La pandemia ha spazzato e sta spazzando via molte vite, un uragano che nessuno avrebbe potuto immaginare solo un anno orsono ma che ora è diventato parte integrante di una routine dettata da regole, decreti e divieti. Quello che questo maledetto virus non ha però potuto togliere, e mai potrà farlo, è la speranza. Una parola particolare, a volte effimera, spesso troppo densa di significato, sempre soggettiva ma unità da un comune senso di positività che fa da ossimoro al 'positivo' che oggi nessuno si augura. 

La speranza di tornare alla normalità è tutto quello che ognuno asupica. Ed il calcio non può fare eccezione in questo. Populismo e dicerie a parte, l'industria del pallone è un elemento troppo importante per qualsiasi Paese europeo e l'Italia non è certo esente da questo meccanismo. Se il core è rappresentato dall'aspetto economico, il cuore (quello vero e pulsante) è quello dei tifosi che hanno il potere di tramutare ogni semplice evento in magia. Come quella che da sempre appartiene alla Champions League. Una forma d'arte troppo bella per non essere vissuta dal suo interno. 

L'ATTEGGIAMENTO UEFA DURANTE LA PRIMA FASE PANDEMICA

Ci sono stati pareri discordanti sull'operato del massimo organismo europeo sulla gestione della passata edizione della Champions League sia per quanto concerne le gare a porte aperte di inizio marzo che per la grande pressione sui club di terminare la stagione sportiva nazionale così da poter permettere di finalizzare il torneo nel mese di agosto con le modalità che l'Uefa avesse ritenuto più opportune. Le moltissime critiche piovute addosso in conseguenza a questo atteggiamento poco prudente hanno portato Ceferin ad adeguare definitivamente le fasi finali del torneo in maniera alternativa e rigidamente 'safe'. 

All'epoca si era deciso per le 'final eight' a Lisbona senza la presenza del pubblico stabilendo un accordo con le autorità sanitarie che operano a livello globale. Una decisione necessaria per decretare il vincitore della Champions nella massima sicurezza possibile anche a discapito di importanti introiti che avrebbero fatto sicuramente comodo alle società qualora avessero potuto avere anche solo parte del tifo nei propri stadi per il turno di quarti ed eventuale semifinale.

LA METAFORMOSI DEL MASSIMO ORGANISMO EUROPEO 

Terminata la passata stagione di Champions League arriva la prima 'mossa' di rilancio riguardo alla competizione. L'Ungheria è tra i Paesi meno colpiti dal Covid-19 e la Uefa approfitta della situazione per organizzare ed annunciare la finale di Supercoppa europea in data 24 settembre tra il Bayern Monaco ed il Siviglia con la possibilità di entrare alla Puskas Arena per un numero limitato di persone (saranno 16800 tifosi, il 25% della capienza totale dell'impianto). 

Una manovra studiata per far capire alle società europee di come l'organismo sia perfettamente incline ad aprire all'evento sia per l'enorme macchina produttiva che esso genera che per mantenere la spettacolarizzazione dello stesso e non svalutarlo agli occhi del Mondo. 
Una presa di posizione che nei fatti non sta trovando sostegno in questa edizione della Champions League in quanto molti governi europei non permettono neppure una minima percentuale di affluenza negli stadi, ma che ha avuto la sua completa approvazione nei pochi impianti (Ucraina ed Ungheria ad oggi) nei quali il divieto assoluto non è in vigore.

ORA LA PALLA PASSA AI CLUB 

L'idea della Uefa è più che mai chiara. Chi è più coraggioso sarà premiato con il pubblico perchè da parte nostra il placet è garantito. E se diecimila tifosi dello Stadio Olimpico di Kiev in occasione della sfida tra Shakhtar ed Inter hanno aiutato gli ucraini ad ottenere un preziosissimo punto ai fini della qualificazione, ecco che la situazione dovrà essere necessariamente valutata anche dalle altre società impegnate nel torneo più prestigioso d'europa, top club in primis. 

