni fa, passai, assolutamente per caso, le ferie a Rodi e un conoscente di amici ci raccontava, inoltre, di aver frequentato il Maestro, come veniva soprannominato nei carruggi di Genova. Fu una vacanza nella vacanza visto il mio viscerale amore musicale per il cantante.
Fabrizio De André è ritenuto universalmente uno dei più importanti artisti italiani, soprattutto grazie ai suoi testi da molti considerati vere e proprie poesie. Gli scritti sono famosi per essere uno specchio del lato più oscuro della società, infatti trattano principalmente di emarginati e gente socialmente non accettata e giudicata. Umili, poveri, prostitute, ribelli, alcolizzati, tossici, "diversi", erano infatti i soggetti preferiti. I testi anticoncezionali vengono accompagnati da diversi stili musicali. Inizialmente De André prediligeva la ballata e la canzone d'autore, ma andando avanti si avvicinò a uno stile più vario, fatto di sonorità orchestrali, stimoli pop e rock e influenze etniche folkloristiche, producendo una musica varia e articolata.

"Oltre il muro dei vetri si risveglia la vita che si prende per mano la battaglia finita come fa questo amore che dall'ansia di perdersi ha avuto in un giorno la certezza di aversi acqua che ha fatto sera che adesso si ritira bassa sfila tra la gente come un innocente che non c'entra niente fredda come un dolore Dolcenera senza cuore".

Dolcenera penso sia una struggente ballata che nacque dopo l'alluvione che sconvolse Genova. Potrebbe essere stata scritta tranquillamente anche dopo la tragedia del Ponte Morandi. È terribilmente sofisticato l'intreccio fra realtà - amore e fato. In uno degli ultimi live, infatti, De André raccontava che "Questo del protagonista di Dolcenera è un curioso tipo di solitudine. È la solitudine dell'innamorato, soprattutto se non corrisposto. Gli piglia una sorta di sogno paranoico, per cui cancella qualsiasi cosa possa frapporsi fra sé stesso e l'oggetto del desiderio. È una storia parallela: da una parte c'è l'alluvione che ha sommerso Genova nel '70, dall'altra c'è questo matto innamorato che aspetta una donna. Ed è talmente avventato in questo suo sogno che ne rimuove addirittura l'assenza, perché lei, in effetti, non arriva. Lui è convinto di farci l'amore, ma lei è con l'acqua alla gola. Questo tipo di sogno, purtroppo, è molto simile a quello del tiranno, che cerca di rimuovere ogni ostacolo che si oppone all'esercizio del proprio potere assoluto".
Chissà cosa avrebbe potuto partorire la sua penna dopo i fatti vergognosi, oltre che incresciosi, accaduti alle 11,36 del 14 agosto 2018. Sicuramente le 43 vite, spazzate in un'istante, sarebbero state ricordate in maniera più degna rispetto all'incivile teatrino Italiota formato da tanti nani, pochi acrobati e qualche ballerina.

Dolcenera è strutturata su tre parti che si alternano continuamente, rendendo il ritmo della canzone costante e incalzante per tutta la sua durata. Le tre parti sono una sezione corale in ligure (realizzata da Dori Ghezzi e Luvi de André, rispettivamente moglie e figlia del cantautore), una sezione cantata accompagnata dall'orchestra, e una strumentale. Quest'ordine si ripete continuamente fino alla fine del brano. La musica, di cui il tema portante è realizzato dalla fisarmonica, è profonda e presente con un ritmo dall'andamento sinuoso e denso di fascino.
Finito il brano, dopo aver avidamente mangiato il pane abbrustolito con la confettura di mango e ananas (Franca sei fantastica anche tra i fornelli), ho pensato a una delle vere, grandi passioni di De Andrè: non il calcio ma il Genoa.
"Al Genoa scriverei una canzone d’amore, ma sono troppo coinvolto".

