Continua il nostro viaggio nei... meandri delle tifoserie! Avanti tutta! 
di 
Frankie Nuresse

SIAMO ANCORA QUA
“Riprendo la linea”.
Con essa, il divertimento, la passione e l’entusiasmo per sbeffeggiare noi tifosi, veri animali da palcoscenico. Uomini dalle mille facce con un unico destino; lasciare il proprio umore nelle mani di 11 ragazzi in mutande.

La prima puntata della “nostra fiction” mi sembra abbia riscosso un elevato dato auditel; dal tono dei commenti, tutti graditi, abbiamo potuto scorgere la stessa linea della nostra idea.
Chi ironizza, del resto, non è poco serio o meno consapevole, ha solo imparato a prendere in giro la vita quando si è accorto che non può cambiarla.
E noi siamo… accorti, vero Frankie?
Per tenerlo buono, gli Imperatori Romani, davano al popolo “panem et circenses”. Oggi “realites et calcium”.
Ed è proprio dalla Capitale che voglio continuare il nostro viaggio a 4 mani.
Si riparte? Gnamo, allora, allacciate le cinture di sicurezza: un altro volo è in partenza…

LAZIO
La SS Lazio, Lazzie dalla Treccani, (chiamata anche SS Quajie, Formellese o Ciociaria FC) è una società di calcio italiana dalle origini incerte e controverse. Si narra che, molto probabilmente, sia nata da un’estemporanea idea dell’attore Nino Manfredi colto da crisi mistica mentre fissava in maniera interrogativa un gregge di “pecuri” pascolanti nei prati dell’Agro Pontino. La Lazio, perciò, ha quasi sicuramente origini burine trattoriali ed è pure nota per essere gemellata, per contratto, con la squadra che guida e alla fine vince (ovviamente) il campionato di serie A.
Gioca le partite casalinghe nel celeberrimo Old Trattor, splendida avveniristica struttura, che ha una capienza (di parcheggio mezzi agricoli) di oltre 60.000 posti coperti per riparare al meglio gli arnesi dedicati all’agricoltura e alla pastorizia. Il popolo laziale è logicamente fiero delle proprie “umili origini” peraltro perpetuamente richiamate dalla stella polare della società: Il presidente Claudio Lotito! La comparsa dell’ex ragazzo di Ciampino, all’epoca frazione del comune di Marino, nel mondo del calcio è molto antica e di essa troviamo le prime tracce scritte nell’Antico Testamento ma alcune raffigurazioni rupestri fanno ritenere che possa essere addirittura cronologizzata nel paleozoico. Su un’anfora risalente a quel periodo, l’archeologo Schliemann infatti riconobbe raffigurati tre personaggi simbolo: Berluscae, Aureliae de Laurentis e appunto Claudiae Lotitae.
I tifosi della Lazzie sono soprannominati Irriduscibili, ed essi stessi (chi no, sennò) si definiscono sportivi e obiettivi. Sportivi perché farebbero qualsiasi sforzo fisico/atletico pur di concretizzare l’opera di Gufaggio verso l’altra squadra, innominabile, di Roma (ops, pardon… della capitale); obiettivi perché per loro, quello principale, è sempre di trovare scusanti e giustificazioni (l’arbitro non venduto al foro boario come da accordi, terreno di gioco rasato solo “contropelo” e senza la riga in mezzo, Marte, Venere e pure Giunone in opposizione…) alle mediocri performance degli Aquilotti.
Si dice sottovoce che la SS Lazzie appartenga politicamente a un non ben identificato schieramento che però risulta essere dalla parte opposta alla... sinistra ma sono solo chiacchiere da bar, al limite dell’illazione, senza riscontro alcuno! E poi si sa che la calunnia è un venticello...
La società podistica Lazio, come viene chiamata nelle zone gialle e rosse al di là, al di qua, al di su e al di giù del Tevere è solitamente presa di mira per i propri colori sociali. Se i biancocelesti si sentono più vicini al cielo, per chi vuole carinamente “ricordarli”, il completo risulta essere più assonante con i colori del pigiama. La tonalità poco accesa è, sempre più frequentemente, sottolineata come triste, grigia, spenta; in una parola: sbiadita!
Data la suscettibilità del tranquillo supporter del duo Lotito-Tare (una sorta di Jalisse del calcio che, nel lontano 1997, cantavano in “Fiumi di parole” - “la mia testa chiude l’audio la storia la so sei fatto così. Dovrei limitarmi oramai a dirti di sì”) bisogna sempre tenere a mente che quando due anime candide si incontrano, come cantava Lando Fiorini, in mezzo “a lì mejo grilli pe’ fà cri cri”, il passo successivo alla pomiciata deve essere, senza se e senza ma, la classica domanda che si fanno tutti gli abitanti della Capitale: sarà della Roma? Sarà della Lazio? Una volta accertato che di secondo nome fa Formello e che il cognome è Volaunaquilanelcielovola bisogna imprimersi nel cervello che:

