"En diez años tendremos un nivel de vida superior al de los Estados Unidos. Nosotros convertiremos a Cuba en el país más próspero de América, Cuba alcanzará el nivel de vida más alto que ningún país del mundo, porque mientras las grandes potencias tienen que invertir un porcentaje inmenso de sus energías en fabricar armas, nosotros lo vamos a invertir todo en producir riquezas, en hacer escuelas, en establecer industrias, en poner a producir nuestros campos, en desarrollar las inmensas riquezas que tenemos en nuestra maravillosa tierra que además de rica es taubien la más hermosa".
Fidel Castro 1962.

Nel 1953, lo stesso anno in cui terminava la guerra di Corea, moriva Stalin, il despota che per quasi vent'anni aveva tenuto l'Urss sotto la cappa di una feroce repressione, ma anche l'eroe che aveva guidato un paese a sconfiggere il nazismo.
Dopo la sua morte si svolge una dura lotta per la conquista del potere tra i maggiori dirigenti del Pcus. Dallo scontro politico uscì vincente Nikita Chruscev, che divenne il nuovo segretario generale del partito e, di fatto, il vero capo dell'Unione Sovietica. Chruscev fece una critica del suo predecessore, accusandolo di aver mirato al "culto della personalità". Cominciava così il processo di "destalinizzazione" anche dei paesi compresi nella sfera d'influenza.
Negli anni successivi, in Unione Sovietica, molte cose cambiarono: si attenuò la pressione poliziesca e mutò anche la politica economica. Si diede impulso alla produzione di beni di consumo, in modo da migliorare le difficili condizioni di vita della popolazione. Chruscev, quindi, si rivelò un riformatore, consapevole della necessità di introdurre più libertà. Quest'ultima, però, rimase limitata; il potere politico rimaneva nelle mani di una ristretta cerchia di capi comunisti che non erano sottoposti a nessuna forma di controllo democratico dei cittadini: non era eletta, ma selezionata all'interno del partito. 
Nel giugno del 1956, in Polonia, gli operai di Poznan diedero vita a una rivolta: chiedevano maggiori spazi di indipendenza sindacale, un miglior tenore di vita e uno sganciamento dalla troppo rigida tutela sovietica. Le truppe, presenti in Polonia, intervennero reprimendo la rivolta. Subito dopo venne eletto alla guida del Partito Comunista Wladyslw Gomulka, un uomo politico che i sovietici, nel 1948, avevano messo da parte accusandolo di "deviazionismo nazionalistico". Gomulka allontanò i dirigenti stalinisti, favorì l'istituzione di consigli operai e giunse a un accordo per la "partenza" delle truppe dal territorio polacco. A causa della rivolta popolare, l'esercito sovietico intervenne occupando I'Ungheria. Schiacciati dalla superiorità militare, i rivoltosi, dopo giorni di scontri nei quali vennero uccise centinaia di persone, dovettero soccombere.