Questa frase apparve domenica 8 gennaio 2017, sulle maglie della squadra del Grifone, nella sfida contro la Roma di campionato. Quelle parole ben dimostrano l’attaccamento verso la maglia della squadra rossoblù, così viscerale dal fermarlo a scrivere brani, strofe o componimenti. Lui che ha tessuto poesie su tanti argomenti, non è riuscito a scrivere nulla sua squadra amata.

Quella di Fabrizio De André per il Genoa è una storia d’amore nata insieme allo stesso cantautore.
È una fredda giornata il 18 febbraio del 1940 e, dal momento che è domenica, in tutti i campi di calcio italiani si gioca a pallone. Allo stadio comunale del Littorio di Novara i padroni di casa affrontano il Genoa, all’epoca squadra forte e compatta, allenata da un inglese, un tale William Garbutt che si era trasferito a Genova per lavorare nel porto. Già, proprio il porto, il luogo simbolo di Genova e presente in tutta la produzione di De André. Era la ventesima giornata di serie A, il Genoa aveva 26 punti e si trovava primo in classifica a pari merito con il Bologna. Durante la partita accadde qualcosa di strano: per un errore arbitrale il Genoa battè il calcio d’inizio sia del primo che del secondo tempo. La partita continuò come se nulla fosse e terminò uno a zero in favore del Grifone. Però, giorni dopo, un guardalinee denuncerà l’irregolarità: la partita venne rigiocata e il Genoa perse tre a uno dicendo addio al sogno scudetto. Da quel momento in poi non sarà mai più così vicino al titolo. Nel frattempo comunque, in quella domenica di febbraio del ’40 e a pochi chilometri da Genova, precisamente a Pegli, in via De Nicolay 12, Giuseppe De André mette sul grammofono il Valzer Campestre di Gino Marinuzzi per allietare il dolore della moglie Luigia che sta dando alla luce un bambino.
Il dolore si trasforma presto in gioia, e il neonato mescola i primi vagiti con le note del Valzer: nasce Fabrizio De André. Nasce tra la musica. Nasce il giorno in cui gioca il Genoa. Non poteva essere altrimenti. Ed era inevitabile anche la sconfitta del Grifone, anzi, prima l’illusione della vittoria e poi la sconfitta definitiva. D’altronde Fabrizio da sempre è stato dalla parte dei vinti, degli illusi. Come il suo malato di cuore che prova una grande illusione nel baciare il suo amore, ma che poi muore per la troppa emozione. Era nato De André, il Genoa quindi doveva perdere. Non poteva essere altrimenti.
Ecco la vera essenza del calcio!
Ecco il vero, grande, unico motivo che gli amici di VxL e della Stanza hanno risvegliato in me: il pallone come raffigurazione di un ipotetico mappamondo nel quale, intorno, siamo propensi a un girotondo mediatico per ritornare bambini. Gli sfottò, le "prese per le mele", i "te l'avevo detto" sempre in funzione di "Ventidue uomini in mutande che corrono dietro a un pallone" come la definizione che indifferenti, avversari e haters danno del calcio secondo il libro di Romolo Giovanni Capuano.
Sempre con rispetto; mai una parola fuori dalle righe. Non è scontato...

Chissà cosa penserebbe De André della sua squadra, miseramente all'ultimo posto, sempre più vicina a una retrocessione a carico, come il più delle volte accade, di una dirigenza, soprattutto quella di Preziosi, che annichilisce una tifoseria appassionata sempre vicina ai propri Colori.
Sicuramente sono stati i primi tifosi in Italia, anche fosse solo per indicare un periodo storico.
Il Genoa è stato il primo club a nascere in Italia, a conquistare lo scudetto, a ingaggiare un allenatore professionista, a partecipare a una tournée in Sudamerica. Era primo in tutto, il Genoa, poi, come capita a ogni primogenito, dovette cominciare a fare i conti con gli altri. Nacquero gli squadroni metropolitani, addirittura altre formazioni in riva al Bisagno che, nel 1946, diedero vita alla Sampdoria che avrebbe avuto l’impudenza di contendere al Grifone rossoblù addirittura la supremazia cittadina, dopo che quella nazionale era già finita in altre mani. Qualche bagliore, molti magoni mandati giù a forza: nella città del Mugugno, il tifoso genoano mugugnò a lungo, avendo perso le prerogative del Primogenito. Il lieto fine che sogna, e rimarrà tale, è quello che coinciderà con la conquista del decimo scudetto. Una stella per la stella cometa del nostro calcio.