E se la fase a gironi terminerà con sfide di andata e ritorno come di consuetudine, la strategia dagli ottavi fino alla finale (già programmata allo stadio Ataturk) potrebbe vedere coinvolti direttamente i club e la loro capacità di individuare il giusto impianto per ospitare le gare 'casalinghe'. Con una Uefa sempre propensa all'approvazione di una percentuale di tifosi in base ai protocolli sanitari locali vigenti, ecco che i club potrebbero iniziare un analisi di mercato territoriale per capire dove il proprio brand/asset potrebbe garantire un'eventuale affluenza ed una reale passione sugli spalti qualora la propria squadra sia impegnata dagli ottavi fino all'eventuale semifinale. 

L'analisi di mercato è ovviamente soggettiva ed affidata ad ogni singolo club, così come le strategie di marketing (con la parte social media e comunicazione che oggi sono più che mai un volano per la crescita del brand e la propria awarness) che permettano la crescita in termini di visibilità e sviluppo. Un lavoro minuzioso, personalizzato e più che mai creativo dovrà essere prodotto da parte di ogni club da parte dell’area media per accattivare l'attenzione e l'interesse del tifoso, portandolo fino al proprio stadio nazionale con tanta passione. Le vie per arrivare alla decisione finale riguardo alla città ospitante sono molteplici ma essenzialmente si baseranno sull’indice di visibilità e gradimento riguardo ai contenuti multimediali creati dal club.

Anche se si parla di Champions League, uno sguardo anche fuori dai confini europei sarà più che legittimo almeno fino alla middle-east asiatica (non oltre per evitare trasferte troppo distanti nel corso della stagione sportiva). 

Se l’engagement più alto sarà, ad esempio, negli Emirati Arabi la società potrà tranquillamente proporlo alla Uefa.

SCADENZE, ACCORDI PRIVATI E GUADAGNO COMUNE

Un lasso di tempo di natura trimestrale, periodo nel quale ogni club avrà modo di attuare la propria analisi di mercato e le conseguenti valutazioni sulla stessa. Il termine di scadenza sarebbe il 31 gennaio 2021, a due settimane dall'inizio delle sfide d'andata degli ottavi di finale, nella quale ogni club dovrà inviare alla Uefa la città e lo stadio ospitante per le gare casalinghe che dovrà obbligatoriamente rimanere la medesima, eccezion fatta per motivi di carattere sanitario. 

Ogni club dovrà intavolare e finalizzare privatamente l’accordo economico con il club ospitante (es. il Bayern Monaco che deciderà di giocare nello stadio del Bate Borisov, la Barysaŭ-Arėna) come il pagamento dell’affitto per l’evento, la spartizione degli introiti legati alla biglietteria fino al merchandising dentro e fuori all’impianto. Un accordo totale da comunicare alla Uefa entro la data di scadenza così da permetterle di ufficializzare date e luoghi degli ottavi di finale. 

Ovviamente, se la situazione sanitaria dovesse peggiorare nel Paese designato e richiesto dal club la Uefa, in accordo con il governo che ospiterà l’evento, avrà la possibilità di variare il luogo della partita che tornerà ad essere a porte chiuse nel Paese del club richiedente. Una possibilità che il massimo organismo europeo cercherà in ogni modo di non attuare in quanto la manifestazione perderebbe quel lato di spettacolarizzazione per vendere il prodotto in tutto Mondo con il giusto profitto. 

Le eccezioni su tutto questo disegno sarebbero due. La prima è legata alla possibilità di giocare nel proprio stadio a porte aperte con l’analisi di mercato sopra descritta che passerebbe, ovviamente, a Piano B per le società. La seconda sarebbe legata alla possibilità di non poter giocare a porte aperte nello stadio ‘Ataturk’ di Istanbul per problemi di natura sanitaria. In questo caso la sede della finale cambierebbe nell’impianto designato da una delle due finaliste, dando la priorità a quella meglio piazzata nel ranking europeo. 

Solo nel caso nessuna delle due ipotesi potesse essere attuabile sarà discrezione della Uefa trovare il giusto impianto per disputare l’atto conclusione della manifestazione.