  1. La Lazio è stata la PRIMA squadra della capitale perché nata nel 1900 a Piazza della Libertà, sulla sponda del Tevere, a due passi da San Pietro. I laziali perciò sono stati i primi a portare il calcio a Roma. Gli altri, gli innominabili, gli inutili, i miseri, quelli che tifano per la seconda squadra, insomma, i giallorossi (o giallozozzi come li chiamano loro), sono arrivati molto, molto molto molto dopo. La Roma è nata, o meglio non è stata abortita, nel 1927. Dimenticarlo sarebbe come non ricordare la sua data di nascita! 2) Se tu per caso tifi Roma, astieniti dal parlarne. Anzi evita di parlare di tutto ciò che riguarda il calcio. Se per grazia divina riuscirà ad accettare il tuo essere romanista, sappi che è un miracolo! Se hai le poppe, è sicuramente l'uomo della tua vita. 3) Il 26 maggio, sempre a proposito di date, è festa nazionale per il laziale (FNL); è il giorno in cui la Roma è sparita dalla città dopo la vittoria per 1-0 della Lazio, nel derby in finale di Coppa Italia del 2013. Imprimi nella mente questa ricorrenza e anche il nome del marcatore, Lulic! Devi assolutamente memorizzare il minuto dell'estasi: il 71° è il momento in cui le lancette, come i cuori, si sono fermati. L'Aquila è volata nel cielo biancoceleste... 4) L'orario delle partite è sacro. Regola ferrea vuole che, "quando gioca la Lazio", il laziale sia parcheggiato davanti alla tv o in piedi allo Stadio. Non scrivergli, non chiamarlo, non facebookccarlo, non twitterarlo, non instagrammarlo: insomma dimenticalo! In quel momento non saprà nemmeno dove ha lasciato il cellulare e si dimenticherà persino di averne uno o, addirittura di conoscerti. Non imporgli di tenere il cellulare vicino, sarebbe anche peggio (per maggiori informazioni cercare su Google "casi di distruzione di cellulare in seguito a scomposte esultanze post-gol"). 5) Le regole di cui sopra, in caso di derby, valgono il doppio. Perché quella non è "una" partita, ma "LA" partita. Un evento storico, una lotta tra titani per la sopravvivenza, per la vittoria tra il "bene" e il "male". Non esiste famiglia, moglie, lavoro, casa, auto, cane, gatto, colazione, pranzo e cena (si rifarà dopo l'incontro). La sconfitta non è contemplata; vorrebbe dire passare una settimana fuori dal mondo. Ostentare il muso, come se in fronte, a mo’ di ghigno, ci fosse scritto “che cazzo stai a guardà”, sarebbe l’espressione “più migliore” da mostrà (che è bellino perché è in rima con guardà…). Una vittoria, invece, farebbe di una donna (moglie, fidanzata, mamma, ganza e chi più ne ha più ne metta) la più felice della “tera”: andare con lui tutto il pomeriggio in profumeria, gioielleria, centri commerciali, parrucchieri, lingeria, merceria e fare man bassa di tutto; insomma “un omo che te fa’ sorride te sarva ‘a vita senza sapello”. 6) Giorgio Chinaglia, detto Long John, è il nome da “imprime nella mente” perché “c’ha avuto er potere de rende felice i’ core” dei laziali, con LUI vinsero lo scudetto nel 1974. Se vuoi fare un figurone, come in una filastrocca, scolpisci nella mente la formazione rimasta nella storia: Pulici, Petrelli, Martini, Wilson, Oddi, Nanni, Garlaschelli, Re Cecconi, Chinaglia, Frustalupi, D'Amico. Allenatore Maestrelli.

