L'11 marzo 1985 divenne segretario del PCUS l'allora capo del KGB Michail Gorbaciov. Conosceva benissimo la situazione interna dell'Unione Sovietica, quindi decise di varare un ambiziosissimo piano di riforme. L'economia sovietica era arretratissima, stagnante e basata quasi esclusivamente sull'industria pesante; l'apparato militare gigantesco, ma obsoleto. La società era inquieta per la palese inferiorità rispetto all'Occidente e le tensioni, soprattutto tra i giovani, erano molto forti. Il nome del programma di riforme che intese attuare prese il nome di Perestrojka, che in russo significa "rinnovamento". Prevedeva, in primo luogo, l'introduzione della libertà economica nelle piccole imprese: sotto Gorbaciov I'Urss raggiunse, come primo obiettivo, il massimo delle importazioni di grano dagli Stati Uniti e dal Canada.
Intese concedere ai contadini la proprietà e l'ereditarietà degli appezzamenti di terra che coltivavano; vi fu lo smantellamento dei sovkoz e dei kolhkoz, che vennero trasformati in piccole cooperative agricole, e le terre, conseguentemente, furono distribuite tra i contadini. Le grandi imprese di stato rimasero sotto il controllo del partito, ma venne deciso che i vari manager di apparato, che guidavano, dovevano seguire criteri di produttività e di profitto, avendo in cambio libertà decisionale.

L'altro aspetto della politica fu la Glasnost, "trasparenza". Gorbaciov, avendo nemici all'interno del partito, doveva avere un modo per renderli innocui: la nuova decisione prevedeva che le riunioni fossero pubbliche e che tutti i cittadini avrebbero potuto partecipare per poter esprimere il proprio parere; in tal senso, sconvolgente, fu la possibilità di potere esprimere opinioni discordi da quelle dei segretari, per questo fu ammessa la nascita di opinioni e correnti all'interno del partito formando, di fatto, tre gruppi. I conservatori, contrari alla glasnost, perché ritenevano che avrebbe causato la fine del partito; i riformatori radicali invece la ritennero necessaria al fine introdurre piene libertà politiche e trasformare l'Urss in una Repubblica Federale sul modello occidentale. Tra questi due orientamenti vi erano, infine, Gorbaciov con i propri sostenitori che volevano fare nascere un sistema assolutamente innovativo, per contesto e periodo storico, in cui convivessero entrambi i modelli.
L'azione cominciò a Mosca il 6 gennaio con una notizia promettente. Il governo decise la riabilitazione postuma di alcune migliaia di cittadini sovietici che furono vittime delle purghe staliniane fra il 1930 e il 1950. Non era la prima volta; anche Krusciov aveva denunciato i crimini di Stalin, aperto i lager, restituito la libertà a Solgenitsin, permesso la pubblicazione del clamoroso libro "Una giornata nella vita di Ivan Denisovic". Il provvedimento di Gorbaciov si inserì in una più coerente politica riformatrice; nel giugno dell'anno precedente propose, a un congresso straordinario del Pcus, la riforma del sistema politico sovietico: alla fine di marzo, il paese sarebbe andato alle urne per le prime elezioni "pluralistiche" nella storia dell'Urss. Vi sarebbe stato ancora, come sempre, un solo partito, ma gli elettori avrebbero potuto scegliere fra deputati concorrenti. Dopo molte incertezze, le democrazie occidentali decisero che Gorbaciov faceva sul serio e avrebbe meritato una sorta di "sdoganamento".

Vi fu un aspetto delle sue riforme, tuttavia, di cui il leader sovietico non sembrò avere calcolato le conseguenze e che diverranno successivamente la nota dominante di tutti gli avvenimenti del 1989. Nei Paesi del grande universo comunista ogni iniziativa riformatrice di Mosca suscitava reazioni diametralmente opposte. In quelli che maggiormente si staccarono dai canoni dell'ortodossia, i segnali di Gorbaciov produssero immediatamente effetti ancora più avanzati e democratici. Nei paesi dove la dirigenza comunista contemplò la perestrojka con irritazione, le iniziative di Gorbaciov sollecitarono, inevitabilmente, un giro di vite. A ogni passo avanti del regime sovietico corrisposero generalmente due passi avanti degli "eretici" e un passo indietro degli "ortodossi".
A Budapest, l'11 gennaio, il parlamento ungherese approvò una legge che permise la formazione di nuovi partiti politici. A Praga, il giorno dopo, la polizia disperse duramente una manifestazione per il ventesimo anniversario della morte di uno studente, Jan Palach, che si era suicidato per protestare contro l'invasione sovietica della Cecoslovacchia. Riapparve in questa occasione un intellettuale brillante e tenace, beniamino dei piccoli teatri praghesi dove andavano in scena, con successo, le sue commedie dell'assurdo. Vaclav Havel  fondò un movimento dissidente chiamato "Charta 77", passando alcuni anni in prigione avendo avuto una parte importante nella commemorazione di Palach; la polizia lo arrestò rimettendolo in galera.
L'Urss aveva invaso, nel dicembre del 1979, l'Afghanistan. Per mettere fine a una logorante guerra senza speranza e dimostrare all'Occidente che il regime voleva un nuovo clima internazionale, Gorbaciov decise il ritiro delle truppe sovietiche. L'operazione iniziò nel maggio del 1988 terminando nel febbraio 1989. Nei giorni stessi in cui la coda del corpo di spedizione con gli "afghani" in maglietta a righe, basco e kalashnikov attraversava i passi del nord-est per scendere verso le valli dell'Uzbekistan e del Tagikistan, a Kabul il presidente Najibullah, abbandonato dall'alleato, fu costretto a proclamare lo stato di emergenza. A Mosca, intanto, i sovietici andarono alle urne. Entrarono in parlamento un grande dissidente, Andrej Sacharov, alcuni intellettuali riformatori, i maggiori rappresentanti delle repubbliche che aspiravano all'autonomia, se non addirittura all'indipendenza, e soprattutto Boris Eltsin, esponente di una perestrojka più radicale di quella proposta da Gorbaciov. Due anni prima, nel 1987, fu cacciato dal Politburo; nel 1988 fece una clamorosa "rentrée" al congresso straordinario del partito portando il suo seggio a Mosca con l'85% dei suffragi. Nessun altro, al Congresso dei deputati del popolo, godeva di un tale seguito popolare. Il regime sovietico non era ancora una democrazia, ma Gorbaciov constatò rapidamente di avere già di fronte a sé il leader dell'opposizione.

