Spesso rimaniamo ingannati. Questo accade perché ci soffermiamo soltanto a contemplare la superficie di quel qualcosa che ci attrae, senza farne un’analisi più approfondita. E quando invece ciò che abbiamo visto e, di conseguenza voluto, si trasforma terribilmente nell’esatto contrario di ciò che avevamo immaginato. Si entra dentro un labirinto, la cui via d’uscita sembra non esistere.

E da chi rimaniamo ingannati? Dall’oggetto? Dall’evento?
No. Soltanto da noi stessi. Dalla nostra impulsività e dalla mancata riflessione accurata che poteva condurci verso scelte migliori. Accade quotidianamente e ce ne pentiamo con il tempo. E se traslassimo il tutto nel mondo calcistico, lo possiamo vedere con Christian Eriksen: deciso nel non rinnovare il contratto con il Tottenham; sicuro di voler cambiare avventura; convinto di trovare in Antonio Conte e nell’Inter la sua perfetta consacrazione in Italia; pentito della sua scelta.

Chi è Christian Eriksen?
Il danese muove i suoi primi passi – e molto bene aggiungerei – al Middelfart, città Natale e “squadra di lancio”. Lì, viene allenato dal padre, Thomas Eriksen, e nessuno meglio di lui poteva conoscere le sue potenzialità e la sua migliore disposizione sul terreno di gioco. Christian prende appunti dal padre, evidenzia cosa è importante e cosa no, studia i meccanismi che possono renderlo più abile nella fase di costruzione e applica tutto negli allenamenti e poi nelle partite. Diventa straripante.

Il nome circola, gli osservatori si muovono e, come il danese nei suoi appunti trascrive i consigli del padre, gli scout, scrivono nei loro taccuini il nome di Eriksen. Infatti, a 13 anni, passa all’Odense, diventando ancora più promettente di quanto non lo fosse già nel Middelfart. Il danese cambiava le partite, era una vera e propria forza della natura. E se tra tutti i danesi si vociferava come uno con il futuro più radioso, cominciava a scalare anche le classifiche dei migliori talenti a livello europeo. Entra nel giro delle nazionali giovanili in breve tempo e l’Ajax non ci pensa due volte a pagare all’Odense un milione di euro per aggiudicarselo.

Le voci sul suo talento non erano soltanto di corridoio, ma giravano per vie, per città, per stati nazionali. Nel 2008, viene nominato miglior talento dell’U-17 danese. L’Ajax non poteva che essere fiera del suo nuovo gioiello. Due anni nelle fila giovanili dei lancieri, due anni dopo – nel 2010 – il salto in prima squadra. A detta di molti poteva esordire già da prima, ma non hanno voluto forzare eccessivamente il trampolino di lancio: se si sbaglia il tuffo è finita. Si muove, fa muovere e smuove le difese. Eriksen, dava adito al suo percorso di crescita e la curva diventava sempre più esponenziale. Segna in campionato, in coppa di lega, in Champions, ovunque. Ma più che segnare, fa segnare. A vent’anni, in Europa League, gioca la sua centesima partita con l’Ajax. In quattro anni, invece, con 162 presenze, realizza 32 gol e 66 assist in tutte le competizioni.
Il tuffo di Eriksen è stato una meraviglia.

Sponda inglese: la consacrazione al Tottenham

7 anni di Tottenham
. Una storia d’amore che sembrasse non finire mai. Un patto d’amore firmato il 31 agosto del 2013, quando sbarcò in Inghilterra. Un amore che sembrasse non avere una scadenza ma che potesse continuare sulle ali del sentimento. Un sentimento forte, potente, catartico.

Stagione 2013-2014 Il primo anno è stato travagliato da diversi infortuni che nel mese di dicembre hanno rallentato il suo inserimento in un contesto totalmente nuovo. Ma, come in una camera rigeneratrice, da lì, si trasforma. In campionato, trova il vizio del gol e continua a servire i compagni, come accadeva nei tempi addietro. Una propensione che non l’ha mai abbandonato, anzi, ne ha forgiato un vero e proprio giocatore. In tutte le competizioni iscrive 10 gol e 12 assist, mettendo a referto il premio di miglior giocatore danese dell’anno. I tifosi degli Spurs vengono trascinati dal suo fascino leggiadro e repentino sul manto da gioco e lo votano come miglior giocatore della stagione.

