Diversi i temi che si sono improvvisamente aperti subito dopo l’inattesa e incredibile sconfitta del Napoli al Diego Armando Maradona contro lo Spezia. Tra questi, due sono tuttavia quelli che saltano di più agli occhi, tralasciando per il momento gli altri per i quali forse non basterebbero intere discussioni per arrivare a mettere un punto.

È chiaro che una società che si autofinanzia come il Napoli non può mancare per due anni consecutivi l’accesso in Champions League. La continua alternanza di risultati e prestazioni ha prima tolto gli azzurri dalla lista delle possibili candidate allo scudetto (che mai è stato un obiettivo quest’anno) in una Serie A senza padroni e poi sta rischiando di rendere complicato il discorso quarto posto, ambitissimo più che mai e obiettivo numero uno dei partenopei. Ipotizzando che Inter, Milan e Juventus si spartiranno i primi tre posti, l’ultima porta di accesso alla maggiore manifestazione europea diventerebbe un discorso tra Napoli, Roma, Lazio e Atalanta. Dal momento in cui il bilancio della squadra di Aurelio De Laurentiis si regge anche e tanto sugli introiti derivanti dalla Champions – diritti tv e incassi previsti per la sola partecipazione – il mancato approdo all’Europa che conta darebbe il là a quella rivoluzione tecnico-tattica che oggi alcuni invocano, senza tener conto tuttavia che nel calcio le rivoluzioni non si scelgono di farle, ma sono semplici conseguenze di quanto ottenuto. Senza Champions, addio agli investimenti e arrivederci agli stipendiati di peso, ovvero i big. Il rischio che si profila è quello di un ridimensionamento della competitività.

La sconfitta contro lo Spezia è un film visto e rivisto. Al punto che ci si può rendere quasi immediatamente conto di quale può essere il risultato finale. Contro i liguri sono bastati i primi 15 minuti per capire che la squadra di Gattuso non avrebbe avuto la meglio su quella di Italiano. Proprio Gattuso è finito sul banco degli imputati per colpe che, ieri, non erano sue. Non si può condannare il tecnico se Insigne sbaglia l’impossibile, Elmas calcia alle stelle e quest’ultimo e Llorente decidono per chissà quale oscuro motivo di non calciare verso la porta. Il discorso va allargato: quello che infatti preoccupa sono le parole di Gattuso nel post match, dette e ripetute ormai da mesi. “Manca il veleno”, “al primo errore ci innervosiamo”, “sbagliamo troppi gol”, “questa squadra deve stare sempre sul pezzo”, “buttiamo via partite sempre per gli stessi sbagli”, “forse è colpa mia che non riesco a trasmettere le cose ai giocatori” sono frasi che circolano da un po’ nei dopo partita. Senza dimenticare le “accuse” di una mancanza di personalità e mentalità.
Le colpe, se così vogliamo chiamarle, di Gattuso sono quelle di non essere riuscito a trovare i rimedi a problemi vecchi, da sempre presenti da quando è sulla panchina partenopea. Che poi sono quelli che già s’intravedevano nel primo anno di Carlo Ancelotti. Problemi che hanno impedito al Napoli di competere – non vincere, che è un altro discorso – per traguardi maggiori di un quarto posto. Che se non raggiunto decreterà il fallimento della stagione azzurra e della gestione Gattuso.
C’è ovviamente tempo per raddrizzare le cose: bisogna però prendere atto che il Napoli è da un po’ di tempo una squadra che può battere chiunque e allo stesso modo essere sconfitto anche da una neopromossa in lotta per la salvezza.
E con queste premesse non si va troppo lontano.