Ormai era giunto il momento di farla finita; da 37 partite si era vissuto in apnea, gioendo per le vittorie e patendo le sconfitte, maledicendo il calendario fitto che ti costringeva a giocare ogni 3 giorni e imprecando per le interruzioni quando era il turno delle Nazionali.
Ciò che però risultava insopportabile era l’attesa delle partite; le insipide vigilie vissute nel lento trascorrere delle ore, cercando notizie che non c’erano, aspettando le anticipazioni delle trasmissioni sportive, le presentazioni di giornalisti che nulla potevano aggiungere a quello che già si sapeva.
Alla vigilia dell’ultima giornata però il nervosismo dell’attesa aveva superato i limiti di guardia; da una parte il MONDOMILAN in attesa da 11 anni di una vittoria che riportasse i rossoneri allo status di Campioni d’Italia, dall’altra il MONDOINTER stressato da un continuo altenalente inseguimento, convinti di essere i più forti, ma ormai alla vigilia di un epilogo senza appello: vincere potrebbe non bastare per VINCERE DAVVERO.

La conferenza stampa degli allenatori stimolava il campanile e accelerava le scariche di adrenalina. Simone Inzaghi si mostrava sicuro di sè: i dirimpettai rivali della sua Inter avrebbero inciampato e i nerazzurri sarebbero stati lì pronti ad approfittarne, a riprendersi la leadership della classifica, quindi ipotecare il TITOLO e ricamarsi sulle maglie nerazzurre una seconda stella, simbolo dei 20 scudetti.
Pioli al contrario si concedeva ai cronisti con un po’ di nervosismo malcelato, che comunque era bravissimo a dissimulare; le sue parole erano di fiducia nella Sua squadra, nella consapevolezza che i suoi ragazzi avrebbero dato tutto e che questo tutto poteva bastare o no per restare in vetta, ma era tutto ciò che umanamente si poteva chiedere.

Per la PRIMA e UNICA volta l’orario delle due partite era lo stesso: ore 18; perchè la Storia ce lo insegna: un EVENTO non può verificarsi in tempi diversi; a titolo esemplificativo ce lo hanno detto  Zinnemann, indimenticato regista del capolavoro western “Mezzogiorno di Fuoco” e Federico Garcia Lorca nel suo triste grandioso immortale lamento funebre noto al mondo come “A las cinco de la tarde”.
Similitudini non solo per l’espressione temporale, ma per le storie che esprimono tutti i valori più maestosi dell’esisrenza, amore e coraggio, odio e rancore, rispetto e vendetta, lacrime e sorrisi, disperazione e speranza, lotta e abbandono, MORTE e VITA. 
Storie di duelli rusticani all’ultima goccia di sangue, chi perde muore e chi vince non è detto che sopravviva…; di là uno sceriffo (Gary Cooper) che attende la resa dei conti promessagli dal suo acerrimo nemico, ne uscirà vincitore ma solo del duello, perchè deluso dalla viltà dei suoi concittadini, butterà sprezzante la stella di sceriffo nella polvere lasciando la città.
Di qua una corrida dove il duello è parimenti cruento e sarà il torero per una volta a soccombere incornato a morte dal toro provocato, furente, ferito.

Alle 18 della sera a 150 km di distanza i duellanti sono di fronte, non si vedono ma sono presenti, affrontano altri comprimari, ma la “garra” è quella di un confronto diretto.  
UNA VUOLE VINCERE, L’ALTRA DEVE VINCERE. 
SOLO UNA SARA’ CAMPIONE D’ITALIA- SI APRANO LE DANZE PER FESTEGGIARLA.