Nemmeno il tempo di assorbire la dura lezione subìta a Londra e il calendario chiama la Juventus ad un nuovo difficile impegno di campionato. Allo Stadium arriva l’Atalanta, per una sfida che, nell’attuale situazione, diventa determinante per i bianconeri. Una sconfitta significherebbe vedere allontanarsi la possibilità di raggiungere il quarto posto e, con molta probabilità, piombare in una situazione di crisi da cui sarebbe complicato riuscire a venir fuori.
Per la sfida contro i bergamaschi di Gasperini, Allegri recupera Chiellini e Bernardeschi. Come per ogni partita, mezz’ora prima del fischio d’inizio i canali di comunicazione del club diffondono la formazione scelta dall’allenatore bianconero. Szczesny in porta; linea di difesa composta da Cuadrado, Bonucci, De Ligt e Alex Sandro; a centrocampo, spazio a Chiesa, Locatelli, McKennie e Rabiot, mentre il reparto offensivo è affidato alla coppia titolare formata da Dybala e Morata. Il campo farà luce sulla disposizione tattica della squadra, se si schiererà con il solito 442 "storto" oppure se Allegri ha optato per un qualche cambiamento tattico.
L’Atalanta, reduce dal pareggio in Svizzera che rimanda il discorso qualificazione all’ultima gara contro il Villareal, si presenta sul prato dello Stadium con il suo consueto 3421. Musso tra i pali; trio di difesa formato da Toloi, Demiral e Djimsiti; Zappacosta e Maehle sono gli esterni chiamati ad agire lungo le due fasce, mentre a Freuler e De Roon spetta il compito di governare il centrocampo. In avanti, Zapata, unico riferimento centrale dei nerazzurri, sarà supportato dalla coppia di trequartisti formata da Malinovskiy e Pessina che si muoveranno alle spalle del colombiano. Una squadra, quella di Gasperini, che, pur con  valori tecnici inferiori, per lo schieramento con cui si presenta e per il modo di giocare, aggressivo e improntato sull’intensità, non si discosta molto dal Chelsea.

Dazn apre il collegamento. In telecronaca, Borghi e Ambrosini accolgono i telespettatori mentre le due squadre si trovano ancora nel tunnel, pronte per scendere in campo. Nello Stadium, che presenta un bel colpo d’occhio, risuona “storia di un grande amore”, rilanciata con entusiasmo dal pubblico presente. Fin dal fischio d’inizio dell’arbitro Ayroldi, si percepisce la sensazione di una Juventus ancora alle prese con i tanti problemi che questa finora difficile stagione sta presentando. Sul campo prende forma una sorta di 433, con Dybala e Chiesa esterni del tridente, ma la squadra ha un approccio alla partita decisamente timido. I giocatori sul prato trasmettono l’idea di non sapere esattamente cosa fare. La palla si muove lentamente, preferibilmente all’indietro che è l’unica strada sicura concessa dagli avversari, come sempre attenti e pronti nel portare la pressione sui portatori di palla bianconeri. Cresce con il passare dei minuti la forte sensazione che le trame di gioco con le quali la Juventus cerca di raggiungere l’area di rigore avversaria siano, come sempre più spesso accade, frutto dell’improvvisazione. I passaggi sono incerti. Gli appoggi insicuri. E’ proprio in fase di possesso palla che si evidenziano le più serie lacune della squadra di Allegri. Non ci sono idee, non ci sono schemi, non ci sono movimenti, da parte dei giocatori senza palla, finalizzati ad offrire alternative di passaggio al giocatore in possesso del pallone, subito circondato dalle maglie avversarie (per l'occasione di un discutibile colore arancione). Il primo tentativo di conclusione da parte dei padroni di casa è un buffetto di Dybala, facilmente gestito da Musso, al termine di una pregevole iniziativa individuale proposta dallo stesso attaccante argentino.