Stagione 2014-2015 L’anno successivo scambia la vena altruista con quella egoista. Ma è un dato superficiale, perché Eriksen è stato - ed è tutt’ora - un giocatore che scende in campo per la squadra e mai solo per sé stesso. Comunque, conclude la stagione con più gol che assist: rispettivamente 12 e 5. Viene impiegato molto, giungendo a 48 presenze, contro le 36 dell’anno precedente. Realizza la sua prima doppietta nella League Cup e diventa decisivo contro il Southampton, facendo strappare i tre punti agli Spurs. Bissa il premio come miglior calciatore danese dell’anno. Eriksen cominciava ad essere decisivo.

Stagione 2015-2016 Nel suo terzo anno, Eriksen, mette il turbo. E con lui anche il Tottenham. Era completamente entrato negli ingranaggi di gioco, anzi, era diventato l’elemento fondamentale per innescare il meccanismo di Pochettino. Dopo un avvio passato in tribuna causa infortunio, Eriksen dà un bacio al nuovo volto della stagione con una doppietta allo Swansea City. Una doppietta su punizione. In qualche giornata precedente si era “limitato” a fornire il passaggio decisivo ai compagni, poi diventa straripante anche sui calci da fermo. L’11 gennaio si prende per la terza volta consecutiva il premio come calciatore danese dell’anno e diventa anche il primo a riuscirci. Poi, diventa decisivo anche con il City in Premier, firmando la vittoria. Risultato: 3906’ in tutte le competizioni, 8 gol, 16 assist, terzo posto ed entrata diretta in Champions. Eriksen si era preso gli Spurs.

Stagione 2016-2017 Altra stagione, altra doppietta. Non in campionato, ma sceglie il Gillingham in League Cup. Un’altra doppietta in campionato, di nuovo lo Swansea, ma stavolta non termina 2-2, ma 5-0. Ancora una doppietta poi, Hull City come vittima. I tifosi lo idolatravano e lo votarono per la seconda volta come miglior giocatore della squadra. Poi il premio più soddisfacente, più appagante: la fascia da capitano, consegnatagli nella partita del 5-0 proprio contro il Gillingham. Una stagione paurosa quella del danese: 3167’ in Premier, 260’ in FA Cup, 100’ in Europa League, 451’ in Champions e 60’ in EFL Cup. Computo totale: 4038’, 12 gol e 23 assist. L’avventura in Champions non è andata come immaginava, ma il riscatto arriverà due anni dopo.

Stagione 2017-2018 Anno nuovo, stesso vizio. Tanti assist e innumerevoli gol: 13 e 14 rispettivamente. Trova il suo primo gol in Champions, proprio al Real Madrid e proprio nel periodo in cui si vociferava di un interessamento madrileno nei suoi confronti. Stacca 33 reti in Premier, che poi supererà, ma che saranno essenziali per consacrarlo come quel calciatore danese che più ha segnato nella storia della Premier. Poi contro il Manchester United soffia sulla 50esima candelina per numero di gol con i suoi Spurs. E poi, dulcis in fundo, viene inserito nella Professional Footballer’s Association Team of the Year. Eriksen comincia veramente a far gola alle altre squadre e, lui stesso, comincerà ad aver fame di nuove avventure.

Stagione 2018-2019 Nella sua nuova stagione incontra il suo futuro. Un incontro condito da un gol all’andata e al ritorno, da una sconfitta e da una vittoria. Ma in quel momento non c’era spazio per il domani, ma soltanto per il presente. E il presente di Pochettino significava la cavalcata in Champions. Gironi, ottavi, quarti, semifinali fino al sogno finale. Un sogno rimasto tale, perché al Wanda Metropolitano di Madrid, il Tottenham ha incontrato il Liverpool più forte di sempre. Eriksen ha giocato titolare, ma, da titolare, ha visto sfumare la Coppa dalle grandi orecchie. 200 partite in Premier e gol al Crystal Palace. Diciamo che Eriksen ha sempre accompagnato gli appuntamenti al gol o agli assist. Durante la partita in campionato contro i Reds, Eriksen diventa il primo giocatore dopo Beckam ha fornire 10 assist in campionato in quattro stagioni consecutive. Gli assist diventeranno 17 e i gol 10. Quarto titolo come miglior calciatore danese dell’anno. Era finito un ciclo.

