È ormai cosa nota la netta cesura con la sua recentissima storia decisa della proprietà del Napoli. Una scelta che, come già ampiamente affermato, è stata per troppo tempo rinviata. Facile, ovviamente, asserirlo ora, ma prenderne atto è necessario per comprendere il momento particolare della società azzurra. Verosimilmente, se nel momento più alto del Napoli di De Laurentiis – l’anno dei 91 punti senza scudetto – all’addio di Maurizio Sarri fosse seguita anche una rivoluzione tecnica, con gli addii in serie dei maggiori artefici di quella stagione, per i quali tante big europee erano pronte a fare follie, probabilmente ci sarebbero state rivolte (metaforiche) a Piazza del Plabiscito. Ma una società, allo stesso tempo azienda imprenditoriale, non può non possedere l’abilità nell’anticipare i tempi, della lungimiranza, della previsione degli eventi e delle soluzioni da adottare sulla base dello scenario che prende forma. Senza preoccuparsi più di tanto dell’umore della piazza, alla quale però vanno spiegate progetti e strategie.

Insomma, tutto l’opposto di quello che è oggi il Napoli. A dimostrarlo sono i fatti: ceduto Koulibaly al Chelsea, una società organizzata avrebbe già in pugno – a meno di un mese dall’inizio del campionato – il suo erede. Certi degli addii di Mertens – la cui storia del rinnovo è alquanto dilettantistica – e di Ospina, a Dimaro sarebbero già dovuti arrivare i sostituti. La comunicazione - da sempre punto debole, ma che oggi ha toccato l’apice dell’incapacità - è affidata a un direttore sportivo che “mente sapendo di mentire” e a un allenatore che dovrebbe pensare solo al campo, anziché preoccuparsi di rassenerare i tifosi, abbozzando una finta serenità. L’assenza della società, che già si è palesata la scorsa stagione nel momento clou e negli anni addietro, continua a manifestarsi, mietendo dubbi invece di fugarli.

Non è la prima volta che il Napoli di De Laurentiis deve privarsi del top player di turno. Tuttavia, la cessione “dolorosa” ha sempre visto in seguito il reinvestimento delle risorse, cosa che ha garantito agli azzurri di continuare a competere per i vertici della classifica. Quanto sta accadendo oggi però, si distingue rispetto al passato, sia perché mai tanti giocatori di un certo livello – la permanenza di alcuni, tra l’altro, è stata invano richiesta da Spalletti – sono andati via allo stesso tempo. Sia perchè è sempre più diffuso il pessimismo sulla bontà della rosa partenopea, anche se dovessero arrivare gli annunciati acquisti.

Il mancato arrivo di Paulo Dybala, l’unico in grado di alzare nuovamente il tasso tecnico della squadra azzurra e l’umore della piazza, è solo l’ultima delusione di questa estate partenopea. Paradossalmente, nell’anno in cui si è ritornati con facilità in Champions, contendendo a tratti la vittoria del tricolore, il Napoli si trova (oggi) più debole. In più, la sensazione che il mercato non alzerà più di tanto il livello della squadra, relegando gli azzurri – almeno sulla carta – alle spalle di diverse concorrenti. Come sempre ogni valutazione è rinviabile alla chiusura del mercato e sarà messa alla prova del campo. Nel frattempo, riecheggiano le parole di Spalletti nell’annunciare la difficoltà di riaffermarsi tra le prime quattro.

Dalla mancanza di chiarezza, di un progetto e della voce della società emerge tutto il malcontento che accompagna il Napoli da ben oltre questa estate - nonostante il terzo posto dell’ultimo campionato – e il malumore e le preoccupazioni per il futuro degli azzurri. Si attendono parole dal numero uno partenopeo, ma al momento tutto tace. E il silenzio non fa altro che aumentare le ombre sul futuro che appare poco azzurro.