La Danimarca ha sempre vissuto di cicli estemporanei, costituiti da singoli ma virtuosi. Si pensi all’impresa dell’Europeo vinto come apice del calcio danese, che mai più è riuscito a riavvicinare tale exploit. Eppure, con il passare degli anni, la nazionale ha vissuto di sporadicità, situazioni frutto di invenzione di pochi più che del collettivo.

Il tutto è logico se ponderato alla cultura dei biancorossi, più prediletta altrove e mai troppo devota al calcio, seppur fautrice di nomi blasonati ( Peter Schmeichel e Micheal Laudrup su tutti ). Questo piccolo sbocco di terra, il cui totale di abitanti ammonta a 5.781.190 milioni, si è comunque ritagliato discrete soddisfazioni nell’universo calcistico.
Esse mai sono state continue, ma momentanee quanto gloriose. Tuttavia, la Danimarca che stiamo vedendo attualmente sta iniziando a smentire i ricorsi storici: il nuovo ciclo di talenti del paese nordico è più abbondante rispetto ai fasti del passato e la rosa della Nazionale è composta da talenti in ogni ruolo, capaci di incidere nei maggiori campionati europei.
Questa vasta scelta di giocatori si ripercuote in positivo sull’andamento dei risultati, in costante crescita rispetto ai primi lustri di questo secolo, dove spiccano le delusioni tra 2006 e 2008: in quegli anni, la Danske Dynamite non riuscì a qualificarsi ne al Mondiale tedesco ne all’ Europeo austro-elvetico. Lo scorso decennio fu assai negativo, in virtù di qualificazioni mancate ( Brasile 2014 su tutte ) ed il picco di un discreto ottavo di finale colto in Russia, nel 2018.
Ma oggi stiamo vivendo un nuovo periodo, quello dell'era danese: andiamo a comprendere le ragioni che hanno portato a questa rinascita.

IL CAPITOLO ALLENATORI
Dalla parentesi est-europea, però, il crescendo è stato discreto
. Il movimento ha avviato un ulteriore processo di rinnovamento, affidando dapprima la panchina della nazionale a due senatori ed investendo sui giovani.
Il primo passo fu affidare la guida tecnica ad Age Fridtjof Hareide, esperto allenatore dalle parti scandinave, con un esperienza passata anche con la Norvegia. Con il tecnico Norge, tra amichevoli e partite di qualificazione, la Danimarca ottenne ben 34 risultati utili consecutivi. Il calcio di Hareide si basa su un 4-2-3-1 solido, pronto ad aspettare gli avversari e poi colpire in contropiede, facendo della difesa il reale punto di forza. A scadenza di contratto, la Federazione decise di mantenere la linea già intrapresa con Age, scegliendo tecnici navigati con un’ idea di calcio abbastanza simile.

HJULMAND
Kasper Hjulmand
, nominato come successore, ha da sempre avuto esperienza a livello nazionale tra Lyngby, Nordsjelland e Midtyjlland, un’ascesa costante che non è passata inosservata ai vertici del calcio danese. La scelta di due allenatori con caratteristiche similari, improntata sul moderno 4-2-3-1, ha segnato la ripartenza dai fallimenti precedenti. Il denominatore comune l’idea di una filosofia più equilibrata, più idonea ad una squadra che da sempre non prolifera di talenti ne di qualità, ma più di fisicità.
Nel processo di crescita appena avviato, poi, la mole di talenti è impressionante. Certo, sarebbe riduttivo parlare di soli investimenti, già presenti. Bensì, l’insieme di nuove leve è il naturale connubio tra scelte azzeccate a livello giovanile, dove si è deciso di puntare di più, e il ricambio generazionale. La Danimarca che si qualificò ai Mondiali del 2010 non vantava nomi di spicco, se non l’onesto difensore del Liverpool Agger. Poco altro.
Normale, se guardiamo il tutto da un’ottica più generale: la Danimarca non è mai stata terra di calcio e le generazioni vincenti non possono capitare sempre. Se esse arrivano, i fasti degli anni 90’ sono possibili. Al contrario, la consuetudine porta a discreti risultati, come normale che sia. Ad oggi, però, sembra di rivivere un repentino ritorno al passato, che coincide con risultati di alto profilo dai quali ripartire.