Inizia il settimo anno, ma lo colora a metà. Muso lungo, la squadra non girava più ed Eriksen aveva bisogno di altri stimoli. A fine gennaio, quando il gong stava quasi per sancire la fine, Antonio Conte bussa alle porte del danese. Nemmeno un colloquio, lui aveva già scelto.

Eriksen in campo

Il Tottenham aveva provato a trattenerlo, ma il giocatore aveva deciso che il ciclo era ormai terminato. L’incontro con Conte è arrivato a gennaio solo perché in estate non era arrivata nessuna offerta per lui, oltre che quelle stellari dai pianeti asiatici. Ma l’amore incondizionato che hanno provato i tifosi per lui e gli strenui tentativi da parte della dirigenza di trattenerlo, avevano motivazioni ben ancorate. Eriksen era un giocatore imprescindibile per i sistemi di Pochettino. Era il fulcro del suo gioco.

Abbiamo visto un giocatore decisivo, sempre con il controllo del pallone e che potesse veramente inclinare le sorti del match in suo favore. I numeri lo hanno reso come uno dei migliori passatori del calcio mondiale, superando un certo Beckham, e trovando spesso il vizio del gol. È entrato nei dettami di Pochettino in un modo inossidabile, riuscendo a calciare tranquillamente con entrambi i piedi, scoprendo un tiro preciso e qualitativo, oltre che formidabile. Non ha mai avuto preferenze di passaggio: d’esterno, lanci lunghi, più corti, in diagonale, verticalizzazioni. Un giocatore completo che ha reso completo sé stesso.

La sua posizione prelibata è quella da trequartista, posto in posizione verticale dietro ad una punta. Una sola punta. Infatti il modulo di base era il 4-2-3-1, dove dettava tranquillamente i tempi di gioco. Ma riusciva ad impartire lezioni d’orchestra anche da interno di centrocampo (impiegato sovente da Pochettino) e da mezzala. Senza se e senza ma, il danese, riusciva ad estrapolare il meglio da ogni singola partita. Riusciva a trovare il tallone d’Achille agli avversari, trovando il modo di infilzarsi; oppure trovando il compagno giusto per poterli infilzare. <<È il cervello della squadra, il calciatore che aiuta i compagni a interpretare al meglio la partita>>, disse l’ex allenatore del Tottenham e, i tifosi con gli esperti, danno le loro conferme.

Eccezionale e raffinatissimo nel dribbling, perché Eriksen è capace di andarsene sullo stretto, facendo impantanare le linee difensive avversarie. Ma, soprattutto, spacca il cuore del centrocampo nemico, con strappi di 15-20 cm innescando il passage decisivo per i suoi colleghi.

Il dilemma interista

Sì, perché al suo arrivo si naufragava in un mare di dubbi. Come giocherà Eriksen? Quale sarà il suo ruolo in campo? Trequartista? Mezzala? Reinventato?

Tanti, forse troppi, gli interrogativi che aleggiavano intorno al danese. Interrogativi che avrebbero dovuto trovare risposte più o meno affermative da Antonio Conte. Perché il neo-acquisto si sarebbe trovato in un contesto prettamente differente rispetto a quello instaurato con Pochettino. Lì si aveva una punta, a Milano due punte. E che punte. Conte non poteva stravolgere la famosa “LuLa”. Aveva e ha meccanismi ben consolidati e non si poteva stravolgere il sistema di gioco a stagione in corso, troppo rischioso. I due venivano delegati in fase di rifinitura, con diversi palleggi a compensare l’uno a discapito dell’altro, e coadiuvati da centrocampisti che sarebbero giunti in fase di rimorchio. Il carico maggiore veniva relegato sulle due punte: il passaggio decisivo proveniva da loro, senza l’ausilio di un trequartista.

Proprio quest’ultimo ruolo, pareva molto improbabile. Specie perché in fase di costruzione, le mezzali dell’Inter tendevano e tendono ad allargarsi, sia per aiutare i difensori in fase di appoggio e di costruzione dal basso, sia per estendere le linee difensive nemiche. Quindi, l’appeal era tutto riversato nel vedere Eriksen come mezzala, anche per mutare la fase di palleggio che, spesso e volentieri, gli avversari prevedevano.

Tra dubbi e certezze: com’è andata la prima stagione?

