Nel 1965 le immagini TV in bianco e nero erano ancora sbiadite e confuse e le riprese erano quasi esclusivamente effettuate da telecamere fisse; avevo 11 anni e non avevo mai visto prima una gara ciclistica. Innamorarsi del ciclismo e entusiasmarsi per Gimondi è stata una sola unica, indicibile emozione.

Nel 1965 Felice Gimondi era al primo anno di professionismo e aveva firmato un contratto con la Salvarani, il cui capitano era un certo Vittorio Adorni; e fu come gregario di Adorni che si comportò benissimo al Giro d'Italia, non solo coadiuvando il suo capitano alla vittoria finale, ma riuscendo a salire egli pure sul podio, come terzo classificato.

Fu per questo e per la defezione di un suo compagno di squadra, che Felice fu designato a partecipare al Tour de France, cui non avrebbe invece dovuto presenziare; queste cose accadono e si dice che sia il disegno del destino.

Quel Tour del 1965 fu la nascita della stella ciclistica più luminosa prima dell'avvento nel 1967 del suo acerrimo rivale Eddy Merckx. Come ben si sa il nazionalismo francese è senza pari, ecco perchè nella corsa di casa, benchè rappresentati al più alto livello da un autentico campione come Raymond Poulidor, ampiamente pronosticato come vincitore di quella edizione, i francesi adottarono subito quel giovane italiano della provincia bergamasca, finanche a francesizzarne il nome in Gimondì, con quella i finale accentata, che anni dopo servì a rendere analogo omaggio, perchè di questo si tratta, a un altro grande ciclista italiano Marco Pantani.

Dire che Gimondi dominò quella edizione del Tour è riduttivo: si prese la maglia gialla alla terza tappa e la conservò quasi ininterrottamente (eccezion fatta per due sole tappe) fino al traguardo finale di Parigi.

Il mondo attraverso quelle difficoltose immagini imparò presto a distinguere la pedalata elegante e potente, la posizione aereodinamica e quasi allungata sulla bicicletta e quella testa e quel vistoso e ricurvo naso che sembravano fatti apposta per fendere l'aria.

Sulla sua bici Felice non scattava, non cambiava passo, non saltava sui pedali, non si alzava dal sellino; no lui era diverso; azionava il cambio e modificava il rapporto alla sua bici, dopo di che spingeva come solo lui sapeva fare; un motore che alzava i suoi giri a livelli inarrivabili per i suoi avversari.

E ciò avveniva sia quando la strada si sviluppava ondeggiante ed era la lunghezza del percorso a gravare sulle gambe dei corridori, sia quando si inerpicava lungo pendii sempre più ripidi e arditi, che sembravano inadatti a un fisico strutturato in altezza e il cui peso rappresentava pura zavorra sulla bici, come in effetti era quello di Gimondi, alto 181 cm e 71 kg di peso.

Non meno esplosivo Felice si dimostrava nelle gare a cronometro, quando la lotta si spostava contro le lancette di un orologio e l'atleta rimasto solo con la bici e se stesso, deve far ricorso alle sue forze fisiche e mentali, per tirare fuori tutto quello che ha, con la paura che tutto quello che ha potrebbe non bastare...

Nella sua forma migliore, Felice non dimostrava stanchezza o sforzo, neppure quando l'azione era al massimo dell'impegno; solo una maggiore frequenza dell'ondeggiare delle spalle e il viso che sembrava affilarsi sempre più, denunciavano lo sforzo maggiore dell''atleta.

Non essendo scattista, né scalatore, non era difficile staccarlo dove il terreno privilegiava i rivali specialisti, ma lui sapeva rifarsi sotto, con la cocciutaggine, la determinazione, la incrollabile fede di poter riuscire con la volontà dove forse il solo atleta non sarebbe bastato.

Fu questa la vera virtù che parimenti all'atleta fece eccellere l'Uomo; una persona seria, onesta, sincera e diretta; per guadagnarsi qualcosa, qualunque cosa bisognava lottare e soffrire e nessuno come lui lo sapeva fare.

Chiunque avesse trovato nel momento magico della propria vita, un concorrente che si dimostrava superiore, che non lasciava nulla agli avversari, che ti privava dei tuoi sogni di gloria, si sarebbe arreso impotente a cambiare le cose.

Gimondi incontrò Merckx nel 1967, dopo solo due anni di professionismo e capì che il belga era fuori concorso; un alieno con super poteri ed enorme ego, contro umanissimi e umilissimi avversari, che in ogni gara si contendevano il secondo posto, quello dei battuti; e tante, troppe volte quel secondo posto è stato appannaggio di Felice Gimondi. Merckx non solo era un fuoriclasse, ma voleva vincere sempre e tutto: anche le esibizioni. Per questo lo chiamarono "il cannibale"!

Chissà quante volte Felice ha pensato "se non ci fosse lui..." e forse, legittimamente si sarà sentito sconfitto immeritatamente, non dal suo avversario di altra categoria per tutti, ma di quel maligno destino che glielo aveva messo accanto nella stessa epoca. Eppure dal 1965 al 1979, Felice Gimondi ha vinto tutto quello che si poteva vincere e il suo palmares di fine carriera ci indica in 118 vittorie il numero complessivo dei suoi trionfi sportivi da professionista, nonostante Merckx...

E la storia oggi ci dice che vanno sottolineati, tra gli altri successi, tre autentiche imprese: la prima, in gara a Montjuic, quando vinse la maglia iridata di Campione del Mondo, battendo non solo  "il cannibale" ma anche il famoso spagnolo Luis Ocana e l'altro belga Freddy Maertens giovane promessa ed erede designato di Merckx. Ebbene sul terreno più infido per lui, ripetiamolo, che non era scattista, Felice Gimondi trionfò in volata, dopo una gara in cui l'abnegazione, la fame, la voglia e il credo prevalsero sulla ragione. Che grande soddisfazione per il campione bergamasco.

La seconda grande impresa ci dice oggi la Storia, sta nella durata delle due carriere: il corridore italiano vinse prima, durante e dopo l'interregno del cannibale, che evidentemente bruciò il motore della sua astronave ben prima di quanto duri in media la carriera di un ciclista.

La terza impresa, la vittoria più bella e meritata,  è dell'altro ieri, quando per la prima volta nella sua vita Eddy Merckx alla notizia della morte di Gimondi ha pubblicamente dichiarato "....oggi perdo io". 



Ciao Felice. Grazie di tutto e R.I.P.

ARMANDO WJAN