L’Atalanta pare controllare più agevolmente la partita. Non si è presentata a Torino nella sua consueta versione arrembante e impetuosa, ma riesce comunque a muovere più velocemente e in maniera più efficace il pallone e a gestire il ritmo della gara sfruttando la solita disorganizzazione della formazione bianconera in fase di pressione. Il pressing della Juventus si riduce a iniziative isolate e sporadiche, portate principalmente da McKennie, che non possono creare disturbo ai giocatori di Gasperini.
Il piano di gioco della Juventus è sempre il solito. La squadra resta bassa a protezione della propria area e cerca di sfruttare gli spazi che si aprono quando entra in possesso della palla. Il principio che guida la partita dei bianconeri è la verticalizzazione diretta su Morata o Dybala. Chiamati ad andare incontro all’uomo in possesso del pallone trascinandosi dietro il diretto marcatore, i due attaccanti in questo modo aprono lo spazio al tentativo di inserimento da parte di Chiesa nella zona di campo che si è liberata alle spalle dei difensori atalantini. Il meccanismo riesce intorno al ventesimo minuto. Con l’Atalanta in attacco, Locatelli recupera palla e serve Morata, arretrato fin sulla trequarti difensiva per offrire supporto all’azione. Lo spagnolo scarica su McKennie che lancia Chiesa in campo aperto. L’occasione è sventata dal recupero di Toloi che in scivolata riesce a ribattere la conclusione dell’attaccante.
La Juventus non riesce mai a salire di ritmo, non riesce a dare continuità alla proposta offensiva. Dopo ogni iniziativa, la squadra si ritrae a protezione dell’area, abbandonando i tre attaccanti al loro destino e gravandoli di un compito fisicamente molto dispendioso. Il giro palla proposto dagli uomini di Allegri, costantemente improntato sul retropassaggio, è incerto e frastagliato e finisce per compromettere la partita. E’ da poco trascorso il venticinquesimo minuto quando un disimpegno prolungato dei bianconeri è rovinato da un tocco troppo precipitoso di Morata che, nel tentativo di imprimere un’accelerazione alla manovra, serve De Roon. Con un tocco di prima intenzione in profondità, il centrocampista olandese coglie in controtempo l’intera retroguardia bianconera, inspiegabilmente fuori posizione, e lancia un liberissimo Zapata in area di rigore. Il colombiano  scarica un destro violento che tocca la parte inferiore della traversa e batte un incolpevole Szczesny. Un gol che ricorda in maniera inquietante quello subìto da Barella nella sfida di San Siro contro l’Inter della passata stagione. L’Atalanta si ritrova in vantaggio senza neppure aver dovuto mai forzare. Fino a quel momento aveva dato l’impressione di essere ben presente dentro la partita ma ancora non aveva portato nessun pericolo alla porta bianconera.
La Juventus accusa il colpo e, con la squadra, anche i tifosi. Sullo stadio per qualche momento cala un gelido silenzio. In campo subentrano frenesia e precipitazione a complicare ulteriormente le manovre improvvisate. In diverse circostanze, Allegri è costretto ad invitare i suoi uomini alla calma, a mantenere la lucidità. Sembra quasi cercare di rassicurare dei giocatori che appaiono avvolti in una spirale di paura, ansia e insicurezze. Come sempre, manca la continuità nella proposta offensiva. Il baricentro rimane molto basso, non facilitando lo sviluppo continuo delle azioni. Un sinistro fuori misura di Dybala dal limite dell’area rappresenta la totalità delle occasioni create dalla Juventus dopo essere passata in svantaggio.

Il duplice fischio dell’arbitro Ayroldi chiude il primo tempo. Si va al riposo sul risultato di 0-1 in favore della formazione ospite. I fischi dello Stadium, trattenuti fino a quel momento, accompagnano la squadra negli spogliatoi. La sensazione è che l’Atalanta stia vincendo fin troppo facilmente, quasi senza sforzo. Ha controllato la partita. Ha sfruttato un errore enorme della Juventus per andare in vantaggio e ha gestito il resto del primo tempo con grande tranquillità, in totale controllo.
