Ho voluto, dal titolo, mettere la risposta che il babbo dava, prima di argomentare, a chiunque chiedesse, anche con disprezzo, cosa volesse dire occuparsi di politica. "Ricordati la P maiuscola" - mi sembra di sentirlo; "io l'ho fatto, per oltre mezzo secolo, sempre con impegno e la coscienza pulita..."

Una delle grandi passioni della vita di mio padre, oltre al Toro, era, indissolubilmente, la politica. Non vorrei essere troppo di parte e neppure superficiale. Altro che sporca, per lui la politica era una cosa seria e nobile.
Mio nonno Pietrino fu il segretario della locale cellula del PCI e membro del CLN, dalla Liberazione fino al 1946, ma non fu mai un estremista neppure nei giorni caldi del dopo guerra. La sua esperienza sì esaurì quasi inevitabilmente alla vigilia della Costituente, con le dimissioni pubbliche dal partito.
Questa scelta di libertà, sofferta e di coscienza, gli costò assai cara. I fascisti, durante il ventennio, lo avevano considerato un comunista, i comunisti, dopo quel gesto, lo considerarono, senza mezze misure, un fascista.
Fu attaccato pubblicamente e il suo isolamento fu totale. Solo i compagni Mario F. e Livio R., amici di tante comuni battaglie, gli espressero una coraggiosa solidarietà. Dignitosamente continuò a seguire con passione gli avvenimenti del paese, ma non fece più politica attiva. Credo che gli sia mancata...
Nel CLN, erano entrati già dal periodo clandestino, per il PCI Otello D. (presidente) e Antonio T., Giulio B. per i socialisti, Faustino F. per la DC, Luigi B. per il Partito d'Azione e Carlo M., indipendente. Prima delle elezioni amministrative del 1946, che confermarono sindaco Ferdinando C. S., segretario e fondatore della sezione locale del partito socialista, erano stati nominati al vertice dell'amministrazione comunale Alessandro S., un veterinario di Grosseto, Giulio B. fino all'11 gennaio 1945, Luigi B. del Partito d'Azione nei tre mesi successivi e lo stesso sindaco in aprile. Le nomine del Governatore erano tutte decise d'intesa con il CNL locale.
In consiglio comunale erano entrati otto consiglieri comunisti, altrettanti socialisti e quattro per la minoranza, democratici cristiani e partiti minori. Le riunioni consiliari erano tenute in un'aula delle scuole elementari, perché la sede del comune si era trasferita provvisoriamente in via Garibaldi, sopra la sede della Casa del Popolo, un ufficio anche a pianterreno con una finestra sulla strada, dove lavoravano Nello C. e Aldo T.
Il 2 Giugno dello stesso anno, i socialisti avevano ottenuto, anche a Rignano, un grande successo elettorale, piazzandosi con 1.216 voti alle spalle del PCI, primo con 1.409 e davanti alla DC, che superò in ogni modo i mille voti, 1.079 per l'esattezza. Nel referendum, la Repubblica aveva riportato 2.925 voti (77%) contro i 976 della Monarchia (23%). In paese erano rappresentati anche i partiti minori e non mancavano i neofascisti.
Il clima era ormai rasserenato: la moderazione e l'equilibrio prevalenti in seno al CLN, la presenza degli alleati e, fino al 1947, la partecipazione delle sinistre al governo del paese avevano fatto sbollire alcune pericolose velleità punitive di epurazioni sommarie, sanguinose rappresaglie e bastonature esemplari. Velleità che pure c'erano state e come! Fu allontanato solo il segretario comunale P., che in quei giorni sfidò anche la benevolenza delle "colombe", rinnovando la sua fedeltà al fascismo. Con qualcuno volarono anche alcuni ceffoni, ma la convivenza civile recuperò presto livelli accettabili. Così almeno fu indotto a credere le concordanti testimonianze raccolte dal babbo.

