E’ la continuazione di un lungo torpore attanagliante, il quale è privo di vie di fuga ed opprime, soffocando miti brame divenute inconsuete, la passionale venialità del tifoso, prorogato da un tempo celebrato come immemore.
Una situazione che non giustifica 1000 persone come la fuoriuscita dal tunnel, e anzi, scopre d’esser ancora infinita per replicare le origini. Esse risalgono a sette mesi fa. Dalla conclusione di Febbraio, l’inizio tenebroso della concezione di aver a che fare con un calcio immorale, che mai sentiremo come “nostro “.
Se soffochi al popolo la sua virtù, per cause di forza maggiore, ma egualmente credi di proseguire tralasciando l’aspetto, erri. Erri, perché, uno stadio vuoto sussulta. Ribolle con l’ardore del pubblico, placato dalle gesta silenziose oramai consuetudine.
Nuove abitudini che spalancano vie remote solamente poco tempo prima. E’ la resa innaturale del calcio visto come eccellenza palesata dal pubblico. Non v’è pallone senza bambini. E Ronaldo, non lo si potrà vedere dal vivo, afferma il bambino, che racconta del suo idolo, incolpevole ed inerme nel salotto.

La normalità è mutata nel più meschino degli orrori, buio che mai giustificherà un periodo disumano.
Il bambino sorseggia il latte, e si appresta a recarsi nel suo letto, laddove possiede un poster con la figura del mito lusitano. Lui, tende ad imitarsi al portoghese e sogna di replicarne i fasti. Gloriosi, come gli stadi colmi di gente.
Sorrisi, lacrime, gioia ed esultanza è lo stare tra la vitalità delle tribune, l’allegria contagiosa della domenica pomeriggio, in compagnia spensierati.
Tutto si è frantumato, e prosegue dalla tv. E’ la personificazione del dolore più atroce per qualunque appassionato, costretto e represso a seguire la fede, la cui importanza non si quantifica.
L’animale in gabbia non si può liberare, ed al momento neanche noi, il cuore pulsante del calcio. E lo avete osservato, l’obnubilante silenzio, nel quale si nasconde la malinconia, repressa anch’ella per sfoggiare la prevalenza del capitale. Quest’ultima prosegue inesauribile, sovvertendo la mancanza degli spettatori, cercando di badarli a suon di acquisti e sfide.
Eppure, solo chi è complice del “vile denaro”, il quale ritorna prepotente in quanto d’attualità, non crede all’onore lasciato vacante dal singolo che risiedeva sul seggiolino in ciascun weekend.
Si è perso lo spirito novecentesco del football, per lasciarne spazio ad una versione più moderna, accettata in maniera allarmante come ciò che dovrà essere.

“E nonostante questa repressione affido la mia vita ad un pallone” narra ciò che prova il NOI, la massa calcistica. E’ se si affiderà la normalità a consuetudini erronee, modalità fredde d’infauste conclusione centenaria della nostra vita, il primo ribelle saremo NOI, anima che pulsa non con dei pop-corn su un divano, bensì nel freddo di Gennaio all’interno dello stadio, la vera casa.
E la retta via va smarrendo verso la viltà della nuova era, che mai potrò accettare, la quale non appartiene alla mia visione. Mia, e di milioni di persone.
La repressione silenziosa in atto da decenni, colpisce l’animale tifoso, invitandolo ad ingabbiarsi. Lui, stoico lotta per ciò che gli appartiene, i suoi diritti. Le porte varcate dagli alcuni in favore delle pay-tv sono la conclusione di un rapporto viscerale.
Lui, si stacca dal branco e si reca inseguito ad una magia che non fa sua, non la comprende.
Manca tutto: del seggiolino la domenica, l’amico con il panino, le persone conosciute. Tutti hanno lo stesso denominatore in comune, l’ideale che va ben oltre la fede.
La retorica di voler porci come pedine, digitalizzarci, in favore di un diverso impatto nei confronti del gioco più semplice che esista, è l’assist a porre in auge i diritti del tifoso vero, non quello da salotto.
Aver spezzato l’incantesimo è la realizzazione di un errore abnorme, sradicando dai nostri consci quella minima azione. Lo stadio racchiude avventure incredibili. Le pay-tv congiungono ad estradarci da ciò che si trova dentro di NOI.

