La telenovela è finalmente finita: dopo tre giorni di narrazione di pseudo vertici-fiume in stile conclave, è arrivata la comunicazione ufficiale della Juventus che sancisce la separazione dal proprio attuale allenatore.

Un addio ampiamente ventilato da stampa e addetti ai lavori da settimane: nessuno infatti ha mai creduto granchè alle dichiarazioni di facciata di Agnelli e Allegri che garantivano un futuro insieme; il numero uno bianconero aveva già deciso per un cambio di panchina a metà stagione, il mancato approdo di Zidane ha aperto dubbi sulla successione ma l’addio di Allegri non è stato mai in discussione.

La percezione ormai evidente a tutti era che ad Allegri fosse sfuggita di mano la gestione della rosa, portata aventi al contrario in modo magistrale nelle passate stagioni. Calciatori fuori ruolo, malcontento generale di alcuni e una caterva di infortuni hanno messo la parola fine sull’esperienza di Max alla Juventus.
Un allenatore, Allegri, che non è mai entrato nel cuore di gran parte del tifo; forse per il suo fare scanzonato e, a tratti indecifrabile; forse perchè in molti si erano stancati di una gestione quasi da taumaturgo in balia di ispirazioni del momento, con picchi di genio tattico come il ritorno contro l’Atletico, alternati a bui totali. Allegri rimarrà uno degli allenatori più vincenti della storia della Juventus; tuttavia non possiamo non sottolineare in fatto che, con la squadra che aveva a disposizione questa stagione, sarebbe stato lecito aspettarsi un qualcosa in più.

Quello che è certo è che sostituire un allenatore con questi numeri non è cosa semplice: non fu semplice per Allegri subentrare a Conte, tra lo scetticismo di un ambiente che un anno più tardi sfiorò grazie al livornese stesso il sogno Champions, figuriamoci chi arriverà oggi con le aspettative del tifo che ormai hanno raggiunto livelli molto alti, grazie anche al lavoro di emancipazione europea che ha visto anche Allegri protagonista.

Così come la società ha avuto il coraggio di ammettere che era giunto il momento di separarsi, mi auguro che i medesimi interpreti abbiano ora l’ardire di scegliere un allenatore agli antipodi di Allegri.
Per fare il salto di qualità che tutti chiedono serve infatti un demiurgo, un plasmatore di gioco che sia in grado di partire dai giocatori mettendoli però al centro di un piano di gioco ben preciso, caratteristica sempre più importante soprattutto in Europa. Un tecnico che inizi una strada diversa da quella calcata da Allegri e fatta di individualità.

Per tagliare corto: portare oggi a Torino Simone Inzaghi, significherebbe affidare le proprie sorti ad un allenatore emergente, senza alcuna esperienza europea e di gestione di rose con calciatori di un certo livello. Un azzardo, simile a quello fatto dal Bayern con Kovac la passata stagione e soprattutto un allenatore che porta in dote una filosofia molto simile a quella di Allegri. Aziendalista, gestore di risorse ma non plasmatore di gioco.

Conte e Deschamps sarebbero i classici cavalli di ritorno, con tutti i pro e i contro di operazioni di questo genere; Sarri, a mio avviso, una bellissima scommessa da raccogliere qualora ci fossero le condizioni.

Tra gli stranieri, sicuramente Pochettino ha dimostrato di saper costruire un’identità di gioco chiara e in grado di valorizzare calciatori dentro un modulo. 

Questi solo alcuni dei nomi, più altri sicuramente sotto traccia. Quello che tuttavia mi auguro è che Nedved e Paratici facciano una scelta non di comodo e in controtendenza con la gestione del passato recente. In sintesi estrema: se proprio si dovrà andare su allenatori italiani emergenti, mille volte meglio un Giampaolo-demiurgo che un Inzaghi-gestore.

Restiamo in attesa.