“Abbracciateve finchè sete in tempo”; ricordalo prima di copulare. Dopo sarà troppo tardi…

ROMA
Un tifoso romanista parla sempre tanto di cosa significa tifare Roma; eppure si troverebbe in difficoltà nel provare a dare una definizione a un “non romanista”. Si sentono speciali, se non unici, quantomeno diversi.
C’è un “sinsillino” di autocompiacimento in questa chiusura verso tutto ciò che è esterno: se “noi” non possiamo spiegarlo, “voi” non potete capirlo.
È improbo (che non è né una parolaccia né tantomeno uno sciroppo) spiegare il giallorosso. Uno che afferma “purtroppo sono romanista; è una vita di sofferenze”; quello anziano che dice “io sono proprio malato per la Roma”. Poi ce sta er pupetto a cui la madre ha detto che la sua terza parola è stata “Totti”; le prime due sono venute fuori da sé: “forza Roma”!
E poi la massa di tifosi che si recano all’Olimpico che se chiedi loro di spiegare il perché, ti risponderanno quasi in coro “ma che ne so, è come se chiedi a un cieco cosa è il buio”
Al tifoso romanista va riconosciuta una considerevole capacità di sintesi; i discorsi complicati non fanno per lui, anche perché non è in grado di farli. Inoltre, sbagliasse di sicuro il condizionale e se tenterebbe con il congiuntivo andriede anche peggio.
Quando viene a contatto con la tifoseria avversaria, che si mostra minacciosa, ricorre a un lessico minimale, ma di efficace impatto emotivo.
“Manzo, che te cinquino er teschio!”
(Stai calmo, se mi arrabbio ti appioppo uno schiaffo sulla testa come si fa con i ragazzini)
Oppure il sempre valido
“Te sto a ‘mbruttì!”
(Il mio stato d’animo nei tuoi confronti evolve repentinamente verso l’animosa antipatia).
Anche nel commentare i risultati di una partita, non indugia in astruse considerazioni di natura tecnica, si limita invece a esprimere concetti di facile assimilazione affinché un bimbo di sei anni (o un adulto di pari quoziente intellettivo) possa comprenderli.
Essere romanista non è facile, oseremmo dire complesso, un lavoro toh! Gli altri ti considerano altezzoso, facile alla rissa, bullo e ignorante; ma la cosa che è difficile da mandare giù è che non puoi dargli torto. Per scrollarsi di dosso queste etichette, alcuni emissari, provenienti dai vari gruppi del tifo organizzato, hanno proposto a molte altre tifoserie l’amichevole forma del “gemellaggio”. È andata bene con i cinesi dello Shanghai Shenhua e col Porto Recanati (MC).
Il romanista è normalmente tollerante con le altre tifoserie, a patto che si verifichi una delle seguenti condizioni:

  1. La Roma ha vinto la partita
  2. La Roma non ha perso la partita e non l’ha nemmeno pareggiata
  3. La squadra avversaria ha perso la partita
  4. La squadra avversaria non ha vinto la partita e non l’ha nemmeno pareggiata
  5. La partita è finita in pareggio, ma la Roma ha segnato al 93° (il gol vittoria di Abraham al nono minuto di recupero contro lo Spezia, quando molti erano già a cena, è stata l’apoteosi)
  6. La partita è finita in pareggio ma la Roma era sotto di tre gol
  7. La Roma ha perso, ma la partita era a porte chiuse, non contava, non fa giurisdizione, era figlia di un risultato bugiardo e, soprattutto, chi ci ricama sopra “è un gran fijo de na...”

