Van Persie è la rappresentazione mitologica del dio per eccellenza, il padrone dell’area di rigore come Zeus lo era con i cieli.

Un’icona di questo sport, in grado di arricchirlo grazie a gesta sontuose o episodi iconici, utili a trarre una linea di ciò che ha rappresentato Robin per il mondo dello sport.

Acclamato in patria, idolo di molti adolescenti, i quali si ispirano a lui continuamente e cercano di imitarlo. Tuttavia, Robin è inimitabile. E’ un illusione. E’ il nove che ai più sfugge durante il corso della partita, salvo poi rientrarci, come in grado di attraversare dei mondi paralleli, e marchiare indelebilmente la sfida. Non lo vedi, ma poi ti accorgi che c’è. E appena la sua presenza si incontra con il pallone, non vi sono alternative. Il rapporto con il goal è assodato, un feeling che lo ha sempre accompagnato e contraddistinto.

Andiamo dunque ad immergerci nella carriera di un campione contemporaneo, indelebile per il nostro sport.

 

Feyenoord, gli inizi complicati

Robin sin da piccolissimo ha la passione per la sfera, viene attratto da ciò che amerà a vita. La sua non è un’ossessione, ma il giovanissimo nativo di Rotterdam, ha delle doti naturali.

Assieme ad esse, vi è la competitività, che lo distinguerà dai coetanei portandolo a cogliere traguardi incredibili.

Quella voglia di migliorarsi non passa inosservata, tanto che, dopo aver militato per sei anni all’Excelsior, viene intravisto dal Feyenoord, i cui rapporti con il primo club sono ottimi, facendo da rampa di lancio al giovanissimo.

Feyenoord, seconda squadra di Rotterdam a nascere, ma la più prestigiosa ed ambita quando si parla di trofei ottenuti, è uno stimolo in più per Robin. Giocare nella squadra della propria città è un vanto, un punto di partenza, ed in questo caso, di culmine.

Il settore giovanile “de club van het volk”, soprannominato il club del popolo, è storicamente uno dei migliori nei Paesi Bassi, e si caratterizza per la pazienza nel puntare sui ragazzi, oltreché sulle ottime infrastrutture.

Pazienza e Van Persie? Due concetti troppo distanti per incontrarsi. L’ambizione del neo 17enne è elevatissima, e alle sedi del club ci si accorge subito di tale dettaglio.

Eppure, dettaglio non è più. Van Persie scalpita, lavora duro e punta ad esordire in prima squadra.

In un’ intervista rilasciata a fine carriera dirà: “ Quando ero giovane, calciavo tantissimi palloni ad inizio e a fine allenamento, volevo essere il migliore.”.

La fame viene ripagata poco dopo, poiché l’ascesa incomincia quel freddo giorno di Febbraio, quando a 17 anni e sei mesi diventa il più giovane ad esordire con il club.

Il “ Little Orange” vuole la via del campo, ma la dirigenza predica calma, non vuole assecondare quella smaniata fretta di dimostrarsi, neo che caratterizzerà l’esperienza.

I dissapori con lo spogliatoio, ricco di calciatori in procinto di concludere la carriera, che come dichiarerà lui stesso non lo aiutarono ad ambientarsi, contribuisce ad arricchire il distacco con il resto dell’organico.

Van Marwijk, storico tecnico del giovanissimo olandese, litiga in più circostanze con lui. Carattere fumante, arrogante. Un’arroganza buona, necessaria.

Contestualizziamo i suoi inizi: cresciuto in un quartiere non semplice, Jaffa, un sobborgo di Rotterdam, si approccia alla sfera in strada, quel luogo utile a formare profili storici, ma non semplice. I litigi con gli altri bambini, perlopiù immigrati, nascono dal fatto di risultare uno dei pochi nativi effettivamente del luogo, l’olandese, particolare con il quale viene ricordato anche a lungo andare. Questa eccezione lo plasmerà caratterialmente, forgiandolo nel profondo.

Le tre stagioni vissute con i biancorossi sono altalenanti: complice un animo che va a contrastarsi con i compagni, qualche esternazione di mal umore mal interpretata, viene relegato alla panchina spesse volte.

La miglior annata è quella 2003-2004, dove sboccia la sua classe in qualità di ala sinistra: 26 presenze e 6 reti. Giocate di classe. Dribbling ubriacanti, virtù nobili palla al piede, un mix di potenza e rapidità degne del calciatore affermato.

Robin è pronto, sogna una grande chiamata, vuole spiccare il volo come gli dei nell’Olimpo e consacrarsi. L’Arsenal, già da tempo sulle sue tracce, lo chiama. Tre milioni di sterline agli olandesi, che il classe 83’ lascia con sentimenti assai contrastanti.

Ad opporsi sono l’amore per la propria città, ma d’altra parte, le troppi incomprensioni ed il fatto, a suo dire, di non aver mostrato a quell’ambiente le sue doti fino infondo.

Questo rammarico gli lascerà a lungo un vuoto, colmato parzialmente più di un decennio dopo.

 

Wènger, la figura più importante

La chiamata che muterà la vita avviene nell’estate del 2004, quando l’Arsenal è in cerca dell’erede di Bergkamp, colui che ai Gunners ha impresso con vigore un marchio indelebile.

Il connazionale, sin da subito, è la spalla idonea, il perno che permette all’allora 23enne di sbocciare. Gli inizi sono complicati: la concorrenza è di valore, e l’organismo dei North London è già assodato.

Nel mentre, a sedere sulla panchina, vi è un maestro nel credere nei giovani. Quell’ Arsen Wenger le cui sfumature sono indecifrabili. Personaggio complesso da comprendere, ma un maestro di calcio.