Era il 7 settembre 1893 quando un gruppo di inglesi si riunì per dare vita al Genoa Cricket and Athletic Club. Dalla denominazione si evince che il calcio non era proprio in cima ai pensieri dei fondatori, che, stando a quanto è stato tramandato, mettevano il football sullo stesso piano della pallanuoto. Il Presidente Spensley, l’uomo che fece mutare la denominazione in Genoa Cricket and Football Club, trasferì il campo da Sampierdarena a Ponte Carrega: a quel punto il Genoa era pronto a partecipare al primo campionato italiano, nel 1898, la cui fase finale (con quattro formazioni partecipanti) venne disputata l’8 maggio a Torino, tutto in un solo giorno. In semifinale, i ragazzi di Spensley batterono per 2-1 la Società Ginnastica di Torino, riservando lo stesso trattamento, e lo stesso risultato, all’International Torino in finale. Non si può ancora parlare di "scudetto" (il triangolo tricolore verrà introdotto nel 1924 e sarà proprio il Genoa ad appuntarselo per la prima volta sulle maglie), però il titolo italiano è in bacheca.

La storia di questo club può essere definita, nel corso dei decenni, come una sorta di ascensore: dopo la guerra infatti, anche a livello societario, oltre che sportivo, non c'è più stata una stabilità nella massima serie.
Retrocessione nel 1950-51, rientro in Serie A due stagioni dopo, nuovo declassamento nel 1959-60 per altri due campionati in purgatorio. Ennesima discesa fra i cadetti nel 1964-65 e, nel 1969-70, il tracollo in Serie C. Il ritorno nella massima divisione è datato 1973, ma l’ascensore riprende a scendere e a fine stagione è ancora Serie B fino al 1975-76, quando la squadra di Bruno Conti e Pruzzo, allenata da Gigi Simoni, torna nel paradiso pallonaro, salvo risalutarlo nel 1977-78. La continua altalena di risultati porta alla cessione della società da Fossati a Spinelli. Nel 1988-89, con Franco Scoglio in panchina, è ancora Serie A fino al 1995, anno dell’ennesimo ritorno in cadetteria, con tanto di "contorno" europeo, la semifinale di Coppa Uefa persa con l’Ajax nel 1991-92 dopo aver surclassato nientemeno che il Liverpool. È il canto del cigno, che precede un periodo mediocre, con continui cambi di presidenza e rischi di fallimento, scongiurati dall’intervento di Enrico Preziosi. La promozione trasformata in retrocessione nell’estate 2005, la pronta risalita e il rientro tra le Grandi sono gli ultimi capitoli di questa avvincente storia infinita, con in mezzo altre firme importanti come quella di Diego Milito.
Vedere l'anno prossimo il Derby della Lanterna (visto che anche la Sampdoria rischia grosso) il sabato pomeriggio sarebbe doloroso.
"Crêuza de mä".
"Nella stessa Genova qualcuno mi ha chiesto: "Ma in che lingua hai cantato?". Ho riposto: "In una lingua del sogno che suonasse come idioma comune a tutti i popoli del Mediterraneo" - diceva lo stesso De André.
Ecco il suo testamento, non solo musicale. Voleva che fosse l'inno del Genoa ma soprattutto dei Genoani. Si è spinto oltre, visto che è diventato molto di più.
L'arte non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è. In fondo, per me, una persona eccezionale è quella che si interroga di continuo laddove altri vanno avanti come pecore.
Grazie Faber.