"Il calcio è passione", sosteneva qualcuno. Una passione ogni anno sempre più sbiadita, oscurata dalle logiche commerciali (i tanto dibattuti diritti TV). 

E così capita che, se accendiamo il televisore nell'ora da sempre "di punta" della domenica calcistica, ovvero alle 15, ci accorgiamo che sono rimaste solo le briciole di ciò che in passato era una sorta di cerimonia "profana".

La famiglia "tipo", dall'Italia del boom economico fino ad anni '90 inoltrati, aveva l'appuntamento fisso ogni domenica, dopo il classico pranzo in famiglia; radio in formato maxi o mini a portata di orecchio e tutti intorno ad ascoltare "Il calcio minuto per minuto", con le voci storiche dai campi dei più grandi radiocronisti dell'epoca.

La tachicardia di parecchi appassionati avrà toccato ritmi elevatissimi nel momento in cui un inviato chiedeva la linea e, per qualche secondo, si pregava che l'avesse fatto per annunciare un gol della propria squadra del cuore.

Un vero e proprio "rito", quello della Domenica alle 15, che negli anni è entrato a far parte del costume italiano, della nostra tradizione popolare

Il calcio, appunto, assieme al cibo erano le due "fedi" di noi cittadini del Bel Paese. I due momenti si susseguivano nella pratica la domenica, il giorno notoriamente del riposo. 

Era quella un'Italia che metteva i sentimenti al primo posto, era quello un calcio diverso, nello spirito dei tifosi ma anche dei giocatori, ancorati a dei valori, quali l'appartenenza ad un club, la piena dedizione alla causa della squadra, la cultura della disciplina. 

Finiti i match, dopo aver controllato se una manna dal cielo avesse toccato qualcuno facendogli fare il mitico "13", si aspettava il pomeriggio inoltrato, all'imbrunire, per vedere le azioni salienti delle partite grazie alla trasmissione "90° minuto"

Con l'Italia pienamente "nel pallone" passava così la domenica, giorno "sacro".

Col passare degli anni, e aggiungerei purtroppo, la radio con le sue trasmissioni hanno lentamente preso la strada che dal salotto porta alla cantina. 

Dalla fine degli anni '90, con l'arrivo dei canali satellitari e poi digitali, le Pay TV insomma, sempre più tifosi hanno preferito la comodità della visione della partita all'ascolto della stessa

Per un breve periodo sembrava essere cambiato solamente l'apparecchio di "culto", dato che gli orari delle partite erano più o meno gli stessi; il "blocco" delle 15 alla domenica era salvo, amputato soltanto di due match, i famosi "big-match", che per ragioni televisive furono spostati uno al sabato sera e l'altro alla domenica sera. Nacquero così, i famosi anticipi e posticipi.

Anno dopo anno, però, i diritti TV si sono totalmente impadroniti del mondo del calcio. Ogni emittente ha avanzato le proprie pretese commerciali e per le stesse ragioni oggi ci ritroviamo con i calendari definiti "spezzatino".

Alcuni turni di campionato, infatti, ormai da tre anni-quattro anni a questa parte prevedono partite spalmate dal giovedì al lunedì. Nella migliore delle ipotesi, una giornata consta di due-tre giorni di match distribuiti negli orari più svariati (ore 12.30, ore 15, ore 18, ore 19, ore 20.45, ore 21). 

Tutto ciò sarebbe stato un vero e proprio labirinto per il classico nonno tifoso!

La logica del mercato, del business tanto osannato quanto da modulare, ha soppiantato la vera passione, ha cancellato una tradizione che univa idealmente le case degli italiani da Palermo a Milano

C'è tanta nostalgia in queste parole, scritte da chi come me non ha vissuto appieno quegli anni, almeno fisicamente, essendo nato ad anni '90 inoltrati e quasi al tramonto. Nonostante non l'abbia vissuto quel bel periodo della nostra storia quotidiana, lo rimpiango grazie ai racconti dei miei familiari che ribadiscono una quasi "sacralità" della Domenica alle 15 con un tono di voce sempre molto malinconico.

Per dirla "alla Fellini" c'è tanta amarcord nelle loro parole. Una parola, quest'ultima, figlia come tutte di una tradizione popolare. Nella fattispecie il termine "amarcord" è tratto dal dialetto romagnolo e significa, appunto, "ricordo", " rievocazione nostalgica del passato". E attorno a questa parola così tradizionale c'è chi è stato capace di costruirci una trama da Nobel, oltre alla vincita di un Golden Globe, un David di Donatello e un Nastro d'Argento.

In molti penseranno che questo articolo sia una sviolinata romantica e inorridiranno, visto che la parola "romanticismo", tanto cara ai nostri avi, ormai viene quasi bandita dal linguaggio popolare. Suona come antico. Ma la passione, i sentimenti non saranno mai solo di ieri, bensì anche di oggi e di domani

A questi signori amanti del progresso puro, spersonificato, delle conseguenti apatia e conformismo di massa, che non sanno cosa sia semplicemente un'emozione mi sento di rispondere con una frase tratta dal film premio Nobel "La grande bellezza", pronunciata dal maestro Carlo Verdone che recita: "Che cosa avete contro la nostalgia, eh? E' l’unico svago che ci resta per chi è diffidente verso il futuro."