La Cina si fece portatrice di un nuovo modello di socialismo, basato sulla trasformazione dell'agricoltura mediante le "comuni popolari". La destalinizzazione iniziata da Chruscev, la svolta in Polonia, l'intervento sovietico in Ungheria e il distacco della Cina dall'Unione Sovietica, turbarono le coscienze in tutto il mondo. Nel Partito Comunista Italiano, che era il più grande dell'Occidente, il gruppo dirigente guidato da Palmiro Togliatti scelse innanzitutto di confermare fedeltà al Urss, anche a costo di gravi lacerazioni al proprio interno e di una rottura con II Psi che era l'alleato nell'opposizione. Successivamente, però, maturò la convinzione che il modello sovietico di società socialista avesse molti limiti. Tra i comunisti italiani si rafforzò l'idea che ogni paese dovesse essere libero di scegliere la propria via al socialismo, senza modelli e senza schematismi.
Il comunismo riuscì a penetrare anche in America Latina, che gli Stati Uniti consideravano come una colonia da sfruttare economicamente, e dove sostenevano quei governi, in genere dittatoriali, che favorivano la penetrazione economica delle grandi imprese americane. Proprio nell'isola caraibica di Cuba, tuttavia, la strategia a stelle e strisce subì un pesante sconfitta. Contro la dittatura aveva preso corpo una forte opposizione popolare all'interno della quale si distinse il giovane avvocato Fidel Castro Ruz. Egli guidò una lunga guerriglia che...
Durò soltanto tredici giorni, ma fu una delle crisi internazionali più allarmanti. Tra il 16 e il 28 ottobre 1962 fra Stati Uniti e Unione Sovietica si sfiorò la Terza guerra mondiale, il conflitto nucleare. Almeno questa fu la percezione che si diffuse in tutto il mondo.
La causa? Cuba di Fidel Castro, o meglio, i missili nucleari che i sovietici stavano installando sull'isola e che avrebbero minacciato direttamente il territorio statunitense. Naturalmente Washington non poteva tollerare armi tanto potenti alla porta di casa: ne derivò un duro e pericoloso braccio di ferro tra le due superpotenze che rischiò di trascinare con sé il resto del mondo e che vide tra gli attori (sia pure silenziosi) la Turchia e la stessa Italia. Un gioco complesso che implicava anche la situazione di Berlino, allora divisa tra i due blocchi.
Ha citato, recentemente, la crisi di Cuba lo stesso presidente statunitense Joe Biden, usando immagini apocalittiche: "Per la prima volta da allora c'è la minaccia di un Armageddon nucleare", riferendosi alle intimidazioni di Putin. Ed esattamente sessanta anni fa, in piena guerra fredda, ogni prospettiva di confronto armato risultava estremamente attendibile, specialmente se le due potenze che si spartivano il mondo, Usa e Urss, si trovavano a contrapporsi direttamente. 
È quello che successe in quei giorni.
I motivi della crisi risalgono a qualche anno prima quando, nel 1959, il movimento rivoluzionario guidato dall'avvocato liberale Fidel Castro e dal medico Ernesto Che Guevara riuscì a rovesciare il potere di Fulgencio Batista, dittatore razzista duro e sanguinario, sostenitore degli interessi dei latifondisti e delle aziende raffinatrici di zucchero (principale risorsa economica), essenzialmente di proprietà Usa.
Per non farsi mancare nulla era amico della mafia italo-americana, che proprio a Cuba coltivava importanti interessi (gioco d'azzardo, prostituzione, droga), con casinò e locali, ritrovi abituali dei ricchi americani e delle grandi star hollywoodiane. Gli Stati Uniti lo appoggiavano decisamente, considerandolo un governo amico. Sconfitto, Batista fuggì nel dicembre 1958 portando con sé parte delle riserve di denaro nazionali; Fidel Castro e i suoi entrarono trionfalmente a L'Avana il 1° gennaio 1959. 

"La teoría de Marx nunca fue un esquema: fue una concepción, fue un método, fue una interpretación, fue una ciencia. Y la ciencia se aplica a cada caso concreto. Y no hay dos casos concretos exactamente iguales". Discorso Fidel Castro.