Un ritorno di fiamma però era alle porte, alimentato da alcuni avvenimenti nazionali, quali la scissione socialista, l'uscita delle sinistre dal governo, la vittoria plebiscitaria della DC, il 18 Aprile 1948, la scomunica dei comunisti del '49.
Da qui cominciano i ricordi vivi tramandati da mio padre.
Del 18 Aprile gli sovvenne il grande attivismo dei due partiti in lotta: la DC e il Fronte Popolare. Il botta e risposta in un grande comizio in piazza fra le due donne più famose degli schieramenti: Bianca B. e Vera D. La grande quantità di manifesti affissi per tutto il paese. Non esisteva, infatti, allora alcuna regolamentazione, l'affissione era libera. Era così un continuo rincorrersi fra gli attacchini, tutti volontari. Molto attivi, anche a Rignano, i Comitati Civici e l'associazionismo cattolico.
L'impegno nella propaganda fu totale. La signora Bebe e la Gemmina partivano la mattina, tutti i giorni, con una borsa piena di volantini. Tornavano la sera dopo aver distribuito il materiale. Facevano casa per casa, anche in aperta campagna, e insegnavano a votare alle persone anziane.
Un giorno, nel luglio di quello stesso anno, il babbo stava rientrando a casa dal greto dell'Arno, dove era andato a fare il bagno. Più si avvicinava al paese, più notava un certo movimento che era strano per l'ora e il periodo estivo. Venne a sapere che un certo Pallante aveva sparato a Palmiro Togliatti e che il leader comunista era in fin di vita. Era proprio capitato nel mezzo del concentramento verso la Casa del Popolo; da qui sarebbe partito il corteo dei manifestanti. Il clima era assai rovente. Numerosi i blocchi stradali. Pur nell'incoscienza giovanile, qualche timore lo nutriva. Mio nonno "non era più di loro", in aprile il babbo aveva fatto il galoppino DC, tutto questo poteva anche scatenare, in qualche testa calda, un certo risentimento. Vide partire il corteo; di corsa attraversò il campo del Feroci per abbreviare la strada che lo avrebbe portato al Montelucci, dove abitava. La massa di gente prese un'altra direzione. Si portò in Piazza del Comune. Il senso di responsabilità del PCI a livello nazionale, la decisiva mediazione del sindaco a livello locale, con l'operosa collaborazione di Adelmo S., segretario della Camera del Lavoro, e la leggendaria vittoria di Bartali al Giro di Francia fecero il resto e tutto tornò alla normalità.

Il 1951 fu l'anno dell'alluvione nel Polesine. Nacque la "catena della solidarietà" per una popolazione che aveva perso tutto. Il priore, nelle cerimonie religiose della domenica, non mancava di sensibilizzare il popolo rignanese. La risposta fu immediata e generosa; l'impegno non mancò neanche in questa triste circostanza. Fu mobilitata tutta l'Azione Cattolica e, sotto la direzione della signora Teresa, prese il via la "raccolta": qualsiasi cosa andava bene. Fernando B. si mise a disposizione con il suo camion, pavesato con bandiere tricolori e grandi cartelli che si richiamavano alla solidarietà. Anche il babbo, per un intero giorno, si rese disponibile al giro nelle "frazioni": Troghi, Le Corti, Torri, Volognano e Rosano. Lui e la "Bebe" in piedi sul camion, muniti di microfono, sollecitavano tutti a essere generosi e solidali. Al ritorno, la sera, il camion era pieno. Anche questa era fatta!

Qualche anno dopo, il 7 Giugno 1953, la battaglia elettorale si accese di nuovo violentemente. La legge maggioritaria non sarebbe scattata per un pugno di voti. In campagna elettorale, Fosco M. e Silvano C. riprodussero in un grande cartellone una vignetta di Guareschi, apparsa sul "Candido". Il cartellone fu esposto nell'ultima notte consentita prima del voto, accanto alla casa del B. Era di una grandezza enorme, in una posizione strategica. La vignetta riproduceva il volto di Stalin, morto nel marzo di quell'anno: berretto con stella da soldato russo, occhiaie vuote e inequivocabili baffoni. Lo slogan ammoniva: "Stalin è morto, Dio no: pensaci (compagno) prima di votare (contro Dio)".
La tensione in paese era oltre il limite di guardia, anche perché durante la campagna elettorale, un avvenimento scosse l'intero paese: la profanazione della Chiesa di San Leolino, che per questo rimase chiusa al culto per lungo tempo, durante il quale le funzioni religiose furono celebrate nella Cappellina dell'Asilo Giacomelli, al centro del paese, e a San Clemente. Le indagini non portarono a niente. Qualche mese più tardi la riconsacrazione della Chiesa. La cerimonia coinvolse tutto il Valdarno, portando a Rignano centinaia di persone mai viste prima, alla presenza di autorità civili e militari.
La passione politica si manteneva altissima, sull'uno e l'altro fronte, moltissime sarebbero le persone da ricordare; testimoni di un impegno civile, che fu largamente diffuso e sostenuto da tutti gli schieramenti in lotta protagonisti della vita politica rignanese del primo dopoguerra.
Fino alla seconda metà degli Anni Cinquanta, l'amministrazione comunale continuò a essere guidata dal Sindaco C., il quale, nonostante capeggiasse una giunta di sinistra, agiva super partes, con un occhio attento al bilancio in pareggio, alla ricostruzione del paese e soprattutto ai problemi della gente. Durante i suoi mandati, videro la luce il nuovo Municipio, il Ponte di Rosano, le scuole elementari nelle principali frazioni del Comune, le case popolari di via Garibaldi e di Pietrone, il nuovo acquedotto, la sistemazione della rete stradale e si completò l'opera di ricostruzione. Furono anche piantati i pini in piazza del Comune e ai giardinetti. Qualche anno dopo, il sindaco della "Ricostruzione" sarebbe finito sui banchi dell'opposizione, con i socialdemocratici.
Nei partiti la partecipazione era intensa, riunioni frequenti dibattevano i temi della politica nazionale e internazionale. Alla vigilia dei congressi provinciali, c'erano le assemblee locali di sezione, animatissime, che esprimevano i delegati e poi c'erano le elezioni, politiche e amministrative, i comizi, anche nelle frazioni, in piazza uno dietro l'altro, sul palchetto fatto da Ronge e appoggiato contro la facciata del Comune, dal lato ferrovia. Quando parlava un DC, dai "treni operai" come si chiamavano allora i treni dei pendolari, partivano bordate di fischi che avrebbero interrotto anche il Giudizio Universale. Tremava anche la vecchia edicola in legno di Laurindo, nella quale, con l'aiuto dell'Assuntina, credo che Gian Piero abbia imparato a leggere, sfogliando gratis i giornalini di Nerbini. Alla fine di quegli anni fu sostituita da una in muratura, sormontata da una insegna luminosa al neon "Giornale del Mattino", che le FS fecero togliere poco dopo perché giudicata pericolosa per il traffico ferroviario.
La piazza, dove un più anonimo Monumento ai Caduti aveva sostituito la popputa [cit. dialettale: seno enorme] statua dell'anteguerra, con i tavolini di Brunero, che aveva rilanciato il Bar già di Tito e del B., con le panchine del Comune, era tornata cuore e parlamento di un paese del Valdarno ormai avviato a entrare, senza rimpianti, negli anni del "boom".