Le luci della scena, nelle settimane seguenti, si accesero a Varsavia. Il cammino delle riforme veniva da lontano scontrandosi, lungo la strada, con i bruschi "colpi di coda" del regime: arresti, processi e l'assassinio di un sacerdote (di cui vedremo) con la proclamazione della legge marziale nel dicembre del 1981. Ma la dissidenza aveva un movimento forte, Solidarnosc, un leader popolare nel quale riconoscersi come Lech Walesa, un quartier generale (i cantieri di Danzica) e soprattutto un padrino a Roma nella persona di Karol Wojtyla, assurto al trono di Pietro nel 1978, con il nome di Giovanni Paolo II. 

Apro una piccola, doverosa parentesi per riportare uno dei fatti più incresciosi accaduti nella Polonia comunista di quei giorni. Il mio professore di italiano (lo ricorderò per sempre...) ci dette un titolo per lo sviluppo di un concetto. Il voto fu eccellente, talmente sbalorditivo da veder attaccato il tema in bacheca di segreteria. Non lo faccio per mero orgoglio, che all'epoca mi consentì di "volare" tra i banchi della classe, quanto per sottolineare, con malcelata tristezza unita a rabbia, come siano diversi gli approcci di alcuni insegnanti verso i propri studenti. Oppure, più plausibile, come molti di quest'ultimi siano meno interessati, per non dire altro, agli avvenimenti che il mondo, purtroppo quotidianamente, sbatte in prima pagina... 

"Per la verità bisogna pagare" e Jerzy Popieluszko l'ha pagata con la propria vita. Non è vero che i delitti sono estranei alla tradizione polacca è invece vero che molti dei delitti effettuati nel passato hanno profondamente influito sul corso della storia polacca, ma da dieci secoli ormai non c'era un assassinio per motivi politici di un sacerdote. Il re, che novecento anni fa ordinò la morte del vescovo S. Stanislao, pagò il crimine con l'espulsione del paese. Qualcuno molto in alto dovrà prima o poi pagare per la morte di Jerzy. Il sacerdote più popolare e uno dei più amati della Polonia. Il corpo straziato e gettato in un fiume è l'ammonimento che purtroppo non sempre si può parlare come "polacchi" con i "polacchi", talvolta il dialogo cede alla violenza. Perchè è stato scelto come vittima di questa vicenda tragica e ripugnante? E, infine, quali saranno le conseguenze di tutto questo affare? Il delitto Popieluszko affonda le radici nel sistema politico attuale in Polonia; sistema politico dispotico che verrebbe travolto dal voto popolare avendo brutalmente interrotto ogni forma di dialogo con una società che vuole essere pluralista. Non ha altre risorse per mantenersi al potere che al ricorso alla violenza e il sostegno dello straniero.
L'assassinio del giovane prete, seguace di Solidarnosc, ha messo crudelmente in luce un regime indebolito che sembrano trovare nell'ambito dei servizi segreti sovietici ispirazione e regia... "Se ritenete di essere abbastanza maturi per governare la nazione, dovete ricordarvi che con la forza non si ottiene nulla. Bisogna servirsi di altri mezzi, bisogna donare il cuore alla gente di cui si vuole il cuore. Questi metodi, invece, non portano a niente di buono" (Cardinal Stefan Wyzynsky). Questa frase è in sintonia e di attualità più che mai in queste circostanze. Il delitto Popieluszko, indipendentemente dall'ambiente in cui è maturato, è e resta un delitto di regime, come fu delitto di regime l'assassinio di Don Minzoni, perseguitato da bande fasciste sfrenate, decise a creare torbidi e inciampi a regime, ritenuto moderato, di Mussolini.
Ma chi era Jerzy Popieluszko?
Un sacerdote nato 37 anni fa nella regione più arretrata della Polonia ai confini dell'URSS. Era un rappresentante della nuova generazione di preti nati e formati in una Polonia comunista, nel contesto di una chiesa priva di potere ma ricca di appoggio popolare. Uscito dal seminario fu cappellano degli studenti universitari. Ha cercato di dare una risposta: come vivere con dignità in un regime totalitario che questa dignità cerca di calpestare? Bisogna dire la verità. Senza odio, senza rancore, senza clamore. Non mentire. Dire la verità significa anche lottare per i diritti umani; parlava sempre ad alta voce ciò che pensavano gli operai e gli studenti che seguivano le funzioni religiose. Il giovane sacerdote non ha mai avuto una vita facile. Quello che lui ha fatto per gli ideali di Solidamosc non sono per noi una sorpresa. Sappiamo e conosciamo del suo coraggio come si adoperasse per risolvere tutti quei problemi con i quali ogni giorno si presentassero. Non ha mai accettato il compromesso. Popieluszko non era un prete che cercava la salvezza sulla terra. Era un uomo di eccezionale coraggio; il 27 ottobre 1984 ha pagato con la vita".