L'ASCESA DELL'U21
La Nazionale Under 21 si è rialzata qualche anno fa, centrando prima l’Europeo di categoria del 2019, senza superare il girone, come segnale di ripartenza. D’altronde, l’ U21 danese mai aveva colto risultati di prestigio. In controtendenza, la giovane Danske Dynamite ha surclassato le rivali in questa edizione, approdando ai quarti di finale a punteggio pieno, condendo il tutto con la prestigiosa vittoria contro la Francia. Ed il talento pullula in ogni reparto.
Dalla cintola in su i nomi si sprecano: Magnus Kofod Andersen è il perno del centrocampo, un giocatore dai piedi educati attualmente in forza al Nordsjaelland di cui è leader indiscusso, sino a Jesper Lindstrom, trequartista titolare nel Brondby con ben 9 reti in 22 gare.
L’attacco, invece, presenta profili assai futuribili, partendo dalla stella Jacob Bruun Larsen, scuola Bvb ora all’Anderlecht. Mohammed Daramy, classe 2002, è un’ ala in forza al Copenaghen ed ha già ben impressionato in Europa League.
Anders Dreyer, esterno polivalente, è il capocannoniere di questa squadra a quota 2 reti. Tra i non convocati, ancora troppo giovani, segnaliamo Jeppe Kjaer e Maurits Kjaergaard, due giovani trequartisti destinati a far parlare di sé, che a livello giovanile stanno palesando ottime giocate.

LA QUALITA' DELLA NAZIONALE MAGGIORE
Anche la nazionale maggiore sta inanellando ottimi risultati
: dall’arrivo di Hjulmand, a fine 2019, è arrivata una sola sconfitta, in Belgio. In ogni zona del campo la rosa è competitiva. La difesa è guidata da Kasper Schmeichel, figlio d’arte di Peter, mentre la difesa possiede profili internazionali quali Simon Kjaer e Andreas Christiansen.
Eppure, la scuola biancorossa, ha trovato uomini dai piedi fini anche in avanti. Storicamente infatti, la nazionale danese è andata poggiandosi su un catenaccio all’italiana, “ sporco” quanto efficace. L’inversione di tendenza sta nell’ammodernamento dei calciatori, conseguenza di un periodo storico prosperante.
Hojbjerg guida il centrocampo, Eriksen convertito a mezzala sta tornando sui propri livelli. La vera gemma della Danimarca è situata nel reparto offensivo. Esso è un mix di ali rapide e dotate di gran dribbling che la Serie A ha accolto come talenti promettenti ( Skov Olsen, Damsgaard ) e punte centrali capaci di muoversi su tutto il fronte d’attacco, a costituire alternative tattiche interessanti. Martin Bratihwaite, Youssuf Poulsen e Marcus Ingvartsen sono i jolly, e la serie di combinazioni a disposizione del tecnico è la carta segreta in ogni momento del match, un’ imprevedibilità che ingolosisce anche le big.

DANIMARCA COME MODELLO DI SUCCESSO
Insomma, se negli anni prcedenti si parlava della strategia che aveva reso la Danimarca grande, frutto della propria identità, oggi i fattori sembrano ponderare verso l’orizzonte dei principali modelli occidentali e sudamericani, più sfrontati e volti a costruire la manovra come principio d’iniziativa. La Danimarca ad essi è quasi speculare, con la scelta di sganciarsi dalle proprie radici per voler imitare e sorpassare chi il gioco lo crea da sé, senza attendere, ma concedendo la prima mossa. Costruzione dal basso ricca di personalità, cambi di ritmo all’azione ed un costante pressing nella metà campo avversaria.

La nuova Danske Dynamite è questo, lo scostamento dalla versione originale per potersi affermare ai piani alti. Una questione coraggiosa che dimostra le ambizioni dei ragazzi di Hjulmand, che non vogliono frenarsi e sognano. Le risorse ci sono, l’audacia non manca. Tutti pronti a seguire la Danimarca, che gioca da modello al quale ispirarsi. Senza limiti e senza fronzoli, una nuova generazione è pronta a far rivivere ai biancorossi il gotha degli anni 90’. Perché, alla fine, bramare non è più un’utopia.