Ieri, 20 gennaio, Joe Biden giurava su un’antica Bibbia sorretta dalla moglie, diventando ufficialmente il 46° presidente degli Stati Uniti. Da lì a poco, a circa 7 mila chilometri, a Reggio Emilia si sarebbe disputata la 33ª edizione della Supercoppa Italiana tra Juventus e Napoli, poi vinta dai bianconeri per la nona volta nella loro storia.
Biden ha lasciato immediatamente intendere che nei primi mesi della sua presidenza si concentrerà non solo sulle misure di contrasto alla pandemia e alla crisi economica, ma agirà anche nel tentativo di cancellare il più possibile i 4 anni di amministrazione Trump, quest’ultimo esponente massimo del populismo, parente stretto del sovranismo, amico dell’estremismo, conoscente del negazionismo e amico a volte del razzismo, che mio padre al mercato comprò.
La storia ci insegna che gli estremisti ogni tanto si presentano per poi essere superati. Dove invece sembrano da sempre essere presenti è il mondo del calcio. Mutatis mutandis, ovviamente. L’estremismo nel calcio è quell’atteggiamento che condiziona fortemente quella parte di tifosi che mutano le loro emozioni pro o contro i protagonisti del pallone a seconda delle situazioni. Il che non deve assolutamente scandalizzare: il tifoso per essere tale deve essere irrazionale.
I giudizi che pendono da un estremo all’altro sono quelli che in queste ore interessano Gennaro Gattuso e Lorenzo Insigne, passati dall’essere esaltati a criticati e viceversa di partita in partita. Sul capitano azzurro pesa ovviamente il rigore sbagliato sull’1-0 per la Juventus che forse avrebbe dato un esito diverso al risultato finale. Come in ogni aspetto della vita, anche nel calcio ci vuole equilibrio, fonte quest’ultimo di quella virtù chiamata coerenza che pare stia scomparendo dalla lista dei valori dell’uomo.

Gattuso è un allenatore ancora agli inizi della sua carriera in panchina. Buona la sua esperienza in un Milan diverso dal punto di vista societario rispetto a quello attuale; al Napoli è arrivato per sostituire il suo mentore Ancelotti, ha vinto la Coppa Italia eliminando Lazio e Inter e battendo la Juventus. Ovvero, chi si è laureato poi campione d’Italia, i secondi classificati e i biancocelesti, sconfitti prima del lockdown quando erano in piena corsa per lo scudetto. In questa stagione è in corsa per tutti gli obiettivi: qualificazione in Champions, Europa League e Copp. Sarà l’andamento nelle 3 competizioni – soprattutto la posizione finale in campionato – a dettare il giudizio sulle sue attuali capacità di tecnico. Fermo restando che le qualità e l’esperienza di un tecnico possono crescere anno dopo anno insieme a quelle della squadra allenata, come accaduto già a Napoli con Walter Mazzarri e Maurizio Sarri.
Insigne non è un fuoriclasse né un campione, le due categorie tra cui sono divisi i top player. È però un forte giocatore, capace di fare la differenza. Ciò che impedisce il suo ingresso in una delle due classi sopracitate è la mancanza di continuità, cosa che caratterizza la sua stessa squadra, dovuti a limiti principalmente caratteriali che hanno tardato la sua definitiva maturazione. Massacrarlo per un errore dal dischetto significa dimenticare quanto di buono sta facendo in questa stagione e non aver chiaro in mente le sue reali qualità.

Quanto alla finale di ieri, il Napoli non ha fatto altro che ripetere l’atteggiamento assunto nei match contro squadre di un certo livello. Gattuso l’ha definita “una partita di scacchi”, traducibile nella “tattica del prima non prenderle”, in cui l’episodio diventa decisivo. Dal momento in cui quest’anno l’episodio non gira a favore (vedi la partita di San Siro contro l’Inter) sarebbe il caso di pensare ad una strategia differente. Giusto per non avere rimpianti e togliere dalla squadra quel timore che ne limita le qualità.