Sui soliti gruppi di whatsapp che accompagnano l’intervallo, gli amici faticano pure ad immaginare quali cambi potrebbe proporre Allegri per recuperare la partita. Non è soltanto un problema di un singolo uomo che ha giocato più o meno bene. Si tratta di una prestazione di squadra che fino a questo momento non c’è stata. Una cosa però sembra indispensabile ed è aumentare il numero dei giocatori in fase offensiva e di conseguenza alzare il baricentro della squadra. La tattica di difendere e provare a colpire, di ridurre la trama della partita ad una composizione frammentata nella quale essere bravi ad impadronirsi del momento decisivo, efficace in alcune partite, alla lunga non si sta rivelando produttiva. Siamo la Juventus, giochiamo nel nostro stadio e non siamo riusciti in un tempo intero a fare un solo tiro in porta degno di questo nome. 

Al rientro in campo, subito una cattiva notizia per i tifosi bianconeri. Allegri è costretto a rinunciare a Chiesa, fermato da un problema al flessore. Al suo posto entra in campo Bernardeschi. E’ questo l’unico cambio proposto dall’allenatore della Juventus dopo il modesto primo tempo. La squadra si ridisegna con il consueto 442 “storto”. Bernardeschi si sistema sulla fascia destra (in una posizione dove non ha mai fatto bene, dove evidenzia sempre grandi difficoltà, ma dove continua ad essere proposto), Rabiot è invece chiamato a ricoprire quel ruolo a metà tra l’esterno e la mezzala. La sensazione è che la squadra sia uscita dallo spogliatoio addirittura indebolita dall’unica sostituzione effettuata. Serviva l’ingresso di almeno un altro elemento in grado di rendersi pericoloso. Uno come Kulusevski ad esempio, oppure Kean, investimenti importanti della società che continuano a marcire e a perdere valore in panchina. Arrivati a questo punto, è necessario da parte di tutti assumersi qualche rischio in più.
L’avvio della ripresa sembra anche peggiore rispetto ai primi quarantacinque minuti di gara. Non è la volontà a mancare. La Juventus prova a reagire per recuperare la partita ma i giocatori non sembrano avere idea di come farlo. In campo domina la confusione. Undici maglie bianconere sparpagliate a caso per il campo in cerca di una definizione. Rabiot e Sandro ad un certo punto si ritrovano sulla fascia destra. Bernardeschi gioca un’azione a destra e un’altra a sinistra, perdendosi in un mare di tocchi superflui. Il tifoso bianconero davanti alla tv assiste, rassegnato e sconcertato, ad una partita che somiglia sempre di più alla riedizione di una delle tante disputate nello scorso campionato. Non sembra cambiato niente, solo il nome del tecnico in panchina.
Dopo un quarto d’ora trascorso invano, la Juventus riesce a presentarsi dalle parti di Musso. Lo fa con una manovra pregevole, costruita con tre tocchi di prima intenzione, segno forse che questa rosa ha almeno un minimo di qualità nelle sue corde. Cuadrado in avanti per Dybala, l’argentino porta fuori zona il diretto marcatore e scarica di prima intenzione per Bonucci che, sempre di prima, lancia in verticale McKennie chiuso da Djimsiti un attimo prima di battere a rete. Nel prosieguo dell’azione, Dybala calcia di poco alto dal limite dell’area. La bella azione della Juventus risveglia lo Stadium. Il pubblico cerca di spingere la squadra al pareggio.