Antichi rancori impediscono al romanista di accettare, con serenità, l’esistenza di alcune tifoserie considerate “tradizionalmente nemiche”. In primis la Lazio, poi tutte le altre del campionato di Serie A, B, Lega Pro, D, Eccellenza e parte della Promozione se non direttamente gemellate o facenti parte di squadre riconducibili alla Roma.
Ecco perché, come lesa maestà, i tifosi della “Maggica” vengono chiamati Pepperones, ossia peperoni con una strana e inspiegabile influenza ispanica evidenziata dalla desinenza “es”, forse per indicare le povere origini. Lo sfottò in questione fa riferimento ai colori sociali della Roma, che sono gli stessi di due varianti dell’ortaggio ossia il peperone giallo e il peperone rosso. Infatti, per non dar credito alle dicerie, il famoso “pollo con i peperoni alla romana”, oltre a essere un classico della cucina capitolina, sembra essere d’uopo (non con l’uovo mi raccomando...) a colazione a Trigoria. Ovviamente d’obbligo è la scarpetta, per raccogliere tutto l’intingolo con i relativi profumi. La ricetta, in origine, prevedeva un sugo senza i peperoni, introdotti solo più tardi negli anni ‘60. La leggenda narra che furono aggiunti all’interno del tegame dopo l’uscita del film di Nanni Loy, “Il marito”, nel 1958.
Alberto Sordi, novello sposo, è costretto a rinunciare al derby contro i cugini bianco-celesti a causa della moglie. Il matrimonio ha le ore segnate; “Forza Roma è stato il mio primo vagito!”. “Peppino sei tu? Prrrrrrrrrr! Alla faccia tua e de tutti i laziali, Peppì! Ahahah”.
Prosit.

EMPOLI
La storia del tifo empolese inizia a metà degli anni '70. Prima di allora non si poteva parlare di gruppi ultras in senso stretto, ma solo di sportivi esagitati che incitavano la squadra. La situazione cambiò quando venne costruita la FI-PI-LI che collegava la Capitale del Granducato, Firenze, con tutti i paesi della piana, Empoli compreso, fino ad arrivare al mare in provincia di Livorno. Bisogna considerare che è un Strada di Grande Comunicazione di poco più di ottanta chilometri e che per circa 76, fino quando non si imbocca, dopo Via del Sansovino, fa elencare a ogni automobilista tutti i Santi del Paradiso ivi comprese le Sante sconosciute anche per gli onomastici fino ad arrivare alle suore, escluse quelle di clausura, e ai padri degli ordini sparsi. Insomma si sa quando si parte ma, o per il traffico, lavori in corso, ristagni d’acqua, animali in strada o bimbi che vomitano lungo la carreggiata, non si sa quando si arriva. I tifosi scuotono i tranquilli week-end empolesi e portano una nuova moda di fare tifo e di sostenere la squadra per tutta la durata della partita. Prima di allora molti erano dediti alla raccolta dei carciofi in quanto la cittadina può esserne considerata, a ragione, la capitale. Il termine "carciofai" è più il desiderio di sapere il prezzo a mazzo piuttosto che al chilo. Nel 1983 il sensibile aumento di pubblico da 12/13 fino a 18 (qualche volta la nonna Niccolina non era presente), portò la società a costruire lo stadio nuovo. O meglio gli spalti. O meglio le curve. O meglio i gradoni in ferro.