Osserva ciascun dettaglio, eleva chiunque passi sotto la sua ala. D’altronde, il primo Bergkamp era uno dei tanti. Arsene, figura unica, lo ha trasformato, rendendolo il centro del progetto. Ha posto su Denis ciò che l’Inter non aveva fatto. Gli ha dato una tela sulla quale dipingere la propria arte.

Van Persie, genio incompreso, ben si associa agli ideali di Wenger. Il francese stravede per l’Orange, un’ammirazione segreta, che a lungo resta dentro i confini dell’Emirates.

In allenamento, Robin si implementa, corregge i difetti che lo hanno frenato nella crescita: il maestro segue l’allievo, ed il rapporto è idilliaco. Il ragazzo di Rotterdam placa la fretta, quell’elemento che in passato lo ha frenato.

Arsène, ha deciso: dopo i primi apprendistati, ha compreso il valore del genio olandese. Lo colloca unica punta, trasforma le imperfezioni nei punti di forza, complici ore extra di lavoro e la corretta visione di un potenziale pazzesco.

Insieme, abbinano le già spregiudicate capacità atletiche ad un fisico formatosi con il duro lavoro.

Ala? Anche, ma Van Persie può e deve dare di più. E’ completo. Sarà la punta titolare. Non è il comprimario che punta l’uomo e fornisce l’assist, anzi. E’ affamato di protagonismo a servizio del collettivo, è nato per trasformare in oro tutto ciò che tocca.

Stagione 2004-2005, Van Persie diviene l’inamovibile.

Raccontare i numeri sarebbe uno di quei concretismi che sempre lo hanno caratterizzato, ma non sono stati la parte fondamentale di sè. Numeri? 96 reti. Personalmente, non voglio ricordare la sua esperienza Gunners con delle cifre, indicative sino ad un certo punto, bensì voglio focalizzarmi su un parallelismo stile Bergkamp e Wènger.

“ Quando guardo un campo, penso si, come una tela”. E’ la visione del calcio, che perfettamente va ad associarsi con i tecnicismi del tecnico d’Oltralpe.

Robin porta la sua arte sul terreno di gioco, ha trovato sé stesso, e riesce ad esprimersi. Attacca gli spazi divinamente, è maturo più di ciò che credeva.

La storia la sappiamo tutti, riscritta a suon di fatti, che oltre a caratterizzarlo in quanto a “focus calcistico differente”, hanno reso la sua meteora una stella splendente.

 

L’olandese…volante

Van Persie conclude l’avventura all’Emirates con la coscienza del leader. Ha imparato ed ora vuole insegnare.

Andrà al Manchester United, dove si confermerà il 9 tutto istinto, ma allo stesso tempo, “su tela” visto in passato.

Altre 48 reti. Importano questi dati per comprendere la sua reale importanza? Per niente.

Robin è l’uomo spogliatoio, dagli errori commessi alla squadra de volk ha fatto lezione. La differenza abissale tra il primo ed il secondo essere del calciatore è palese.

La consacrazione avviene il giorno del 13/6/2014, sfida mondiale contro la Spagna campione d’Europa e detentrice del trofeo. Gli iberici dominano e passano avanti. Ma all’improvviso avviene un fatto che rimarrà impresso nelle menti di ogni tifoso: lancio lungo di Blind, palla impossibile da controllare, salvo abbattere le leggi della fisica. L’olandese spicca il volo, istantaneo, segue la direzione della sfera.

Si reca verso di essa poderosamente, prima di infliggere il colpo che lo porterà nella leggenda. Si tuffa e la impatta con grazia. Casillas è impietrito, fermo ed inerme dinanzi tale classe.

Il pubblico si frena un attimo prima di apprendere che non si tratta di fantascienza e poi scoppia in un boato incredibile.

Metaforicamente, quella rete siglerà la decadenza delle Furie Rosse: la sfida si conclude 1-5 in favore dei ragazzi allenati da Van Gaal.

La sua nazionale, trascinata dal suo capitano giungerà sino alle semifinali, artefice di un cammino magico.

Quel 13 giugno, Robin è volato in cielo assieme agli dei, ai grandissimi di questo sport.

Ha marchiato le menti del pubblico, lasciandogli un ricordo che mai svanirà.

E’ diventato l’olandese volante.

 

Fenerbahce e l’addio

Gli ultimi anni di carriera saranno degni delle annate precedenti: Robin esaudisce il sogno di giocare in turchia, dopo esser rimasto folgorato dal tifo locale circa un decennio prima.

Approda al Fenerbahce, dove subisce un grave infortunio. Lo supera, ma è conscio che oramai è giunto a fine carriera.

Torna dove tutto è iniziato, nel luogo dell’odi et amo. Al ritorno in patria, con la maglia del Feyenoord, è osannato come una leggenda.

Ha un’ altra consapevolezza di se stesso, ha compreso gli errori.

Il volk è il sinonimo del suo essere, semplicemente amato. Le piazze che lo hanno accolto, gli hanno offerto il tributo che lui ha ricambiato sul terreno verde.

Robin è stato idolatrato, imitato.

Ha insegnato la sua arte. Ha raggiunto il proprio sogno.

Il saluto al De Kuip, a 36 anni, non ha bisogno di ulteriori argomentazioni. Standing Ovation. Uno scroscio di applausi.

 

Descrivere Van Persie non è stato semplice: devoto al mondo del calcio, ricco di un fuoco che lo ha spinto sino all’apogeo, più di una passione.

Un’ icona platonica, titolo che ho riservato in un pezzo precedente al Bielsa personaggio con le sue sfaccettature.

Olandese nato per sorprendere. L’Olandese, come al Jaffa, lo hanno appellato.

Volante, più in alto.

L’Olandese Volante, de volk.