Gasperini interviene sulla sua formazione. Toglie dal campo Pessina e inserisce Pasalic al suo posto. E’ costretto ad effettuare una sostituzione anche Allegri. McKennie, dopo la progressione di pochi minuti prima, deve lasciare il campo per una distorsione al ginocchio. Al suo posto entra Kean. La Juventus si schiera adesso su un 442 più offensivo, nel quale sono Bernardeschi e Kean ad agire sulle corsie esterne. La squadra di Allegri vive in questa fase della partita il suo momento migliore, nel quale riesce ad alzare il proprio baricentro e a portare la gara nella metà campo dell’Atalanta. Va al tiro pericolosamente con Rabiot. Dal limite dell’area, con il sinistro, il francese cerca una conclusione sul palo più lontano impegnando Musso in un difficile intervento. L’Atalanta appare adesso più in difficoltà. Gli uomini di Gasperini sembrano appannati e meno lucidi. Il tecnico inserisce Palomino al posto di Zappacosta per rafforzare gli argini di una squadra che probabilmente ha lasciato sul campo dello Young Boys parecchie scorte di energia. Gli ospiti riescono però ad attraversare indenni il momento più complicato della partita, furbi a sfruttare ogni occasione utile per spezzare il ritmo della partita con falli e interventi dei sanitari. Resta a terra Musso. Resta a terra Demiral, che si contorce disperato dopo un colpo subito da Morata. L’arbitro Ayroldi in tutte queste situazioni autorizza l’ingresso in campo dello staff sanitario atalantino. Una spruzzata di spray miracoloso e gli infortunati tornano come nuovi. Nel frattempo due o tre minuti sono andati via. 
I fuochi accesi dalla Juventus si esauriscono nel giro di un paio di azioni. La partita adesso diventata più nervosa, sembra scappare via senza che gli uomini di Allegri riescano a trovare una qualche soluzione per recuperarla. Si continua ad improvvisare. Bernardeschi si accentra e prova un tiro che si perde sul fondo. Cuadrado cerca di impensierire senza esito i forti centrali bergamaschi con qualche cross dalla destra. Dybala scivola ai margini di un incontro nel quale il pallone poche volte arriva nella sua disponibilità. La parte finale della sfida vede  l’Atalanta raccolta a protezione della propria area di rigore e la Juventus a gestire il pallone. Lo fa in maniera come al solito disordinata e confusionaria, riuscendo ad arrivare dalle parti di Musso soltanto attraverso sporadiche iniziative. Un nuovo sussulto bianconero arriva quando il cronometro ha ormai superato l’ottantesimo minuto. Una serie di calci d’angolo calciati nel giro di pochi minuti, porta De Ligt a concludere da buona posizione. Un destro potente che incontra la ribattuta di un muro di maglie arancioni schierate a protezione della porta di Musso. Lo spettro di una nuova sconfitta prende sempre più forma. Il pubblico, frustrato dalla prestazione scadente della squadra, invita i giocatori a mettere in campo almeno gli “attributi”. “Magari fosse solo un problema di attributi”, si ritrova a pensare tra sé e sé il tifoso bianconero sempre più sconsolato davanti alla tv. Anche lui sempre meno convinto delle possibilità di recuperare la partita.

Il tempo passa. Il novantesimo si avvicina. Allegri tenta l’ultima mossa lanciando nella mischia Kaio Jorge. Esce Morata, accompagnato in panchina da qualche fischio che non meriterebbe quanto meno per l’impegno che ha messo per contendere ogni pallone transitato dalle sue parti ai centrali atalantini. Costretto ad una partita di grande sacrificio, costantemente lontano dall’area avversaria, probabilmente la sua prestazione non è stata buona, pesa l’errore in occasione del gol di Zapata, ma è anche vero che non ha avuto un solo pallone giocabile nei pressi dell’area avversaria. Troppo facile fare di lui il capro espiatorio di una situazione che affonda le radici in un malessere tecnico, tattico e societario molto più profondo.