I tifosi della Fiorentina non ci misero molto a sottolineare il fatto esponendo uno striscione fin troppo eloquente: "Ma lo stadio ke l'avete preso all'Ikea?". Da sempre, la partita più sentita per i tifosi empolesi è il derby contro il Siena e si ricordano scontri piuttosto cruenti; dare ai "cavallai" le spine del carciofo era considerato un affronto, specialmente senza essere stato fritto. Bisogna ricordare però che il vero derby di "campanile" era quello con il San Miniato, sfida che ormai non si gioca più, non tanto per la differenza abissale di categoria, quanto piuttosto perché quest'ultimi hanno deciso di partecipare al campionato del "tartufo bianchetto" andando, di fatto, ad abdicare le epiche sfide contro il "tortino di carciofi".
Altra rivalità nata negli anni ‘80 è quella con gli arancioni di Pistoia, all’epoca gemellati, guarda caso, con i senesi. La Pistoiese è sempre stata molto generosa con la città del Palio in quanto lo zoo, uno dei più grandi in Italia vicino al parco di Collodi, era una sorta di Pit Stop per tutti i discendenti di Furia. È sempre di quegli anni, davvero pioneristici, il doppio gemellaggio con Como e Napoli, entrambi naufragati nel giro di qualche anno. Con i napoletani c’è stato un problema culinario: fare la "parmigiana" sostituendo melanzane con carciofi risultò un affronto difficile da digerire. Con la società lariana, invece, ci fu una intrusione del Principato di Firenze che, tramite i propri sostenitori, espose il drappo "Voi CoMaschi noi con le femmine".
Un rapporto che sembra non andare davvero mai in crisi è quello con i Boys di Parma: reciproche visite e cene hanno rafforzato un gemellaggio che posa su basi solide e consolidate. La stessa mentalità e la medesima categoria per molto tempo hanno riavvicinato i due gruppi che per qualche anno si erano un po’ persi di vista. Del resto "i'segato di carciofi" con il parmigiano e un gotto di vino non si negano nemmeno a questi compagni di merende. Con la salita in serie B e, successivamente la grande avventura in serie A, il pubblico empolese aumenta le presenze, compresa questa volta la nonna Niccolina, sia in casa sia in trasferta dove lascia sempre una bella impressione.
Vestiti a "modino" con la camicia della comunione e i mocassini della cresima, il tifo è sempre abbastanza caldo anche perché fanno uso di torce, fumogeni colorati e, nel periodo di carnevale, delle lingue di menelik. Anche nelle partite casalinghe, i supporters sfornano sempre qualche bella coreografia a inizio partita: il saltellare tutti insieme, mai visto in altri campi, crea un colpo d'occhio da "ciccia di gallina", si, insomma, pelle d'oca. Oltre ai già citati rivali di Siena e Pistoia, anche aretini, romanisti, laziali, fiorentini, reggiani entrano a far parte dei "nemici" della tifoseria empolese. A livello di gemellaggi, oltre i parmensi, ottimi rapporti anche con i ragazzi di Montevarchi, con gli Allentati Fasano, con gli Ingrifati Perugia e con gli Eccitati di Montespertoli.
Il Presidente Corsi, pur di dimostrare che anche la sua squadra può contare su uno “zoccolo duro” di tifoseria, per le partite casalinghe, recluta con congruo corrispettivo un po’ di truppe cammellate dalla provenienza più variegata. Infatti, uno studio eseguito dall’IPSOS ha certificato che la Babele del Castellani è così composta:
35% cinesi
20% filippini
17% albanesi
10% senegalesi
8% marocchini
5% uzbeki
5% empolesi (compresa nonna Niccolina).