NOI. Quel bambino, si addormenta e sogna di veder Ronaldo, un giorno. La sua ambizione è sfatata dallo sgretolarsi di sensazioni in atto. Lui, incolpevole, si corica. Versa lacrime, ma non lo palesa. Forse, in questo silenzio ci siamo resi più umani.
Quel ragazzino, ripercorre le emozioni contrastanti dell’arena svuotata: la calma fa rumore, reclama attraverso compianti, mentre la quiete segreta si scopre nuda e fragile, posta ad intemperanze non sue, conformità opposte, pacate e sedate.
L’arte primordiale, nasce e sviluppa attraverso l’adiacenza nell’ambiente che ci definisce entusiasti, ci assimila nella beatitudine d’ogni singolo attimo. La sottrazione del contatto è l’utile per uno smartphone, ci fa sentire inclusi a mo’ di cinema, distanti dalla sfera di ciò che ci circonda.
La rovina sta nelle immagini glaciali, che vorrebbero esporsi e lamentarsi, ma non in possesso dei mezzi idonei a farlo. NOI, abbiamo le armi per cambiare l’esito del patibolo.
La calma fa rumore, sottrae lentamente le memorie del passato, porge all’oblio al boato dell’essenza calcistica.
E’ atroce il mutamento, insensibile e contrario a morali centenarie.

Eppure, il fragore del plauso nel silenzio non è svanito: sono rimasti incastonati sui seggiolini i principi di anni al seguito della fede, mai remoti ai nostri occhi e complici d’ineffabili giornate, estasianti, attese per l’intera settimana, con ansia e trepidazione.
L’attesa svanita nel percorso che conduce dalla camera alla cucina, privi d’adrenalina, frenati alla logica contrapposta, inibiti della proibizione.

Quando è goal, il ricordo dell’abbraccio, il brio di vivacità, quel esser accomunati dalla medesima passione che rendeva le domeniche ancor più deliziose.
La carenza di solide basi rintocca. E’ l’esigenza di riassaporare il sentimento primitivo, l’istante di gioia al goal o lo sconforto della sconfitta.
Negando la purezza del tifoso, si abbatte la storia di chi ha lottato per avere il calcio d’oggi, avidamente mostratosi singolo a pochi, un benessere economico che ha prevalso sul nostro esser sano, e di conseguenza va abbattuto per non veder proclamare la vittoria del soldo, inesorabile e truce.
Il nuovo cinema apre le porte ad una visione contorta dell’avvenire. Noi, anche se gratuitamente non riscuoteremo mai il biglietto del congedo. La scomparsa in favore del più ingordo dei padroni, assettato d’oro, ci stimola a consolidarci, unirci.
L’opposizione rende un tifoso fiero del proprio vanto, orgoglioso, lo carica. E solamente quando avrete smarrito l’ultima goccia del materiale brillante chiederete umilmente perdono, a chi lo rifiuterà sempre, chi continuerà a combattere per il miglior esito di una ragione di vita, che, vi assicuro, non uscirà da quei cancelli.
Torneremo a colmare un vuoto intrinseco, un pozzo senza fondo, nel cui si è intrappolati nella metà. Chi vuol proseguire verso la luce delle domeniche, contenderà le ragioni del suo manifestarsi.
E’ l’arrivederci con la promessa di replicare l’ennesimo glorioso capitolo della nostra folle malattia, che non andrà via.
E’ l’arrivederci di chi ritornerà. Smanioso, desideroso.
E’ l’arrivederci di tutti noi.