Le certezze sono arrivate e, quella più evidente, è il rammarico in primis dell’allenatore, in secundis dal calciatore stesso, che non è riuscito ad emergere in un contesto totalmente nuovo e che adesso sta patendo una situazione per nulla armoniosa con la squadra. I dubbi, invece, girano lo sguardo sul suo futuro. Ma andiamo per gradi.

L’esordio è stato segnato in Coppa Italia contro la Fiorentina, firmando un assist che poi è stato vaporizzato a causa del fuorigioco. Eriksen era partito come mezzala molto allargata (spazio liberato da un esterno), ha scambiato un pallone con Lukaku, ha nuovamente portato palla per altri 10 metri e ha servito Lautaro con una qualità impeccabile. L’argentino avrebbe poi segnato, ma il guardalinee non era pienamente d’accordo. Nessun segno, ma la mole di palleggio e di visione di gioco c’era. Quella zona di campo era ben vista dal danese, perché scambiare con le punte e palleggiare con i colleghi di reparto, lo mettevano a suo agio nelle diverse basi di campo.

In quella successiva contro l’Udinese, il suo ruolo è stato notevolmente cambiato. O meglio, subiva una metamorfosi a seconda se si dovesse seguire la fase di possesso o di non possesso. Nella prima, rimaneva nella sua mattonella da mezzala sinistra, come nella partita d’esordio contro i Viola; nella seconda, invece, diventava un vero e proprio trequartista, in grado di pressare sulla linea difensiva (insieme alla coppia d’attacco LuLa) e pareggiare i conti con gli uomini di Gotti. Ruolo diverso e approccio di gara diverso. Un meccanismo direttamente proporzionale che lo ha portato alla sostituzione dopo nemmeno sessanta minuti di gioco.

Nel meccanismo di m’ama non m’ama Eriksen aveva dato una buona prova nella prima gara, male nella seconda e ottima d’impatto al derby contro il Milan. Oltre ad una traversa su punizione calciata da 35 metri, aveva consentito un flusso di pregevole qualità di palleggio in fase di possesso, consentendo a Conte di mantenere il vantaggio e prendere minuti contro i rossoneri. Poi, alla fine, è arrivato il quarto gol. Le soddisfazioni dell’allenatore leccese erano arrivate ma ha spiegato anche servisse tempo, visto che veniva da uno stile di gioco molto libero. Tanta panchina e poche occasioni da titolare. Proprio da titolare, ha trovato il gol contro il Ludogorets in Europa League, ma, in generale, tante partite da subentrante.

Una posizione che non rimaneva mai fissa, ma cangiava a seconda della predisposizione degli uomini in campo o dall’andamento della partita. Con la Lazio, da subentrante, ha presidiato la zona della trequarti, per poi retrocedere e lasciar spazio a Sánchez; contro la Juventus, il contrario: prima da mezzala e poi avanzato sulla trequarti, a seguito del cambio modulo. Poi, dopo la ripresa del campionato per causa Covid, Conte, ha cominciato a schierarsi con il 3-4-1-2, come se volesse stendere il tappeto rosso al danese.

Eriksen aveva più libertà di campo. Prendeva il pallone nella fase difensiva, e, con il palleggio, spesso avanzava nella zona di campo, attraverso scambi con i centrocampisti e verticalizzava con le punte. Con questo nuovo sistema, la coppia LuLa non interagiva più come prima, perché da quel momento i passes provenivano dai piedi del quattro volte miglior giocatore della Danimarca. Le soluzioni arrivavano e mutava molto la fase di possesso. Non era più monotona come il 3-5-2 che, come scritto poc’anzi, lasciava ampi margini di prevedibilità agli avversari. Ma questo non ha convinto Conte: qualche partita adottata con il 3-4-1-2, venne ritrasformata nel 3-5-2 spostando il ruolo del giocatore da titolare, a soluzione per la partita in corso.

4 gol e 3 assist in 28 partite e 1149 minuti, da quando è in Italia. In Serie A: 17 partite, 1 gol e 700 minuti giocati. In Europa League: 6 partite, 2 gol e 240 minuti giocati. In Coppa Italia: 3 partite, 1 gol e 136 minuti giocati. Media voto in tutte le competizioni: 5,95.                                                                                                                       [fonte dati, GdS, stagione 2019-2020] Questo è il bilancio di una stagione, anzi, di una metà di stagione macchiata da cocenti delusioni. Si sono susseguite tantissime voci che lo vedevano fuori dal progetto nerazzurro e sulla vetrina di vendita per la sessione estiva-autunnale, ma alla fine è rimasto. Ma come è rimasto?

