Penso che un sogno così non ritorni mai più è l’inizio della canzone italiana più conosciuta nel mondo, la celebre Nel blu, dipinto di blu (Volare) del compianto Domenico Modugno.

A Miradolo Terme, paesino di circa quattromila anime incastrato tra le province di Pavia di cui fa parte e Milano e Lodi con le quali confina, nell’ultima settimana sognavamo di festeggiare dopo poco più di una trentina di anni la promozione nella seconda categoria di calcio.
Alla fine degli anni ’80, inizio anni ’90, tra i dirigenti della squadra di giovani miradolesi che conquistò prima la seconda categoria e l’anno successivo comandò la classifica per tutto il girone di andata per poi crollare in quello di ritorno, c’era mio papà, che ieri sedeva accanto a me in tribuna a Guardamiglio a tifare, a sostenere i figli di quei ragazzi che trent’anni prima, per qualche mese, gli avevano fatto sognare quella che sarebbe stata una storica qualificazione in prima categoria.

Nella forbice di tempo che va da quel sogno infranto della prima categoria a ieri pomeriggio poca roba nel calcio miradolese, addirittura per qualche anno la scomparsa della squadra, poi la rinascita con il calcio a 7 al campo dell’oratorio che dopo una stagione trionfale ha fatto gioiosamente pensare: forse è arrivato il momento di ritornare a sognare!
Nei piccoli paesi di campagna per costruire qualcosa di importante, sportivamente parlando, occorre un grandissimo impegno della gente del posto, serve l’aiuto, il lavoro non retribuito di tanti, bisogna portare entusiasmo e voglia di giocare ai ragazzini altrimenti inevitabilmente portati a starsene sui muretti a fumare sigarette e a bere birre: i paesini sono noiosi, non c’è molto da fare se non te lo inventi.
A Miradolo un gruppo di ragazzi della mia età, di uomini della mia età, si sono inventati una squadra, hanno raccolto le energie, e in due/tre anni hanno riportato il paese intero al campo, proprio come trent’anni fa.

Ieri però la gente di Miradolo Terme ha fatto di più, è partita in massa ed è arrivata venticinque chilometri più in là, al confine tra la provincia di Lodi e quella di Piacenza, tutti vestiti di arancione, il colore della squadra, per urlare una partita intera, per incitare una partita intera quegli ormai non più bambini, per aiutarli a rincorrere, a realizzare il sogno del passaggio alla categoria superiore.
Le finali si sa sono il più delle volte strane, basta un episodio per cambiare, per ribaltare le sorti della partita, ed io dentro di me, più passavano i minuti, più non si riusciva a fare il 2 a 0, più avvertivo una sensazione negativa: la paura che allo scadere potesse succedere il dramma sportivo.
Il Guardamiglio, padrone di casa, aveva, in virtù del miglior piazzamento in campionato, a disposizione sia la vittoria che il pareggio nella finale playoff, e quando le partite non si chiudono, tutto può accadere anche all’ultimo secondo, lo abbiamo visto tantissime volte anche tra i professionisti.
Arriva il novantesimo, la partita fino a quel momento è stata a senso unico, con la squadra del mio paese padrone del campo e in vantaggio 1 a 0, con tre occasioni non sfruttate in contropiede per chiudere l’incontro che al triplice fischio peseranno come un macigno sugli scarpini di quei meravigliosi ragazzi che ci hanno fatto sognare.
Improvvisamente una mischia in area, il pallone non se ne vuole andare da quel rettangolo capace di trasformare i sogni in incubi: io sono interista e ahimè il significato di beffa lo conosco benissimo.
Ad un tratto un fischio nel silenzio assordante di un piccolissimo stadio della provincia lodigiana che per un giorno sembra San Siro.

Nessuno in campo, nessuno sugli spalti, nessuno a bordo campo attaccato alla recinzione capisce cosa è successo, non lo capisce neanche l’arbitro che ha appena messo il fischietto alla bocca soffiandoci dentro.
Tutti fermi, tutti in silenzio, l’arbitro non si muove, poi fa uno scatto verso uno dei nostri difensori ed estrae il cartellino giallo: il dramma sportivo sta per compiersi.
L’omino arrogante che non aveva estratto cartellini gialli per falli da dietro del Guardamiglio ma li aveva estratti e sbattuti in faccia ai nostri per proteste, completa l’opera indicando il dischetto del rigore.

Voglio fare un applauso a tutti quelli che hanno lottato divertendosi, facendo fare sport, facendo sport, tutti, a partire da chi si è preso cura dell’erba del campo privandosi magari di momenti di relax in famiglia dopo un’intera giornata di lavoro fino ad arrivare a chi ieri siglando l’ennesimo goal stagionale ha fatto sognare anche me che da adolescente andavo al campo comunale a tifare, e con grande piacere ci sono tornato in queste ultime settimane.
Forza Miradolo, mai mollare, l’anno prossimo un’altra finale, sperando in un arbitro diverso, in un finale diverso.