Al vertice dello Stato vi era un leader "nazional-comunista", il general Wojciech Jaruzelski, che recitò  in quegli anni una parte provvidenzialmente ambigua. L'uomo, proclamando la legge marziale, lo fece per evitare la ripetizione degli avvenimenti cecoslovacchi dell'agosto del 1968. Governò il paese per dodici mesi con un comitato militare di salute pubblica, sapendo riaprire, però, il dialogo con la Chiesa creando un Consiglio consultivo di cui fecero parte alcuni esponenti del movimento riformatore. Il primo a comprendere, insieme ai dirigenti di Budapest, che non era possibile chiudere gli occhi di fronte alla svolta di Gorbaciov. Occorreva, necessariamente per cambiare il volto alla storia, assecondarla e governarla. Si aprì così, agli inizi del 1989, una "tavola rotonda" a cui parteciparono il partito, Solidarnosc e la chiesa. L'accordo, in aprile, prevedeva la riforma della costituzione e l'avvento di una democrazia controllata che riservava all'opposizione, in Senato, una piccola percentuale di seggi. Quando si votò, in giugno, Solidarnosc seppe conquistare tutti i seggi meno uno diventando la più influente forza politica del Paese. Fra i Paesi del Patto di Varsavia la Polonia, seguita a breve distanza dall'Ungheria, entrò, a pieno diritto, nella famiglia delle democrazie.
Altrove le cose procedevano, anche se con maggiore lentezza, nella stessa direzione. La causa dei mutamenti era sempre Michail Gorbaciov...
Nella Germania, divisa, il muro cominciava a "barcollare" e, alla fine del 1989, fu abbattuto.
Ricordo, poco dopo, il mio viaggio a Berlino: la percezione del male fu evidente! Andai, come in pellegrinaggio, a prendere un caffè in un bar gestito da un italiano "a cavallo" delle due Germanie. "Lei non ha idea" - mi spiegò quando si rese conto che ero fiorentino. "Era una guerra, dentro una guerra, durante una guerra che non doveva esistere". Dopo aver lasciato la mancia, mi ringraziò e ricordo che, mentre stavo uscendo, mi disse: "non lo compri il pezzetto di muro che le offriranno; è falso. Siamo già diventati occidentali, ci è bastato poco...".
Quel mondo, quel volto, sembra lontanissimo; così lontano da farmi pensare come sia stato possibile che quel muro fosse rimasto in piedi per così tanto tempo.
Michail Gorbačëv ha avuto, tra le altre, le seguenti onorificenze:
Medaglia Otto Hahn per la Pace. "In particolare per il disarmo atomico delle grandi potenze e il fondamentale nuovo ordine politico in Europa". Berlino, 1989.
Medaglia Presidenziale della Libertà. "Per il coraggioso ruolo nel porre fine alla guerra fredda". Stati Uniti d'America, 2008.
Premio Nobel per la pace. "Per il suo ruolo di primo piano nel processo di pace che oggi caratterizza parti importanti della comunità internazionale". Oslo, 1990.
Premio Dresda. "Per le sue opere nel campo della prevenzione dei conflitti e delle violenze e specialmente per il suo impegno per il disarmo nucleare". Dresda, 2010.

Mentre sto scrivendo, su twitter appare il seguente messaggio: "Era dal 26 dicembre 1991 che avevo aspettato di stappare la migliore bottiglia che avevo". Lo scrive Marco Rizzo, segretario del partito comunista commentando la scomparsa del leader russo.
Dobbiamo smetterla di dare seconde possibilità. Dobbiamo smetterla di perdonare. Smettiamola di essere ingenui.
Le persone non cambiano.
Si rivelano.