Il nuovo regime, con gli Stati Uniti inizialmente in posizione attendista, rapidamente avviò la riforma agraria con l'esproprio dei latifondi, la formazione di cooperative e la nazionalizzazione delle industrie, comprese le raffinerie americane. L'ambasciatore Arthur Gardner definì Castro un gangster.
L'atteggiamento Usa cambiò: ironicamente il leader sovietico Nikita Kruscev commentò che Castro non era comunista. Nel 1960 Cuba stipulò con l'Urss un accordo commerciale che inasprì i rapporti con gli Usa, convinti che il nuovo regime costituisse ormai un potenziale pericolo, tanto da instaurare l'anno successivo (25 aprile 1961) l'embargo commerciale totale con l'isola, anche per la nuova situazione di contrapposizione che venne a crearsi. E Castro fu costretto ad appoggiarsi definitivamente all'Unione Sovietica. Sull'Espresso del 20 aprile 1961, si ricorda che fin dal novembre 1959 "Il governo americano decide che Fidel Castro ormai non è più recuperabile e di conseguenza gli Stati Uniti non possono più tollerare la permanenza a capo del governo cubano d'un dittatore sempre più strettamente legato al blocco comunista". Così, già nel 1960, il presidente repubblicano Eisenhower studiò con la Cia un piano basato sugli esuli anticastristi, rifugiatisi negli Usa, per rovesciare il governo, raccomandando però che "Tutti devono essere pronti a giurare di non averne sentito parlare". 
Al momento non se ne fece nulla; ci provò l'anno dopo (16 aprile 1961) il nuovo presidente, il democratico John Fitzgerald Kennedy, segretamente, con la spedizione alla "Baia dei Porci" di esuli cubani appoggiati maldestramente, tanto da essere facilmente sconfitti, con gravi responsabilità della Cia. 
Tutto il mondo capì che dietro l'iniziativa c'era Washington.
Un robusto filo unisce l'insuccesso della Baia dei Porci alla situazione di Berlino. Il 3 agosto 1961 i sovietici costruirono il "Muro" che divise materialmente la Berlino Est da quella Ovest. Non vi fu alcuna reazione violenta da parte degli Usa. Dopo il fallimento della tentata invasione di Cuba, i sovietici ebbero l'impressione che gli Stati Uniti di Kennedy non avessero la forza di opporsi a un colpo di mano da parte dell'Urss: "Gli americani sono troppo liberali per battersi per Berlino" - dichiarò Kruscev. Con questa convinzione, l'Unione Sovietica rifornì sempre più armi a Castro, anzi alzò il tiro: costruì basi per missili a medio raggio sull'isola. L'accordo era perfetto: i cubani avrebbero potuto difendersi da eventuali nuove aggressioni e i sovietici colpire il territorio americano con precisione, rapidamente, senza dare tempo di mettere in campo contromisure. Kruscev era convinto che questo nuovo potere offensivo gli avrebbe permesso di occupare Berlino Ovest senza rappresaglie nucleari.
In ogni caso pensò che avrebbe potuto barattare le basi cubane con Berlino, per loro determinante. Oppure giocare la carta del ritiro dei missili Jupiter Usa presenti in Turchia e in Italia. Bisogna ricordare che, negli anni della guerra fredda, Berlino, diviso in due e nella Germania Orientale, con la sua posizione, aveva un'evidente importanza simbolica. Avanzare o cedere su quel punto (lasciarlo ai russi) significava di fatto avanzare o cedere anche su tutto il resto. 
Già a luglio Kennedy aveva dichiarato in tv che Berlino Ovest "Era diventata, come mai prima d'ora, il banco di prova della volontà e del coraggio dell'Occidente".
Così il presidente Usa rispose al gioco con decisione: aveva stabilito, ricorda ancora l'Espresso il 29 ottobre 1962, di "Porre i russi davanti all'alternativa di eliminare la minaccia dei missili dall'emisfero occidentale oppure essere costretti a battersi".

Il 7 ottobre 1962 il rappresentante cubano all'Onu dichiarò: "Per difenderci abbiamo acquisito l'arma che avremmo preferito non acquisire, l'arma che non intendiamo usare". Il 14 un aereo spia americano U-2 fotografò le basi missilistiche in costruzione sull'isola. Fino ad allora Kennedy aveva creduto a Kruscev che parlava solo di forniture di armi difensive, ma il 13 settembre dichiarò che "Se l'iniziativa comunista a Cuba dovesse mettere in pericolo o interferire con la nostra sicurezza in qualsiasi modo (...) o divenire una base militare offensiva di capacità significativa per l'Unione Sovietica, allora questo paese farà qualsiasi cosa debba essere fatta per proteggere la sua sicurezza e quella dei suoi alleati".