Nel 1954 anche babbo Carlo, dopo Fosco, si trasferì con la famiglia a Firenze...
Ho conosciuto molte delle persone ricordate da mio padre nel suo lungo percorso politico. Ho tuttora vivi ricordi: un personaggio che mi teneva sulle ginocchia, un altro che mi incoraggiava ad andare avanti e trovare ogni spunto interessante nel mio cammino. La mia è, paradossalmente, sempre stata una vita dentro la politica. Ogni cosa, fatto o luogo ne sono sempre stati condizionati. Ho nella mente riunioni fiume, uffici politici, pranzi più vicini alle merende e cene mentre mettevo il pigiama per andare a letto.
Scappellotti, buffetti sulle guance, matite di una volta metà rosse e metà blu, "ricordini" che il più delle volte avevo visto sparsi in qualche cassetto dell'ennesima segretaria. Sembra, già da queste poche righe, che, raggiunta la maturità, mi voglia rifare di un passato che non ho ancora totalmente digerito. E invece non è cosi.
Ho visto gli uomini.
Non erano numeri, "santini", poster fotografici che nel tempo, sgualciti, vanno in ogni dove, ma persone da cui, anche se in giovane età, ho potuto imparare molto. Li ho visti preparare discorsi, relazionare i propri collaboratori, affinare le strategie, incazzarsi dalla paura.
Erano presenti, avevano una propria identità e non solo di "corrente". Anche loro, come me, hanno, chi più chi meno, raggiunto gli obiettivi e io, insieme a mio padre, ho potuto godere dei loro successi mai dovuti al caso. Non finirò mai di abbandonare la memoria e ringraziare coloro che mi hanno fatto conoscere quella vita che riusciva a formare, rendere autonomi e a credere. 
Credere.
L'ho fatto prima: adesso, se non riesco ancora a comprendere se siamo passati alla terza o quarta Repubblica, a cosa ho diritto di credere? Sono altresì convinto che ora sono tutti portati a farci credere. Che cosa?

Mi sono imbattuto in un libro che ho cominciato a divorare come se il tempo volesse raggiungermi. Non so cosa mi ha colpito, l'odore di muffa, la carta ingiallita, il retro con la scritta lire tremilaquattrocento ma una volta cominciato, mi sono reso conto che l'autore, il prof. Pietro Scoppola, aveva fatto centro cogliendo la mia attenzione: "Nella storia degli uomini vi sono sempre elementi di necessità strettamente intrecciati con elementi di libertà. Sottolineare gli elementi di necessità non significa scegliere la strada facile del giustificazionismo di ciò che è accaduto, solo perché è accaduto. Non penso davvero che il giudizio storico possa prescindere da valori o categorie di giudizio (o come altrimenti si voglia chiamarli); ma i valori non possono essere maneggiati come un metro con cui misurare gli eventi dall'esterno: vanno scoperti dentro gli eventi stessi. Fra uno storicismo che tutto giustifica e una storia che giudica, assolve o condanna, secondo premesse ideologiche di vario tipo, credo vada cercato lo spazio per una conoscenza storica che comprende quello che è accaduto come un momento del processo sempre aperto di liberazione dell'uomo. Perché la conoscenza storica contribuisca a questo sforzo di liberazione non credo che giovi il rimpianto per momenti di libertà che non si sono compiutamente espressi o per alternative che non si sono realizzate. La comprensione critica di quello che è realmente accaduto, così come è accaduto, è ancora, forse, la premessa migliore per una più ampia libertà nel presente".

Anche per questo insegnamento ti voglio bene.
Grazie Babbo, ovunque tu sia...