Lo sfogo di Eriksen: tra polemiche e una chiamata d’aiuto

La nuova stagione non inizia bene. Ma non parlo di campo – anche se nemmeno lì c’è spazio per i sorrisi – ma dall’intervista-sfogo che il danese ha rilasciato in seguito alla prima pausa per le Nazionali:

“Di certo spero di non dovermi sedere in panchina tutto l’autunno. Almeno non è mia intenzione. Né spero che sia nelle intenzioni del club o dell’allenatore. Mi trovo in un punto in cui forse non ero mai stato prima in una squadra di club. E ovviamente diventi meno paziente quando hai esperienza e hai provato cose diverse. Che tu abbia 20, 28 o 30 anni, non vuoi sederti in panchina”.

Un urlo quello del danese. Uno che ha visto scalare la classifica dei migliori passatori della Premier, superando un certo Beckham; uno che ha concluso l’esperienza al Tottenham come uno dei migliori calciatori della storia del club; un quattro volte miglior giocatore danese, insomma, uno che il calcio lo crea e lo sa praticare, ad Eriksen non andava giù.  E anche un mese dopo lo ribadisce, quando, sempre in Nazionale esordisce con un <<almeno qui gioco>>.

Ma se la prima sembrava esser una richiesta d’aiuto, e che Beccalossi ha interpretato positivamente come la volontà di giocare e di essere protagonista, la seconda aveva una nota di polemica.

E il botta e risposta, successivo, attraverso un incontro organizzato dalla Federcalcio danese, sul suo scarso impiego, sembra essere un gettito di benzina sul fuoco:

"Questa cosa va chiesta al tecnico Antonio Conte... Chiamate l'allenatore e parlate con lui, perché le decisioni sono le sue. Nel calcio i periodi di alti e bassi ci sono sempre, solo per pochi ci sono sempre alti. Come gestisco le critiche? Sono diventato più bravo a non pensarci, perché tutti hanno un'opinione. Soprattutto adesso che mi sono trasferito in Italia, dove tutti hanno un'opinione. Si tratta di fidarsi di coloro che ti stanno vicini e non sentire il resto".

Frasi che testimoniano una situazione di insofferenza, specie perché non vive più un rapporto idilliaco con il contesto. Un rapporto che forse mai è stato idilliaco, se non quando è sbarcato ad Appiano Gentile. Né con i tifosi, né con l’allenatore e né tantomeno in campo, con i suoi colleghi. Ma la chiamata d’aiuto, quel fammi giocare è arrivato. Ora tocca comprendere il perché non è stato ceduto dall’allenatore, nonostante le diverse offerte ricevute.

Cosa farsene di Christian Eriksen?

Una domanda a cui dovrebbe rispondere Antonio Conte. Come ho analizzato nelle righe precedenti, l’ex tecnico di Juve e Chelsea, non ha mai adottato un modulo per il giocatore, ma era il giocatore che si sarebbe dovuto adattare al sistema di gioco. Anche in quelle poche gare con il trequartista, dove sembravano essere adibite per il danese, in realtà, era soltanto una scelta dell’allenatore per quelle partite. Di fatti, è tornato con il suo classico 3-5-2, facendo affidamento, in maniera preponderante, alla coppia LuLa.

Con l’arrivo di Vidal e le non-cessioni di Nainggolan e Brozovic, si è riempita drasticamente la panchina, affollando cospicuamente il centrocampo. Eriksen, adesso, si sente soffocato. Sia dalla scelta impulsiva di arrivare a Milano, sia da un allenatore che non sembra esser dalla sua parte. Usa la Nazionale come confessionale di sfogo. Le offerte di prestito erano arrivate, ma Conte ha deciso di rispedirle al mittente. Forse perché crede ancora in lui, o forse perché vuole avere la panchina più lunga del previsto, proprio per ottemperare alle partite che si giocano ogni tre giorni.

Fatto sta che Eriksen non è al centro dell’Inter. Magari pensava di essere il sole del progetto nerazzurro, che, come tutte le stelle, vede i pianeti girare attorno a sé. Ma, il danese, si è trovato ad essere un pianeta, che, come tutti i pianeti, gira attorno al sole. E l’unico sole che emana una luce immensa, è lì davanti, e si chiama Lukaku.