Alla notizia delle foto, Kennedy decise di tenere tutto segreto finché non fosse stata definita una linea d'azione. Il 16 le prime, accese, riunioni per definire quale atteggiamento prendere. Il segretario alla Difesa, Robert McManara, ipotizzò quella che sarebbe stata la linea definitiva: agire, intanto, in modo da prevenire l'uso dei missili, vigilando apertamente con gli U-2 e impedendo l'arrivo di altre armi con un blocco navale, avvertire che in caso di attacco, la risposta sarebbe stata non solo contro Cuba, ma contro l'Unione Sovietica con un attacco nucleare.
Il 18 Kennedy incontrò il Ministro degli Esteri sovietico Andrei Gromyko: "Le armi erano solo difensive" - ripeté il ministro - "Cuba non doveva essere più minacciata, doveva cessare la presenza occidentale a Berlino". Kennedy non gli mostrò le foto degli U-2 e ricordò gli avvertimenti già espressi, tanto che Gromyko riferì convinto a Kruscev che "Un'avventura americana contro Cuba è quasi al di là del credibile". La decisione venne presa il 20, sabato: JFK si dichiarò per il blocco. La crisi fu resa pubblica solo il 22, con un discorso di Kennedy in tv. "Noi non rischieremo prematuramente, o senza necessità, i costi di una guerra nucleare (...) ma neanche indietreggeremo da quel rischio..." - disse, e ribadì che ogni "mossa ostile" anche contro Berlino "sarà affrontata".
Kruscev tirò un respiro di sollievo: non era l'invasione di Cuba ma solo una specie di ultimatum, non c'era la guerra. Intervenne lo stesso Papa Giovanni XXIII, supplicando "tutti i Governanti" a fare "ciò che è in loro per salvare la pace". Alle Nazioni Unite il rappresentante Usa Adlai Stevenson mostrò le foto scattate dagli U-2, suscitando grande scalpore.
Kruscev rispose con una lettera conciliante, dicendosi disposto alla rimozione delle armi dietro la promessa Usa di non attaccare nuovamente Cuba e sostenendo: "... noi e voi ora non dovremmo tirare l'estremità di una corda nella quale voi avete stretto il nodo della guerra, perché tanto più entrambi tiriamo, tanto più quel nodo diventerà stretto...". 
Sabato 27 la situazione precipitò improvvisamente. Un comunicato sovietico sosteneva che Kruscev aveva offerto a Kennedy il ritiro delle armi, in cambio del ritiro dei missili in Turchia. Proposta non concordata che cambiava termini dei colloqui.
E la Turchia si oppose. Il parere informale dell'Italia, invece, detto da Andreotti, Ministro della Difesa, fu che gli italiani erano felici di sbarazzarsene. Gli americani decisero per una lettera a Kruscev in cui accettarono la prima proposta e glissarono sulla seconda. La tensione sale con la notizia dell'abbattimento di un U-2, tanto da fare confessare a McManara: "Credevo che fosse l'ultimo sabato che avrei mai visto".
E non era distante dalla verità. Nel Mar dei Caraibi un sottomarino russo con siluri nucleari era stato individuato da una portaerei e invitato ad emergere per identificarsi tramite cariche di profondità: era il codice reso noto, ma quei russi non lo sapevano e restarono in fondo per quattro ore. Senza più ossigeno, stavano per lanciare il missile contro la nave americana, credendo di trovarsi già in battaglia. Furono fermati in extremis dal comandante sovietico della flottiglia, Vasily Arkhipov, che scongiurò la possibile guerra. Kruscev accettò la proposta americana, convinto che attendere ancora fosse troppo rischioso.
L'intesa quindi è raggiunta e la minaccia di guerra nucleare scongiurata. Gli Usa promisero di non invadere Cuba e l'Urss ritirò i missili. Non si parlò ufficialmente degli Jupiter in Turchia e Italia: vennero tolti silenziosamente due anni dopo.
Anche l'Italia conquistò un suo spazio, piccolo ma decisivo. I missili erano a Gioia del Colle dal '57: l'allora Presidente del Consiglio Amintore Fanfani li aveva accettati per non scontentare gli Usa, sperando di conseguire un maggiore ruolo internazionale. Ora, durante la trattativa, Kruscev aveva citato solo i missili in Turchia, ma gli americani inserirono anche quelli in Italia per fare pressione sui turchi. Il consenso dato da Fanfani consentì di relegare in secondo piano la questione Turchia e far proseguire il negoziato. Un elemento decisivo. 
Chi vinse? A livello di media e di opinione pubblica la palma del vincitore andò a Kennedy, che vide rafforzato il suo prestigio di leader dell'Occidente, mentre Kruscev lo vide appannarsi, e solo due anni dopo perderà il potere.

Ecco, il Male è stato toccato. Quello più profondo; quello che, secondo alcuni, va penetrato, guardato in faccia per poterlo raccontare. Per farlo capire. 
Perché il male, a differenza di quello che si pensi, almeno per il sottoscritto, non ha colore, non ha odore, non ha soprattutto direzione.
"Il crollo del socialismo in alcuni paesi non significa che abbia fallito: ha perso una battaglia". Fidel Castro.
È proprio vero, come constatato, che la vita è piena di infinite assurdità, le quali sfacciatamente non hanno neppure bisogno di parer verosimili; perché sono vere.
"Il diritto di insurrezione dinanzi alla tirannia è uno di quei principi che, sia o no incluso nella Costituzione Giuridica, ha sempre piena vigenza in una società democratica". Fidel Castro.
Il cappellaio matto, in Alice in Wonderland, aveva sostanzialmente ragione:
Se io avessi un mondo come piace a me, là tutto sarebbe assurdo: niente sarebbe com'è, perché tutto sarebbe come non è, e viceversa! Ciò che è, non sarebbe e ciò che non è, sarebbe...”.