A trenta secondi dalla fine Ziyech ha nuovamente la palla per chiudere la partita, dopo aver preso il palo sul 2-2. Calcia forte di sinistro ma Lloris respinge. La palla finisce a Tadic che anziché temporeggiare o servire un compagno meglio piazzato, decide di tirare. Palla alta. L’azione riparte e con la forza della disperazione il Tottenham arriva nei pressi dell’area avversaria. Ancora una volta il pallone capita sui piedi di Lucas che in una serata di grazia firma la tripletta che manda gli inglesi in finale di Champions. Trenta secondi, trenta maledetti secondi che nel calcio sono un’infinità ma che sono sufficienti a spingere parte degli intellettuali sportivi a cambiare immediatamente idea e a dare subito ragione all’Allegri-pensiero, secondo cui il bel gioco, in fin dei conti, non porta da nessuna parte e non è sinonimo di vittoria.

Una visione miope e superficiale di chi cambia opinione in base alle convenienze, di chi modifica il proprio pensiero in relazione a quanto accade, per mettersi dalla parte del giusto poiché in quel momento vincente, per strappare qualche like in più. Anche per questo motivo avrei voluto vedere l’Ajax in finale: quale sarebbe stata l’opinione di questi sommi pensatori se gli olandesi avessero avuto la meglio? Sarebbe stata esattamente l’opposta, avrebbero decantato il bel gioco e magari avrebbero criticato l’allenatore bianconero, reo in quel momento di avere torto. Chi sostiene che l’eliminazione dell’Ajax sia avvenuta perché abbia pensato al bel gioco piuttosto che badare al sodo ha una visione troppo semplicistica di quanto accaduto. Basterebbe allungare lo sguardo sull’altra finalista – il Liverpool – per capire di avere di fronte una squadra capace di offrire spettacolo. Lo stesso Tottenham non è certamente una squadra noiosa. Per cui viene a cadere la convinzione di chi sostiene le ragioni di Allegri. Il primo tempo della squadra di ten Hag è stato grandioso come sempre e anche sul 2-2 ha avuto le occasioni per vincere il match. È troppo facile cambiare opinione sulla sola base del risultato finale.

L’eterno dibattito su cosa sia meglio tra il bel gioco e il pragmatismo inizia a diventare stucchevole. In primo luogo perchè la scelta non è tra vincere o giocare bene: la vittoria è l'obiettivo di tutti, cambia l'idea su come arrivare ad essa. In secondo luogo perché non consente di indagare più a fondo sui motivi per cui le squadre italiane sono lontano dall’esprimere prestazioni di un certo livello in grado di portarle a competere costantemente nelle coppe europee.

FRESCHEZZA FISICA – La prima cosa da sottolineare è la diversa intensità e velocità a cui viaggiano le altre squadre rispetto a quelle italiane. Non so se la spiegazione vada ricercata nelle modalità con cui si svolge la preparazione estiva o perché la Serie A offre poche occasioni di match intensi e combattuti, fatto sta che a marzo, quando giunge il momento decisivo della stagione, c’è una differenza di rendimento tra le nostre formazioni e quelle europee. Corrono il doppio, se non il triplo, mettendo in campo un’intensità difficile da contenere. La Juventus, ad esempio, dopo aver dominato la prima parte nella gara di ritorno contro l’Ajax, nel secondo tempo è praticamente crollata. Difficile capire se il motivo sia stato fisico o mentale, ma poiché mens sana in corpore sano, le due cose possono essere strettamente correlate. Un deficit fisico che ha impedito mentalmente di mantenere il confronto con i lancieri.

MENTALITÀ – Due semifinali, due super rimonte. Dal 3-0 al 4-0 il Liverpool contro il Barcellona, dallo 0-1 al 3-2 – e dopo essere stato sotto di 2 gol al 45’ – il Tottenham contro l’Ajax. Ecco, quando era il momento di dare tutto, le due inglesi non si sono tirate indietro, non si sono spaventate nell’affrontare squadre sulla carta favorite per la finale, partendo da una situazione di grande svantaggio. Questa volta prendiamo il Napoli come paradigma: contro l’Arsenal in Europa League, pur trovandosi su un piano qualitativo paritario o comunque non distante, gli azzurri non hanno impensierito minimamente i Gunners. All’Emiretes la squadra di Ancelotti ha giocato con paura e timore. Al ritorno al San Paolo, nonostante le tante parole sulla voglia di rimonta e di impresa, non ha mai messo in difficoltà la squadra di Emery. Nota bene: dopo il Napoli, l’Arsenal ha perso 3 gare consecutive in Premier. Possibile che gli azzurri siano inferiori a Crystal Palace, Wolverhampton e Leicester? No, ma se il Napoli oggi giocasse contro queste squadre probabilmente non sarebbe in grado di impensierirle più di tanto, abituate come sono alla competitività del calcio inglese.

COMPETITIVITÀ – Ed ecco il principale problema del calcio italiano, la mancanza di dirette concorrenti che possono incrementare il livello della competizione, in modo tale da mantenere sempre alta la tensione e la concentrazione. Troppa differenza tra la prima e la seconda, tra la seconda e la terza e così via. In questo modo, il più delle volte, la maggiore qualità di una squadra rispetto alle altre basta per poter avere la meglio. Ma in Europa la sola qualità non basta, soprattutto quando questa è inferiore rispetto a quelle al di fuori dei confini nazionali, soprattutto quando queste ultime sono più in forma, mettono in campo una maggiore intensità che ne aumenta la competitività e sono mentalmente pronte a certe sfide. Ecco, personalmente mi preoccuperei di trovare il modo di porre rimedio alla mancanza di questi elementi che impediscono al calcio italiano di competere fino in fondo nelle coppe europee, anziché domandarsi se Allegri avesse ragione o meno.