Una serata colma di emozioni si è portata dietro una notte da vivere, una perla di riflessione che abbraccia i limiti più estremi dell’intelletto, perché la notte è oscurità, ma anche attesa e speranza, nella consapevolezza che la luce del Sole riaffiori con i suoi raggi colmi di passione. E proprio questo intreccio di eventi, misteriosi ma anche surreali, erano presenti al Meazza prima e durante Inter-Juve; gruppi di tifosi, coadiuvati dall’amicizia e dall’amore per la famiglia, entità sacra che non deve mai essere trasportata via dal flusso della menzogna, perché è la cosa più preziosa che esiste al mondo.    

Una sfera di affetti che viene percepita anche nel calcio, passatempo in grado di zittire il tormento, con una “pacca” sulle spalle, dettata da quella sfera che rotola insistentemente, come l’erosione delle rocce nelle valli di montagna. Proprio il monte della verità, come spesso lo definivano gli antichi, permette di capire le bellezze dell’universo, con una mano sul cuore e con l’attesa di scendere in campo, sentita dai calciatori ma anche dai tifosi. Gli stessi sostenitori che poco prima dell’inizio del match con la Juventus inneggiavano il classico sfottò calcistico, basato su un remix di Gabri Ponte e abbellito dalla seguente domanda: co-come mai, co-come mai, la Champions League tu non la vinci mai? Una questione delicata per i tifosi bianconeri, ma resa esplicita dai nerazzurri, che non perdono mai occasione per ricordare i fallimenti in Champions League della squadra di Allegri. 

Conclusa la sfida, terminata 1-1, e analizzando la prestazione a due facce dell’Inter di Spalletti, sorge spontanea una riflessione che va a braccetto con l’approccio al match della squadra.
Un primo tempo da urlo, poggiato su un 4-2-3-1 studiato nei minimi dettagli, con Brozovic in mediana, Vecino a fare il lavoro sporco e Nainggolan a spaziare su tutti i fronti. E proprio il belga sigla il gol del vantaggio con un missile terra aria che si insedia alle spalle di Scznesny. Insomma, tutto va come deve andare, per dirla alla Max Pezzali, anche perché la Juventus soffriva non poco la pressione dei nerazzurri e non riusciva quasi mai a servire Cristiano Ronaldo, isolato in attacco. Termina il primo tempo e qui, come spesso è successo nel corso della stagione, comincia a scricchiolare qualcosa. Pronti via, e subito l’approccio molle, forse dettato dalla stanchezza, prende il sopravvento nella testa dei ragazzi dell’Inter; Spalletti abbassa la squadra, il centrocampo non fa più filtro, e basta una palla a Cr7 per pareggiare i conti. Da quel momento inizia un’altra partita, con le squadre che si allungano e se la giocano a viso aperto, ma come spesso succede nel calcio, e lo sa bene Guardiola in Champions, i cambi fanno la differenza.

SPALLETTI, PAURA DI PERDERE?

Un tempo per uno non fa male a nessuno, dice il detto, anche se a differenza della Juventus l’Inter doveva veramente portare a casa i 3 punti. I cambi tardivi di Spalletti hanno suscitato più di qualche dubbio, anche perché il tecnico, dopo aver sostituito Nainggolan con Borja Valero, decide di togliere Politano per inserire Joao Mario; una scelta assurda, per cercare di recuperare la partita in virtù del fatto che il portoghese non ha nel proprio dna quel contachilometri impazzito che porta in aera di rigore. E pensare che in panca sedeva Keità Balde. Poi, l’argomento che fa riflettere più di tutti, si ha nell’ultima fetta di gara quando, con la Juventus che stava prendendo campo in modo consistente, Spalletti toglie Mauro Icardi per inserire Lautaro Martinez, sicuramente più abile del connazionale nel gestire la palla. Gestire la palla? Proprio così, anche perché il tecnico di Certaldo sembra non voler puntare più sul tandem argentino, ossessionandosi sulle proprie idee per dimostrare che Icardi e Lautaro non possono giocare insieme. Certo è che, con uno stadio che incarnava la passione terrena, era lecito aspettarsi un rischio maggiore, anche perché la pubblicità di Inter-Juve veniva pronunciata da Mourinho, maestro carismatico che si prendeva rischi enormi. E proprio questo lo ha reso un vincente. Fatto sta che l’Inter compie ancora un minimo passo verso la conferma della Champions, ma il piatto piange perché a Milano ciò che conta è la vittoria, e non il compitino contro una Juventus già campione d’Italia. Il dilemma della notte primaverile ormai si attesta lungo un asse delicato, ma allo stesso tempo interessante: come mai l’Inter non gioca con 2 punte? Forse conviene riflettere, con l’intelletto e con l’amore che in una notte stellata di primavera riesce a dare per un istante un’interpretazione personale su quell’universo sconosciuto, con la passione che rende l’umanità viva, piuttosto che sopravvissuta.