Nel mezzo del cammino della sua avventura inglese, Maurizio Sarri si ritrovò in una selva di problemi che sembravano avergli fatto smarrire la diritta via.
La partenza sfolgorante in Premier e il dominio a mani basse in Europa League gli permisero di ottenere più apprezzamenti che critiche, quest’ultime sempre presenti poiché ad alcuni figli di Albione il “sarriball” proprio non piace. Probabilmente lo stesso tecnico non sapeva ben spiegarsi come vi entrò in quell’oscuro periodo compreso tra gennaio e febbraio, tant’è che dopo la sconfitta contro l’Arsenal di metà gennaio, l’ex Napoli non le mandò a dire ai suoi. Sono davvero arrabbiato, c’è stata una squadra che è scesa in campo con un livello di determinazione nettamente superiore al nostro. Pensavo che avessimo superato i nostri problemi, mi sbagliavo. E’ una squadra difficile da motivare, se un giocatore non riesce a prendesi le proprie responsabilità e a parlare dei problemi con il suo allenatore non può neanche giocare”.

Sembrava l’inizio della fine: Sarri ne ebbe anche per Hazard, criticando di mancanza di leadership quello che oggi è il migliore giocatore dei Blues. Il belga, senza peli sulla lingua, fece capire come non gli interessasse più di tanto il parere del suo allenatore. La conseguenza di quelle parole furono le due sconfitte più pesanti nella storia del club di Londra: 4-0 contro il Bournemouth in FA Cup e 6-0 contro il Manchester City in campionato. Apriti cielo! Non vedevano l’ora i critici del toscano di rincarare la dose contro quel modo di vedere il calcio, giudicato fine a se stesso e sterile, troppo possesso e poca verve anglosassone, molto estetico e poco concreto. Sarri out intonavano a Stamford Bridge i tifosi, con il relativo hashtag che dilagava in rete. Ogni minuto sembrava essere quello giusto per sentenziare la fine della sua avventura londinese, che oramai appariva imminente dopo il ko in finale di Coppa di Lega (ancora contro Guadiola) e dopo la sceneggiata del suo portiere Kepa: il rifiuto di uscire dal campo per essere sostituito dal compagno Caballero mandò su tutte le furie il tecnico, scena che fu una manna per i giornali che portavano avanti la tesi di uno spogliatoio schierato contro il proprio allenatore.

Ma una volta che in quella turbata situazione fu giunto, Sarri guardò in se stesso tra Bournemouth e City e trovò la risposta in grado di acquietare quei giorni di tensione: Io sono un sognatore e voglio che i miei giocatori giochino secondo la mia visione, ovvero con il possesso palla e il controllo della partita”. Seguire la sua filosofia, la sua idea di calcio, con quei pochi e giusti accorgimenti che il football inglese richiede: era questo l’unico modo per riprendere il cammino lungo quel pendio che un giorno lo condurrà verso la cima della vittoria. Nessun percorso alternativo stavolta, nessun passo indietro dinanzi le fiere che ne ostacolano il cammino, simbolo dei momenti di difficoltà che si possono incontrare, simbolo della critica e della diffidenza sia verso un modello di calcio sia nei confronti del professionista Sarri. Il sarrismo dunque è la sola guida virgiliana per attraversare inferno e purgatorio prima di giungere al paradiso. E chissà, magari quel giorno non è poi tanto lontano: con le sue idee, dopo aver ripreso la corsa in campionato riportando il Chelsea in Champions League e piazzandosi dietro City e Liverpool, è arrivata la finale di Europa League dove i Blues affronteranno l’Arsenal in un derby anglo-londinese. Match in cui Sarri avrà la possibilità di conquistare il suo primo trofeo in carriera.

In questo viaggio volto a condurre il sarrismo verso la sua affermazione, il Comandante dovrà fare i conti con le difficoltà poste sulla sua strada. Su tutte la disaffezione del pubblico dello Stamford Bridge verso il suo gioco e le sue scelte, come quella di cambiare di ruolo Kanté (da davanti alla difesa a mezz'ala) per inserire Jorginho. O quella di ieri, quando nella gara contro l’Eintracht decide di sostituire Loftus-Cheek con Barkley, ricevendo i fischi dei suoi tifosi. Il Chelsea inoltre è lontano dalla quella meraviglia che fu il suo Napoli: i giocatori inglesi preferiscono portare a spasso la palla anziché farla viaggiare con pochi e voloci tocchi, hanno difficoltà ad iniziare l’azione da dietro se pressati - come Sarri vuole - e a loro volta attuano un pressing poco efficace nel tentativo di recuperare il pallone. Senza tralasciare la fase difensiva, ancora alla ricerca dei perfetti meccanismi stabiliti dal tecnico.
Ma siamo ancora all'inizio di un percorso che richiede il suo giusto tempo: ci vorrà pazienza, ma questo Sarri già lo sa.