La Juventus è da sempre modello italiano in quanto ad organizzazione, leader laddove nessun’altra società è stata nell’ultimo decennio, complice una programmazione azzeccata e una serie di scelte mirate.
I bianconeri sono tutt’ora il riferimento di un progetto coeso che è saputo ripartire dalle ceneri. La Serie B post calciopoli ha ridato nuovi stimoli per riorganizzare l’organico e fornirgli stimoli.
In pochi anni, la dirigenza, sotto l’egida guida di Agnelli, ha riportato la squadra a lottare per i vertici della Serie A. Nel 2011/2012 si è assistito al primo storico scudetto di una nuova era, quella condita da nove titoli consecutive e svariate Coppe nazionale.
Insomma un dominio senza precedenti, che ha portato nobili decadute come Milan e Inter a finire un ciclo e a coinciso con gli anni di gloria bianconeri.

Per arrivare a cogliere tali centri, la società ha investito. Senza spese folli si è arrivata alla costruzioni del moderno Allianz Stadium, simbolo del risorgimento in atto.
Il nuovo impianto non è stato casuale, poiché seguito da un centro d’allenamento all’avanguardia, invidiato in tutto il continente. La creazione della squadra U23 è stata un altro traguardo, senza precedenti in Italia.
Quest’ultima è stata relegata in Serie C, un vero successo che ha pochi eguali. Anche in questa circostanza si è permesso di generare plusvalenze, andando a rinvigorire un budget sano sino all’avvento del Covid.
L’acquisizione di diversi giovani sul piano nazionale, mediante l’utilizzo da un capillare rete di osservatori ha consentito alla Juventus la possibilità di detenere svariati cartellini, vendendoli altrove o facendoli crescere sotto la propria ala.

Vi è poi il capitolo allenatori, anch’egli ben plasmato: la scelta di puntare inizialmente su un debuttante Antonio Conte, reduce da una discreta stagione al Siena, poteva sembrare azzardata. Eppure, l’accordo con l’odierno tecnico interista era arrivato mesi orsono, seguito poi da un piano in entrata idoneo alle idee del tecnico azzurro. Difesa a 4, centrocampo fulcro del gioco, identità vincente seppur non spettacolare. Perché alla Vecchia Signora mancava il sapore della vittoria, sfumata troppe volte a favore delle rivali nazionali.
La rigidità dei piani alti della società, la serietà nell’affrontare il Campionato, ha fatto il resto. Ordine e organizzazione sono stati acclamati e proclamati come base.
Partendo quasi da 0 si è riuscito a costruire un armata colossale, frutto anche di acquisti low cost. Paul Pogba e Arturo Vidal sono arrivati sotto traccia. Eppure, neanche qua, casualità è la parola d’ordine. Ogni singolo colpo è stato studiato e le scommesse, la maggior parte, hanno lasciato il segno.
Questi due arrivi hanno costituito le fondamenta del centrocampo, già guidate dall’esperienza di Andrea Pirlo. La qualità nella zona nevralgica ha permesso di sfruttare la qualità degli uomini al servizio del collettivo.
Dall’epopea di Conte si è passata a quella di Allegri, altrettanto vincente e capace di continuare sui progressi precedenti e non solo: l’allenatore toscano ha portato i bianconeri sino alla finale di Champions League in due occasioni, nel 2015 e nel 2017, come apice dei risultati in questi anni.
Cosi facendo, le finanze bianconere si sono risanate ed anzi, hanno implementato la loro portata, finanziando ulteriori operazioni.
Il rispetto delle potenze internazionali è diventata poi ammirazione per la capacità di ripartire da zero e creare un impero in cosi pochi anni. Un impero di investimenti e scelte sagge, condotte da uomini di calcio e visionari. Si pensi, oltre al già citato Agnelli, a Beppe Marotta, amministratore delegato capace di condurre importanti operazioni sul mercato ( da Barzagli sino a Pogba e Vidal).
Eppure, dal picco toccato in questi anni, la Juventus sta vivendo un lento quanto inesorabile calo, che ha coinciso con l’addio proprio di Marotta, accasatosi all’Inter nel 2018 e di molteplici iniziative poco strategiche. Proprio la prontezza e la rigorosità che avevano contraddistinto il club sono andati man mano scemandosi, e seppur ancora in vigore, ha perso parte della sua reale consistenza, frutto del blasone acquisito nelle stagioni passate.

Andiamo ad analizzare gli errori che hanno compromesso l’ascesa della Vecchia Signora, dal 2015 ad oggi:
Priorità al budget e non all’aspetto tecnico: Dal 2015 in poi la strada percorsa è stata quella dell’ossessiva plusvalenza. L’approccio al calciomercato è stato caratterizzato dalle cessioni con lo scopo di generare sempre più entrate, meccanismo che ha palesato enormi lacune sotto l’aspetto qualitativo. Con il passare degli anni si è pensato di invertire la passata filosofia. Questo dettame non è casuale ed ha un trend, a partire dalla storica cessione di Pogba, per 105 milioni, la più onerosa nella longeva storia del club. Eppure altre operazioni similari sono seguite rapidamente:
Arturo Vidal, ceduto al Bayern Monaco per 39,5 milioni nell’estate 2015/2016, cifra irrisoria se rapportata al valore del giocatore al momento, mediano in grado di garantire equilibrio, nonché uomo in più in fase difensiva.
Operazione Pjanic-Arthur: Ancora una volta la Juventus ha deciso di invertire la rotta in mezzo al campo, ottenendo una lieve plusvalenza ( 10 milioni soltanto ) con l’acquisto di Arthur.
Kingsley Coman, altro grande rimpianto, il più eclatante vista la rapida ascesa del francese in Germania. 21 i milioni sborsati dal Bayern Monaco per l’acquisto. Se è vero che ai tempi l’ala transalpina era ancora nella versione embrionale, la volontà di ottenere subito il saldo in verde ha prevalso. Una fretta, anche in questo caso, ingiustificata.
Tra cessioni incomprensibili si è aggiunto il fattore degli acquisti a parametro 0, vera occasione per rinforzarsi senza generare debiti. Così, in poco tempo sono arrivati Emre Can, Aaron Ramsey e Adrien Rabiot, giocatori abbandonati alla porta dai rispettivi club. Operazioni, che, hanno generato solo sovraffollamento più che reali garanzie.

