È un Napoli in emergenza, fisica e tecnica. Dalla gara dell’8 novembre contro il Bologna è stato privato di Osimhen, costretto dall’infortunio alla spalla e dal Covid-19 a stare fuori dal gioco per oltre due mesi, in cerca ora di una forma fisica lontana dalle migliori condizioni. Dal 16 dicembre, giorno del match contro l’Inter, gli azzurri hanno perso Mertens per una distorsione alla caviglia che sembrava recuperata e che al contrario lo sta costringendo ad ulteriori terapie. A loro si è giunto Fabiàn, anche lui contagiato dal Coronavirus e che, pur criticato, avrebbe potuto essere una risorsa in più, sia dal punto di vista qualitativo che nella logica del turn over. Senza dimenticare i limiti strutturali che accompagnano da qualche anno la rosa: Hysaj destrorso preferito a Mario Rui e Ghoulam, la mancanza di un regista e di un attaccante da almeno 20 gol, ruolo ancora difficilmente affidabile a Osimhen pur se fosse rimasto a disposizione.

Il 3-4-3 – o 5-3-2 – impiegato da Gattuso con l’Atalanta è solo l’ultimo di una serie di moduli impiegati dal tecnico partenopeo. Ma se affidarsi al 4-3-3 o al 4-2-3-1 era solo una sua decisione, il sistema impiegato nella semifinale d’andata di Coppa Italia contro i nerazzurri è sembrato quasi un atto dovuto, obbligato, per una squadra in difficoltà sotto i profili sopramenzionati, ma anche relativamente al gioco e alla condizione mentale. Perché in tutta questa situazione c’è un allenatore “commissariato” – termine che va di moda in questi giorni – dal proprio presidente, andato alla ricerca nei giorni scorsi di un sostituto del calabrese. Una scelta che rientra nelle prerogative di un patron ma che nella prassi istituzionale non sarebbe dovuta venir allo scoperto.

Gattuso sembra diventato il principale colpevole del rendimento attuale del Napoli, in un ambiente che fatica a considerare gli effetti collaterali delle condizioni attuali e che negli attacchi al tecnico si focalizza solo su moduli e gioco. Si è partiti dal 4-3-3, ma non si poteva sfruttare Osimhen né far giocare il nigeriano con Mertens. Ecco allora il 4-2-3-1, ma troppo sbilanciato, poco equilibrato e protettivo per la difesa. Dunque il ritorno al 4-3-3, ma il gioco visto contro il Parma è considerato pietoso. Si passa al 3-4-3 poi divenuto 5-3-2 per contrastare un’Atalanta in forma e superiore sul piano fisico. Ma anche in questo caso l’esperimento di Gattuso è stato bollato come troppo difensivista e arrendevole. Dice bene il detto “a monaca d’ ‘e Camaldoli: muscio nun le piaceva e tuosto le faceva male”.

Sta passando dunque in secondo piano l’aspetto più importante: seppure la settimana prossima dovesse abbandonare la Coppa Italia che detiene, il Napoli resta in corsa in EuroLeague e per l’obiettivo numero uno della stagione, la qualificazione in Champions. C’è da capire da dove proviene la negatività nei confronti del tecnico (in misura maggiore) e della squadra. Resta sì il rammarico per aver deposto troppo presto le armi in una lotta scudetto più aperta rispetto agli ultimi anni. Si storcono le bocche nell’osservare prestazioni e risultati altalenanti e un gioco non sempre esaltante.
Ma ancora non è tempo di fare i funerali, benché Gattuso ha commesso i suoi errori. Seppure De Laurentiis – che di errori ne ha commessi ugualmente - dovesse procedere all’esonero di Gattuso terrorizzato dall’idea di perdere il treno Champions, il futuro allenatore si ritroverebbe comunque con un Petagna acciaccato, passato da terza scelta a prima punta, e con una squadra dalla condizione fisica e tecnica non al top.
Tanto vale continuare, finché sarà possibile, con chi sembra avere la squadra dalla sua parte. Nel frattempo... “Ha da passà 'a nuttata”.