L’ingresso di Kaio Jorge non porta i risultati sperati e forse non era nemmeno lecito attenderseli. La partita scorre tra mille frammenti. Falli, dispute, proteste. Volano i cartellini gialli. L’insopportabile Gasperini si agita in panchina. Le continue interruzioni portano l’arbitro a concedere un recupero di sei minuti. I microfoni a bordo campo catturano la voce di Allegri che urla ai suoi uomini di continuare a giocare, che c’è ancora tempo per provare a riprenderla. La squadra si spinge in avanti, alla ricerca di un ultimo disperato e arruffato assalto alla porta di Musso. Da un’iniziativa di Bernardeschi, la Juventus guadagna un calcio di punizione dal limite dell’area. Il cronometro ha già scavalcato il minuto 93. E’ la posizione perfetta per il sinistro di Dybala. Chiellini, lungo la linea laterale, sembra cercare la giusta concentrazione per aiutare il compagno a superare quel muro folto di maglie arancioni. Il pubblico ammutolisce. Dalla tv sarebbe possibile persino percepire il respiro dello stadio se solo i telecronisti tacessero un secondo. Dybala accarezza il pallone che supera la barriera ma incontra la traversa a fermare la sua corsa verso la rete. La palla rimbalza e si alza, perdendosi sul fondo. Il pubblico si lascia andare ad un sospiro di delusione. Allegri ha un gesto di stizza. Il tifoso davanti alla tv, seduto sulla sua solita scomoda sedia, si limita rassegnato a maledire l’ennesimo legno colpito dalla Juventus e in particolare da Dybala in particolare in questa annata balorda.

La partita finisce. Si accende una piccola mischia tra i giocatori mentre Allegri imbocca nervoso la porta che conduce agli spogliatoi. Non c’è il tempo per capire cosa stia accadendo. Dazn interrompe il collegamento per mandare in onda una breve fascia pubblicitaria. Quando torna la diretta dallo Stadium, il momento di nervosismo sembra superato. I giocatori dell’Atalanta celebrano la vittoria con i propri tifosi, raccolti all’interno del settore ospiti. Dall’altra parte del campo, Dybala, Bonucci, De Ligt, Cuadrado e Szczesny sono gli unici giocatori bianconeri ad avere la dignità e l’orgoglio di presentarsi comunque sotto la curva per salutare il pubblico. Gli altri sono già tutti negli spogliatoi, probabilmente ansiosi di postare sui social i soliti banali propositi di immediato riscatto fin dalla prossima partita.
Il tifoso bianconero, con il morale basso e un brutto senso di rassegnazione, lascia la postazione davanti alla tv perdendosi in alcune piccole
riflessioni.
Nel campionato in corso, la Juventus finora ha segnato 18 reti in 14 partite e raramente, nel corso di una singola partita, è riuscita ad effettuare più di due o tre vere conclusioni verso la porta avversaria. Una media ridicola, da squadra che lotta per salvarsi. Parte dei tifosi reclama un nuovo centravanti. Uno che abbia numeri in carriera migliori rispetto a Morata, che non è mai stato un bomber da 20 gol a campionato. Può darsi, forse è corretto. Cercando però di allargare il ragionamento, andando oltre le fredde statistiche e l’ipotesi di un nuovo centravanti  da acquistare in un mercato di gennaio che di solito non sposta elementi di alto profilo (un conto è presentarsi con Vlahovic, un altro con Mitrovic o Scamacca, con tutto il rispetto per entrambi), la sensazione è che la Juventus in questo momento sia dentro una spirale involutiva, iniziata nella scorsa stagione (se non addirittura prima), dalla quale non riesce a trovare una via per venirne fuori. Non sembra una situazione risolvibile cambiando semplicemente un paio di giocatori. Manca prima di tutto un’identità di squadra.
La favola del dna, degli 1-0 e del “corto muso” è appunto soltanto una favola.
Una squadra che non segna e non produce nemmeno occasioni, che non è in grado di alzare il ritmo per più di cinque minuti senza andare in affanno, che non riesce ad organizzare una vera pressione sui portatori di palla avversari, che non ha un’idea chiara di sviluppo della manovra ma si affida quasi esclusivamente alle iniziative dei singoli; una squadra nella quale i giocatori ricevono il pallone costantemente con le spalle rivolte alla porta avversaria e in situazioni scomode; nella quale il portatore di palla non ha mai davanti a sé delle vere soluzioni di passaggio, motivo per cui si torna indietro oppure ci si avventura in una verticalizzazione o in un lancio lungo; insomma una squadra che non riesce a costruire più di una o due azioni a partita, può salvarsi in qualche occasione, ma alla lunga è destinata a perdere. Indipendentemente dai nomi dei giocatori schierati.