Ieri mi sono alzato con una nostalgia attanagliante, colpevole d'aver perso usanze di semplice entità, che hanno reso unica la mia infanzia. Retoricamente può dirsi occorrenza banale, la quale svanisce in preda ad un istante. Esso non è il caso odierno. Ore sei di mattina, quarto giorno di scuola ed una sveglia spenta nuovamente. Appena, dopo tentativi complicati e sventati dal me ben coricato, ecco il fatidico attimo: in un lampo mi volto verso destra, e fisso lo sguardo sull’orologio: son passati ben trentacinque minuti. Eppure la mia veglia è stata scandita da un pensiero malinconico, riconducibile alla sera precedente, nella quale mi ero preso del tempo per riflettere. "Benedetti siano gli istanti, i millimetri, e le ombre delle piccole cose" citava Fernando Pessoa, noto poeta portoghese. Avevo bisogno di tempo. Nulla era programmato, ma qualche ora di stacco dalla frenetica e ripida conduzione proclamata come ideale di sviluppo dalla nostra società. Il bello dell'attimo mi era sfuggito, scappato quando, nella mia vita, sono subentrati maggiori impegni. Eppure, la sua fuga creava in me un vuoto, mai compreso e capito per la rapidità nel proseguire, avanzare, come dei passi indietro al cospetto del mio intento. Fissavo il vuoto, elucubrando. Le sottigliezze del vicinato, racchiuse in un prato verde, dei miracoli, dei piccoli bambini inconsci, ancora in attesa del treno, sul quale mi sarei immesso. Questo corre e scappa, non tergiversa e continua a muoversi. Non si ferma più, salvo a favore della tua volontà, sommersa d'altre questioni. Ci davo peso, ma sotterravo e colmavo a discapito della routine, implacabile, ancora stoica sui binari, ma internamente svigorita. Intuivo la necessità di dire basta, solo per qualche ora. E' cosi che nel letto, disteso, guardando il soffitto rievoco tempi innocenti, bramabili in quel secondo, come un atto a voler ricostituire i miei anni d'infanzia, passati veementemente in seconda linea, mai più riaccesi, soffocati e oppressi.

Il millimetro di Pessoa era stato varcato, senza farvi più ritorno. Ero in una via piacevole, che però cattura, non lascia spazio a fermate. Essa era trafficata, forse troppo d'apparenza, meno profonda e simbolo della smaniata finta rincorsa all'oro. Sentivo d’esser privo d'una parte del sottoscritto, la quale andava ripescata innestando la retromarcia, avendo la forza di farlo. E' cosi, che, nel pomeriggio afoso, tre ore son volate, sterilizzando velleità di svolgere attività quotidiane per fornire la rinascita del me introspettivo, analitico. Nel mentre rimembravo, ho affrontato la visione di una foto ricordo: in questa zona della mia abitazione vi passavo ad ogni ora, salvo ignorarla bruscamente ed accantonarla. Mea culpa. L'errore d'un sottile margine rotto, irrefrenabilmente? Forse no. Mi ero posizionato al secondo posto, per veder primeggiare la costante e sperata ricerca dell'idilliaco, quella fredda ed infausta, un gelo che colpisce dentro se visto da lontano, preso a margine e girato. Esaminato, ecco sfociarne i pensieri, repressi. Il primo, dal nulla, ripercorre la via dritta e trafficata, staccandosi. Giunge dal profondo del cuore al cervello, un messaggio non razionale, unico. Simili o medesimi ne ho ricevuti una quantità esigua, ma gli esiti si son sempre rivelati magnifici nella loro semplicità. Aveva proprio ragione Pessoa. Benedetti questi istanti, felici. Non li ho mai smarriti del tutto, ma forse, quelli primordiali e realmente umili erano divenuti elaborati e complessi. Ci vado appresso spesso. Il treno, però, non si interrompe e da inesauribile stakanovista prosegue. E' l'ora di far tacere, anzi palesare, istinti di vita puri e sani, sviscerarli dopo averli rinnegati. Li ho mascherati colpevolmente. Era la concezione del giorno vissuto e terminato a rendermi pacato, orgoglioso, ma stanco. Il vuoto si era ampliato ed i segnali erano intravisti. Pian piano si illuminavano sempre di più, emanando luce propria potente. "Abbagliante, sempre di più. No,non posso ora, dopo, massi, o forse domani. Li seguo nel weekend. No aspetta, non riesco. Allora prossima settimana, me lo giuro eh. Niente, più in avanti". Perché procrastinare un sentimento del quale sentivo l'esigenza.

E così, quella foto, oramai divenuta passata, era inconsapevolmente rientrata in voga. Ero io, alcuni miei amici, al parco, quello a 100 metri da casa.

“Cavolo, quello lì. Aspetta, ci passo sempre” ma complice negativo, vi scappo.

