Premessa: nello stendere questo pezzo ho guardato il calcio con una visione più emozionale, ma cercando di mantenere il più possibile l’obiettività. Ho quindi cercato un tocco più personale.

Sarà tutto dannatamente differente, poiché siamo agli albori di una nuova era, un nuovo inizio per il calcio. Una serie di eventi rapidi quanto sconvolgenti di uno scenario quasi “apocalittico”, ma premeditato con vigore anni or sono. Una scrupolosa unione di interessi, con il fattore denaro (vile) a dettare le leggi di questo sport, al centro della Superlega. Un accordo che fomenta chi lo ha creato e ne è consapevole dei reali vantaggi e suscita dubbi e tristezza nel tifoso medio.
La scellerata possibilità di perdere l’innocenza delle favole fa rabbrividire, il timore di veder d’un tratto tutto cambiare. Atalanta, Leicester e simil addio. Addio a storie da raccontare sul divano, da tramandare in ogni generazione.
La Superlega va così a minare i teorici valori dello sport, nei confronti di una visione alla quale dovremmo abituarci.

E’ evidente quanto struggente da dire: siamo vittime di scelte altrui, capitanati da pochi che hanno in mano tutto. I vertici sono meticolosi, hanno architettato il piano di un cambiamento epocale da tempo. Hanno deciso la fine del calcio per aprire le porte ad ulteriori orizzonti, mentre tra slogan social e proteste dei tifosi veri, Agnelli, Perez e vari brindano alla loro creazione, una creatura invalicabile per essere combattuta.
La Uefa ha minacciato parlando di possibili conseguenze, lo ha fatto con tono forte. Tono che, però, giunge irrisorio a chi sa che dal 21 Agosto si partirà. La coalizione tra le potenze d’Europa è un sistema avido gestito da pesi massimi e fondato su basi solide. Le ritorsioni, tuttavia, non saranno problema.
340 milioni a ciascuno. Numeri che valgono più di tutto. I tifosi in preda alle capitalistiche smanie d’arricchimento e di lusso dei potenti. Perché se prima si poteva intravedere l’arrivo del “ calcio del petrolio”, quello che è già in atto, lanciato a suon di ripetuti e roboanti colpi d’arma, è l’opposto di quello che soltanto la più lontana immaginazione poteva considerare 20 anni fa.
E’ la sconfitta di quello che di reale era rimasto, dello sport pulito e sincero. E’ la sconfitta dell’uomo che ha lasciato prevalere i soldi, inerme. Come se, a condurci verso una nuova via ci sia solo l’appartenenza al denaro, che riguarda scrupolosamente solo i singoli e non ciò che fu inizialmente creato, dai poveri.

“Plastic Fans” si pensa riferendosi a quelle squadre prive di passione, arrivate a comandare in Europa solo per investimenti altrui e non per propri meriti. Ma tant’è, e possiamo solo che accettarlo, continuando a sostenere il calcio della nostra città, provando stoicamente a mantenere i nostri ideali di coerenza e mentalità. Possiamo anche avviare proteste simboliche, ma nulla cambierà. Perché ad avere l’ago dalla parte della bilancia è, per citarne uno, l’Agnelli di turno.
Era l’ambizione di ogni bambino innocente che si affacciava al nostro amato sport. Non voleva giocare la Superleague, dove i calciatori saranno pedine. Ben venga l’aumento dello stipendio e degli sponsor, dinanzi a questa falsità. Perché si può tacere o ribellarsi in massa, e la nuova generazione di calciatori deve aver il coraggio di reagire. No, non credo lo farà. Non esistono più gli ultimi baluardi, le bandiere che giocano solo per la maglia.
Non li vorremmo, ma ce li porranno davanti e saremo costretti a guardarli in faccia. Eppure, non voglio essere schiavo dei potenti, o vorrei poter non esserlo.

Solo una settimana fa assistevo allo spettacolo di una competizione vera, la Champions League, e ora come un fulmine a ciel sereno, arriva la consapevolezza che non ne esisterà più una. Sia chiaro, non rinnego il cambiamento e i vantaggi ad esso legati, bensì rinnego il nuovo concetto di “normalità” al quale ci impongono di abituarci. Rimpiango, quindi, un Udinese-Juventus vissuto in curva, con il sapore della rivalità e dello sfottò, tipico dello stadio.
Si passerà da una competizione aperta a tutti ad una riservata ai pochi, all’elitè, che ha deciso la formula più vigliacca: i club fondatori del nuovo scempio non potranno essere esclusi dal torneo.

Sponsor, tv, presidenti si prenderanno quello che era nostro, cioè l’essenza del tifo e la sua semplicità, concetti minati da una tempesta che pare essere irrimediabile.
Vi sono per fortuna i ribelli al sistema, ad un modello che si basa sul concetto: “made by the poors, stolen by the rich”. Un modello asincrono con la passione, motivo catartico per il quale tutt’ora sono appassionato, e sempre fedele rimarrò, nonostante le restrizioni imposte.
Si è dato un prezzo da pagare alla fede, alla gioia, un prezzo che in passato era gratuito.
Figure illustri hanno espresso pareri negativi. Da Podolski, ad Ozil sino a Gary Neville. Le dichiarazioni dell’inglese parlano di tradimento ai propri tifosi, un concetto distante dal tipico modello britannico, basato sul tifo anni 80’ per intenderci.

Il club il cui motto è “ You’ll never walk alone” si è venduto per avarizia della classe dirigenziale. Le proteste del tifo d’oltremanica hanno lasciato in me ancora speranza, un lieve sollievo in una giornata dove il calcio d’antane potrebbe aver chiuso i battenti. Il calcio non morirà, ma sarà dei paperoni, non rispetterà il significato originale.
Io continuerò sempre a sostenere la squadra, ma sarò l’ultimo ad accettare le imposizioni del calcio moderno.
Ci han promesso per secoli la regola del calcio di tutti, tanto si è detto e poco si è fatto. Abbiamo capito la presa in giro e la direzione opposta intrapresa da questo mondo.
Nulla vieta di vedere calcio d’alto rilievo ogni settimana. E’ il dietro le quinte l’effettiva rovina. Ci hanno chiesto e poi obbligato ad essere delle pedine. Se questo “spettacolo” si basa su un furto d’identità, io, non ci sarò. E, lo so, che all'Agnelli potrà fregarne nulla. Ho le mie idee ed a differenza della falsità della SuperLeague e chi vi è dietro, mantengo coerenza e mentalità. Voi avete perso il mio rispetto e quello di tanti altri appassionati, venendo ricordati come i colpevoli.
A chi vuol difendere questo inizio non posso obbligare nulla. Questione di vedute sulla quale occorre esser sempre liberi e lo scambio di opinioni dev’essere ben accetto. La mia è una posizione singola e non per forza condivisibile dal pubblico.

Il calcio è cambiato e lo farà verso una nuova direzione che porterà con sé pochi tifosi veri, ma proporrà il calcio come un business invece di sport. Possiamo chiamarlo così? Sì.
Ma, ricordatevi: Made by the poors, stolen by the rich”.