Sempre molto impegnati nel sociale e nelle battaglie del mondo ultras, non disdegnano una vena di sinistra che compare sia nel vecchio striscione, dove il simbolo è il Che Guevara, sia nelle bandiere sventolate durante la partita dove si scorge, anche lì sbiadito e dimagrito, il volto di Piero Fassino.
Sono oramai lontani gli anni delle immense fumogenate, delle belle torciate che illuminavano il Castellani e delle grigliate nella insidiosa trasferta di Ponte a Elsa. In sostanza, anche in provincia, come in un mazzo di carte, gli "empolani" sono sempre ben accetti. Del resto, non sempre si pesca l'asso di briscola; a volte "i’ due di picche" serve a fare numero.

LECCE
Lecce è un’antica città di origini messapiche, con un suolo ricco di antiche rovine. L’altro giorno nel mio giardino stavo scavando una buca per piantare un albero e all’improvviso è venuto fuori un busto messapico di Franco Causio. Ho ricoperto subito la buca per timore che mi tassassero per lo scavo non autorizzato; adesso però non so dove piantare l’albero.
Comunque, nessuno sa chi fossero sti’ messàpichi (nessapìci?) ciò che conta è che la città venne fondata nel 6.666 a. N. da una tribù albanese. Che però prima era dei Romani (o era la Magna Grecia?). Arabi? No, gli arabi no… o sì? Boh… sicuro però che poi ci arrivano Longobardi, Normanni, Slavi e chissà chi altro. Ah, già, gli Aragonesi (o i Borboni? Facciamo tutti e due, va). Poi anche i Padani, ma solo d’estate.
Non si creda però che il risultato di quest’insalata mista di multietnicità, cioè gli attuali salentini, impieghino tutto il loro tempo in mere attività lavorative quali liberare infradito, espadrillas e piedi dalla sabbia delle “Maldive del Salento”, oppure controllare, anticipando il lavoro dei NAS, la freschezza del “Crudo di Gallipoli (un lavoraccio!). Saggià i ricci, e poi le cozze, non tralasciamo gamberi, cannolicchi e fasolari… ’na fatica… noooo i leccesi, di tanto in tanto, riescono a concedersi qualche meritata pausa nei tipici locali della movida disseminati all’interno dello spoglio e minimalista centro storico. Ben prima dell’arrivo del gigante Starbucks, infatti, manovali e muratori salentini avevano costruito un po’ ovunque una catena di caffetterie, chiamandole tutte, per una immediata riconoscibilità, con lo stesso patronimico… BAR-ROCCO.
Non vi stiamo nemmeno un attimo a descrivere la rabbia dei laboriosi padani quando si son visti sfuggire la possibilità di colonizzare il centro cittadino con una serie di Mc Fly… Increduli (di tanta visione imprenditoriale) hanno sbarrato gli occhi!
Sono leccese, amo la mia città, non la tradirò mai” - disse Antonio Conte riferendosi a se stesso, alle 10:25 di un martedì mattina -.
Alle 18:10, del medesimo giorno, era il nuovo allenatore del Bari.
I tifosi salentini, sentendosi traditi, risposero, giustamente, per le rime affinché il messaggio arrivasse forte e chiaro a tutta l’Italia calcistica; non potevano altro che rivendicare la propria identità. Si ritrovarono nel piazzale adiacente lo stadio ed emisero il caloroso comunicato che fece notevole scalpore mediatico: “Te Lecce simu simu, lala lala lalà, a dhunca sciamu sciamu, lala lala lalà, lu core nui bu damu, lala lala lalà, lu culu bu scasciamu lala lala lalà!”.
Inutile sottolineare che, dopo poco meno di mezz’ora, la FIGC aprì un’indagine che fu inoltrata all’Ufficio Inchieste per vederci chiaro in merito a membri di frange estremiste che si erano inoltrate all’interno della tifoseria organizzata.
Il Lecce, una squadra “altalenante”, praticamente un ascensore. Toccate e fughe nel Paradiso, tragiche pause in Purgatorio e soste all’inferno nei bassifondi delle graduatorie. Per molti anni è stato così.
Stessa spiaggia stesso mare!
Mare profumo di mare, con l’Amore io voglio giocare, è colpa del mare, del cielo, del mare, sento che sto lasciandomi andare, questo sole che cosa può fare, io non ci credevo ma posso sognare…”.
E il sogno, finalmente, arriva (batti lu fierru finché è cautu); arrivano le promozioni e, in Via del Mare, dopo notti insonni e forti tensioni emotive, si può orgogliosamente giocare.
Lode e Gloria alla coppia Corvino-Trinchera, lode e onore al tecnico Baroni e ai magnifici 12, Barbetta, Damiani, De Picciotto, Liguori, Adamo, Carofalo, Sant’Oronzo, San Giusto, San Fortunato, Scapece di pesci marinati e fritti, la Melanzanata e il Gallo Ruspante!
Prima di entrare in campo per il riscaldamento, ogni giocatore, tassativamente, consuma caldo, non proprio bollente, diciamo più caldo che tiepido il Pasticciotto, che grazie alla sua lussuriosa pastafrolla e fuggevole nota acida della crema, ricarica il “masculacchiu i’ntra e fori”.
È un’autentica istituzione in quanto, come in un mantra, se fosse tutto frolloso gli rimarrebbe indigesto, se fosse solo crema, sarebbe solo crema, ma insieme sono maschio e femmina, luce e luce!
La prima maglia è come da tradizione caratterizzata dall’indissolubile legame con le strisce verticali giallo e rosse, colori utilizzati per la prima volta nel 1929. I leccesi si sono ben guardati dall’essere banali nel cantare dalla Curva Nord “Giallorosa è la sua maglia, Gialla Gialla come il Sole, Rossa Rossa come il Cuore” originalità allo stato puro. Ma la compilation del folklore leccese non finisce qua, accompagnato da rulli di tamburelli: “Serie A, Serie C, siamo sempre qui” (sulla melodia di Yellow Submarine).
Corvino, un rilancio in grande stile. E, mi raccomando, “Lu tirchiu è comu lu puercu; è buenu dopu muertu”, ma “nu fare mai lu passu cchiù lengu de l’anca toa”.

... e non finisce qui...