"E' vero! Dannato me!". Le suole ignobili delle mie scarpe lo calpestano, correndo. Laggiù mi aspetta la stazione, posta a cinque minuti.

"Sono in ritardo, esclamo". E' cosi da copione di una storia negativa, avevo rievocato il bypass alla scorciatoia della fretta.

"Non posso perderlo, non aspetta". Arrivo, e subito mi ci getto, a capofitto. Entro, in piedi. E' pienissimo ed il posto più libero è compresso a fianco del finestrino, lasciato chiuso. Il viaggio dura dieci minuti, faticosi. Forse per lui di più, estenuato, ma vittima del quotidiano andirivieni. E' usurato, vuole dire basta ma non può. Corre, l'emblema del mondo connesso. Ed io, conforme alle convenzioni della massa salgo. Eppure, senza via di fuga.

"Che stanchezza! Dai, tra poco rincaso. Perché non avanza ora!". Si è arrestato sui binari. Le urla feroci dei passeggeri, i quali inveiscono. Due, tre, quattro lunghissimi minuti, al caldo. E poi il rientro al paesino. Scendono in cinquanta. In lontananza scorgo due ragazzini correre, sfibrati. Il capotreno, nervoso, si affaccia e gli baccaglia. Loro, si gettano. Ed il mezzo va. Riparte verso quell'infinito orizzonte, tra le colline, salvo poi fare ritorno alla mia cittadina un'ora dopo. Lo odo dalla finestra, e colpevolmente la chiudo.

" Cosa vuole ancora…". Ti chiedo scusa, ad oggi, a posteriori. Insieme ne abbiamo fatte di strade ed esperienze. Mi ricordo quando venivo solo per te, a sentirti passare. Avevo 3, 4 anni. E poi eccomi, al tuo interno. Sì, da domani ti porgerò le mie scuse, forse inutili, ma significative. Eh no, prometto, che quella sarà la finestra del cambiamento, mai più la cingerò. Il tempo nel mentre era volato, dalle quattro erano giunte le sette. Eccolo, il parco. A te porgevo ogni volta le dovute celebrazioni. Ora mai.

"Erbacce alte. Vabbè corro e schivo". Corro, verso il mio terrore. Anzi, lo era. Oggi partirò dalla mia abitazione almeno mezz'ora prima, lo attraverserò pensandolo, recandomi poi da chi ho sempre criticato, per ragioni… beh, ne ho elencate già troppe. E quel semplice luogo, dotato d'altalena e scivolo si trasformava in uno stadio, l'Allianz Arena, che ho calcato con grande emozione lo scorso anno, esaudendo un mio desiderio. La sua mutazione era silenziosa: solo noi l'accoglievamo, rimanendoci per ore infinite. E al suo termine le emozioni si alimentavano. Era sempre un arrivederci, poi è divenuto un addio, freddo. Il giorno dopo era come quello precedente, con più motivazione e carica. Lì, si racchiude la mia infanzia, tempi che concepivo perduti.

"Cosa dici!". Parte un boato, al mio interno. Poi una lacrima, spazzata via. Pugno sul tavolo, rabbia ostinata per la mia avidità, giorni dei quali voglio riprendere concezione, un possesso lapalissianamente svanito. Dovevo renderlo un attimo di riflessione compiuto. Insomma, volevo riviverlo, io ed il mio solito gruppo d'amici.

"E’ pronto". Erano volate le ore. Il parco, il treno. Sì, ero uscito dalla mia stanza con altra consapevolezza. Mi reco verso la tavola, soddisfatto. E poi oggi, non più inerme a quei fatti che talvolta mi ostacolavano.

Ore 15, un lustro dopo. Lo scivolo era stato rimosso, circa due mesi prima. Era ingiusto cancellare lo spirito dell'infanzia. Al primo pensiero di ciò il rammarico delle ragnatele, la fine d'un era. Era, oltre alla nostra porta, un emblema iconico di quel luogo. Nell'aria, però, si comprendeva uno spirito di semplicità da rievocare. La componente che più ci aveva fornito gioie era stata soppressa dall'enorme peso della società. No, no, no, non lo accettavo. E' cosi che ci siamo riscoperti, i veri valori, benedetti e nascosti da un'ombra imponente, annientata dalla presenza delle nostre figure e dal sole lucente. Le risate, le azioni, spontanee e vive, ad evocare tutti noi, chiunque. In cuor loro, i miei amici, la pensavano come me. Era tutto estinto, ma in noi, vigeva la spensieratezza, quella di sette anni prima. Tutto ciò è stato magnifico. Una palla, un parco. Ecco il giubilo. La leggerezza offuscata era solamente causa mia. Io non volevo e non vorrò esser cosi. E domani vi farò ritorno.

"Benedetti siano gli istanti, i millimetri, e le ombre delle piccole cose". Pessoa, avevi ragione.