"Giochi con il calendario e metti sempre la salute pubblica al secondo posto. Sei forse il più grande e oscuro pagliaccio che abbia mai visto. Sì, sto parlando a te. Al nostro presidente di Lega Paolo Dal Pino. Vergognati!".

Poche parole, concise, chiare. Tanto è bastato per cambiare il volto fin qui pacato del giovane presidente interista Steven Zhang, il quale ha scelto lo strumento simbolo del millennio, i social, per sferrare un gancio preciso e diretto ai vertici del calcio italiano, colpendo chi è a capo dell'organizzazione,  il presidente della Lega Serie A Paolo Dal Pino. 

Una presa di posizione forte ed inaspettata, soprattutto nei modi, quella del rampollo della famiglia Zhang, che nelle ore successive alla messa alla mercè comune dello sfogo ha visto in prima linea due diverse linee interpretative: chi ha condannato fermamente il gesto sia nella sostanza che nella forma, soprattutto tifosi non nerazzurri, e chi invece ha badato a nobilitare la sostanza del messaggio, pur dissentendo nella forma utilizzata. Ci sarebbe, in effetti, una terza linea di pensiero, quella dei tifosi "fanatici", i quali vedono in Steven Zhang una sorta di capopopolo. Linea volutamente poco considerata dal sottoscritto in quanto priva di un minimo di oggettività.

Provando ad analizzare personalmente la questione e cercando di porre il giusto distacco verso un episodio molto grave, per quanto a parer mio giustificabile, allineandomi in sostanza alla seconda linea interpretativa sopra citata, ho notato che il presidente interista è apparso "umano", o per meglio dire "giovane", visti i suoi 27 anni.

Ho subito associato l'accaduto ad una frase pronunciata molti anni fa dall'allora presidente cileno Allende, il quale così si esprimeva:" Essere giovane e non essere rivoluzionario è una contraddizione perfino biologica".

In effetti Steven Zhang era apparso, a quasi tre anni dalla sua presidenza in nerazzurro, un uomo d'affari navigato, capace di controllare le proprie emozioni e rielaborarle lucidamente per il bene del club.
Era solo "forma" direbbe Pirandello. Recitava la "parte" che la società esigeva da lui per il ruolo che ricopre. Indossava una "maschera" che tratteneva quella forza vitale, che sempre Pirandello chiamerebbe "vita", la quale solo saltuariamente può farsi spazio. Ebbene, ieri dopo una giornata di lavoro, quasi all'alba di un nuovo giorno, il giovane Steven ha deciso di togliersi la maschera ed accogliere la vita

Alcuni hanno affermato che adesso si è "italianizzato", riferendosi alla particolare propensione che abbiamo in questo Paese a far polemica. Un po' effettivamente è così. D'altronde, vivendo in Italia in pianta stabile da ormai più di due anni, si sa che prima o poi inglobi la cultura locale e la riponi da qualche parte dentro di te.

Quello che è comunque importante sottolineare è che ogni gesto di ribellione viene compiuto per stimolare una riflessione e, magari, portare ad un cambiamento

Questo è il fulcro, il significato profondo di una mossa da molti vista come autolesionista. E forse una parte di verità c'è nel sostenere e temere ciò. In effetti, ho pensato, neanche il Massimo Moratti più avvelenato avrebbe usato un linguaggio privo di fronzoli come quello del giovane cinese.
Ma è altrettanto vero che in un Paese come l'Italia, storicamente stagnante nell'immobilismo e nel caos, una scossa da chi è stato educato ad una visione diversa della vita doveva arrivare. E' arrivata diretta, dura ma giusta, non nella forma, la quale poteva, prima di essere di dominio pubblico, passare al vaglio di un "Bismarck" del pallone qual è Beppe Marotta. 

Parole come "Vergognati", "pagliaccio" sono in effetti più consone alle chiacchiere del lunedì mattina di un "bar dello sport" di banfiana memoria.
Ma il "succo" resta. I buoni propositi restano. Steven Zhang ha voluto "svegliare" da un sonno irreversibile il calcio italiano. Ha deciso di non continuare a subire passivamente delle scelte, ma essere il protagonista di una "rivoluzione" attiva, che stimoli il confronto ed il cambiamento, che porti ad adottare una linea precisa e coerente. Cosa che Paolo Dal Pino proprio non è stato capace di fare. In qualità di massimo coordinatore del "sistema" calcio, egli avrebbe dovuto guidare i club in un momento in cui prendere decisioni è difficile ma necessario.

Invece di adottare un metro di giudizio unico, si è scelto di vivere alla giornata o, come direbbero i nostri politici, si è scelto di "navigare a vista", che in  pratica significa non decidere

Perchè esporsi? E' una domanda che molti italiani si sono fatti nel corso della storia e in diversi ambiti. Molti hanno concluso che fosse meglio stare "nel mezzo", per poi andare dalla parte del vento. In poche parole, noi italiani siamo figli dell'omologazione. Siamo facilmente influenzabili, non sviluppiamo una linea di pensiero coerente con le nostre azioni che andremo poi a mettere in pratica.

Emblema proprio Dal Pino che non ha mai imposto, vista l'emergenza sanitaria, la disputa delle partite, di tutte le partite a porte chiuse o, in caso di emergenza grave, la sospensione del campionato. No, il presidente di Lega ha scelto la strada dei "figli e figliastri", per usare un'espressione del numero uno doriano Ferrero. E' tornato più volte sui suoi passi mostrandosi debole, inadeguato a ricoprire un ruolo così importante.

Ora immagino di scrivere in chiosa una breve lettera al presidente Zhang parlandogli da fido consigliere, un precettore quasi "alla Seneca":
"Caro Steven, il tuo gesto sicuramente coraggioso tuttavia rischia di trovare pochi proseliti nel nostro Paese. "In Italia", sosteneva Gaetano Salvemini, "si punisce il peccato come se fosse un delitto e si perdona il delitto come se fosse peccato". In pratica, agli occhi dei "più" passerai dalla parte del torto. In Italia manca la "cultura della rivoluzione", siamo la patria del conformismo da secoli! Qualcuno ogni tanto vorrebbe pure ribellarsi per cambiare le cose ma è risaputo che "noi italiani vorremmo fare la rivoluzione col permesso dei carabinieri". Questa affermazione di un grande giornalista quale fu Leo Longanesi sottolinea appunto il timore tipico italiano ad osare. Meglio lasciare le cose come stanno! Io, nel mio piccolo, ho apprezzato molto il tuo comportamento, magari "diplomatizzandolo" un po' ( anche in questo qui siamo maestri!). Quando tu parli di una salute pubblica messa in secondo piano hai perfettamente ragione. Il mondo del calcio sta anteponendo i suoi milioni alla sicurezza comune. Non si vogliono gli stadi chiusi per non perdere i soldi del botteghino! Sì, lo so, facciamo pena. In ogni caso io ti ammiro, da oggi ancora di più perchè hai scelto di schierarti, di manifestare il tuo pensiero apertamente.Mi auguro solo che, riprendendo una frase del maestro Luciano De Crescenzo, grande luminare napoletano, tu non sia partito col "voler cambiare il mondo" e finisca "col cambiare canali". In sintesi, non entrare nel trabocchetto! Non uniformarti ad una logica marcia dalle radici! Resta ciò che sei: un grande presidente".


Chiudo con un aforisma suggeritomi da Che Guevara, riferito ai nostri vertici calcistici: "La vera rivoluzione dobbiamo cominciare a farla dentro di noi". Chi vuole mediti!