Questione allenatori: Se la chiave dei successi era situata proprio sulla panchina, complice le capacità di Allegri e Conte di adottare una mentalità vincente, la conclusione di questa epopea vincente non è stata risanata a dovere.
Le fratture con l’ambiente, soprattutto con il nativo di Livorno, sono state ampliate dalle critiche ad un’impronta alla partita tipicamente italiana, cinica quanto poco godibile. Critiche rumorose ad un gioco assente, ma capace di capitalizzare. Critiche sfarzose, dovute ad un eccesso di trofei, che la tifoseria ha voluto elevare nel completamento tra coppe vinte e un’idea più propositiva sul terreno di gioco. Anche in questo caso, riecheggia la parola rimpianto, come dogma delle eccessive presunzioni e delle costanti lamentale, peraltro inutili. Pressioni futili che la società ha seguito, concludendo un capitolo ancora in corso anzitempo per aprirne un altro e mutare all’improvviso la mentalità del club.
Maurizio Sarri è stato l’erede di Allegri, diametralmente opposto nel modo di intendere questo sport.
L’ipotesi di replicare lo spettacolare “ Sarrismo” è riuscita a tratti e l’annata si è conclusa con la vittoria dello scudetto. Primi cenni di calo, però, si sono intravisti dall’uscita prematura in Champions League.
La volontà di radicalizzare la propria identità, estirparla per ragioni non necessarie è stato il più grave peccato della dirigenza nell’ultimo lustro, danno ad oggi irrimediabile.

Andrea Pirlo, la sintesi del progetto che non c’è: Sul tecnico ex- Napoli, dopo varie dichiarazioni di un possibile accordo futuro, la dirigenza ha deciso di non investire. Decisione sconclusionata, al termine di quello che poteva essere un nuovo inizio.
La ragione di cambiare ancora è arrivata nella caotica gestione organizzativa di una macchina inceppata, elefantesca. La parola d’ordine prima era “ progettualità”, mirando il tutto ad un obiettivo comune.
In pochi giorni Maurizio Sarri è stato cacciato, nel vero senso del termine, mandato via tutto d’un tratto dopo le ripetute intenzione di affidare a lui le redini del futuro. Un futuro turbolento, causato da un presente incapace di rialzarsi.
Sarri e Allegri sono stati allontanati con lo stesso denominatore comune, la scellerata ingratitudine, quasi a voler dimenticare tutto quello che di buono si era costruito. Come dalla fondamenta di una casa, riabbattere nuovamente senza avere l’impressione di come rialzare l’edificio, che nel mentre continua a sgretolarsi. La Juventus poi, non ha imparato dai propri errori, e ne ha commessi a raffica sul mercato, sbiadendo l’intero centrocampo prima fautore dei successi e poi decaduto a macerie, in costante rovina.

Tornando al capitolo allenatori, si è pensato in maniera poco lungimirante a come colmare un vuoto importante. Andrea Pirlo, in quel momento annunciato all’U23, si è visto catapultato in una dimensione lontana dai suoi standard. In solo un mese ha dovuto affibbiare un marchio all’organico. Quest’ultimo non ha avuto rinforzi sufficienti nelle zone nevralgiche del campo, salvo l’operazione Chiesa, una delle poche scommesse vinte negli ultimi anni.
Pirlo, privo di esperienza, si è trovato in alto mare ed incapace di ricostruire le macerie della casa, come pretenziosamente voluto dalla società.
Insomma, si è passati dall’azzeccata progettualità per rifondare il proprio modello, unico nel calcio italiano e invidiato in Europa ad una spasmodica volontà di migliorarsi ancora, eccedendo di presunzione e scegliendo d’un tratto con poca lucidità e coerenza con le teoriche linee guida che grande avevano reso l’ambiziosa via intrapresa.
Vittima della scongiurata mancanza di un orizzonte sul quale far leva, la Juventus si è trovata a toccare il cielo ed in poco tempo vedersi costretta a ricostruire tutto di quello che si era cercato di ergere.
Vittima di se stessa di un insieme di scelte che adesso pagherà a caro prezzo. La Vecchia Signora ha fallito nella costruzione di un avvenire glorioso, ma ha comunque reso importante il presente che non va messo in secondo piano.
Se con obiettività vanno fatti i complimenti per quanto creato in poco tempo è doveroso spiegarne anche i motivi del declino.

Ad ora serve solo rifondare, ricreare, come nel 2011 si fece.
 Si può e si deve agire, pronti ad attraversare nuovamente il guado.