Era la fine di aprile dello scorso anno e la Juventus perdette in casa lo scontro diretto contro il Napoli con un gol di Koulibaly; dopo una stagione di agguerrito testa a testa con il sodalizio partenopeo guidato da Maurizio Sarri, lo scudetto sembrava essere sfuggito. Ci penserà poi Higuain contro l’Inter, con una rimonta di rabbia, a spostare nuovamente l’asticella a favore della Juventus. Tuttavia, dopo la sconfitta casalinga con il Napoli, mi fu da subito chiaro lo scenario: una squadra svuotata di motivazioni e di idee che subì per novanta minuti gli attacchi di un avversario agguerrito e che, alla fine, patì la sconfitta era il segno tangibile che qualcosa non stava più funzionando.

Già allora scrissi che la squadra di Allegri era giunta ad una sorta di capolinea: senza nulla togliere ai meriti dell’allenatore livornese, la mia conclusione fu che, qualsiasi fosse stato l’esito di quella stagione, era giunta l’ora di attuare un cambio di guida tecnica in grado di dare alla squadra nuovi stimoli e ambizioni. Così come Allegri fu fondamentale nel ridare linfa ad una squadra da cui Conte sembrava aver spremuto tutto il potenziale, sarebbe servito un allenatore in grado di portare alla Juventus una nuova dimensione sia dal punto di vista del gioco che della gestione delle partite, soprattutto sul palcoscenico europeo.

La scelta della società è stata invece di carattere conservativo: avanti con Allegri con una rosa che, con l’innesto di Cristiano Ronaldo, ha lanciato il suo attacco più diretto e concreto alla Champions League; la speranza di Agnelli & co era proprio quella di dare una scossa positiva ad ambiente e contesto; finora la Juventus ha ben figurato in campionato, dove tuttavia ad oggi si fatica ancora a trovare una rivale veramente credibile alla Vecchia Signora che, al netto di qualche infortunio di troppo, continua ad avere un organico nettamente più completo rispetto alle sue dirette rivali.

La vittoria in supercoppa è stata una buona prestazione in una partita secca contro una squadra, il Milan, che allora attraversava un momento di grande difficoltà. La Coppa Italia è stata un fallimento: non tanto per l’eliminazione ma per come è maturata; una partita, quella giocata a Bergamo contro l’Atalanta, rinunciataria e timorosa in cui l’avversario ha letteralmente surclassato la Juventus che è meritatamente uscita.

In Champions un cammino nei gironi concluso al primo posto (tuttavia con due sconfitte) e nella prima partita che avrebbe dovuto dire quale fosse la nostra reale condizione nella competizione è terminata con un sonoro due a zero per i padroni di casa dell’Atletico Madrid.

Una prestazione globale da dimenticare, con un secondo tempo in cui la squadra di Allegri è riuscita a malapena ad affacciarsi nella metà campo avversaria e con un Atletico Madrid che, ad un certo punto, avrebbe potuto dilagare. Una squadra spenta, disorganizzata tatticamente e senza un barlume di idea su come aggirare un avversario che tutti sapevamo essere ostico ma contro il quale ci aspettavamo una prestazione ben diversa; la scelta di tenere Cancelo in panchina non è che la riprova di una strategia timorosa, volta al perseguimento del massimo risultato con il minimo sforzo e del tipico atteggiamento di chi spera che, in fondo, Ronaldo ti possa risolvere la partita. Vorrei in questa sede ricordare che Ronaldo è sì un fenomeno ma che al Real Madrid non ha vinto da solo e che, soprattutto negli ultimi anni, ha dato il meglio di se’ grazie ad una strategia che lo ha visto impiegato praticamente solo nei match che realmente contavano.

Per il semplificatore Allegri fino al settantanovesimo della gara di mercoledì tutto era in equilibrio: poco importa se la Juventus avesse all’attivo una sola reale occasione da rete con la punizione di Ronaldo, mentre gli avversari avessero già collezionato un rigore, poi annullato, un gol fallito da Diego Costa davanti al portiere, una traversa e un gol annullato dal VAR. Non sempre ti può andare bene e questa filosofia, unita ad una gestione di squadra e spogliatoio a mio avviso inversamente proporzionale a quella dimostrata dal tecnico nei primi tre anni e mezzo dall’allenatore livornese sono la riprova che sia giunta l’ora di salutarsi, per il bene di tutti.

Neppure il sorriso smagliante con cui si è presentato oggi Allegri davanti alla stampa riuscirà a cancellare quella che, per quanto mi riguarda, con il tempo è diventata una certezza. Ecco che ironicamente (ma forse neppure troppo) vorrei rispondere ad Allegri quando dice che “quando non mi divertirò più alla Juventus, andrò via” che le cose non stanno in questi termini; e che sono, al contrario molti tifosi della Juventus che da tempo ormai non si divertono più.