Bayern Monaco-Lipsia è oramai il big match del calcio tedesco: nelle ultime annate è sempre stata in palio una posta importante. Ciò è dovuto soprattutto al Rb Lipsia non più la sfacciata realtà da salvezza, complice la crescita repentina dovuta alle ampie disponibilità finanziarie del club. Tra investimenti mirati e scelte oculate, il club amministrato dal noto marchio di bevande si trova ora in posizioni di vertice in Bundesliga e da anni impensierisce il Bayern Monaco. L’ultima qualificazione agli ottavi, avvenuta ieri ai danni dello United, ne è fotografia perfetta della sua dimensione.

Filosofie opposte alla base della simpatia e l’antipatia
Le scelte societarie sono agli antipodi, motivo principale della rivalità tra le tifoserie. I bavaresi operano rigidamente in entrata, senza spese folli, e costruendo sul proprio settore giovanile il futuro. Nonostante la rivalità nei propri confronti, le numerose vittorie in patria e il campionato monopolizzato (8 successi consecutivi), hanno reso la filosofia della gestione Rummenigge lodata in tutto il Paese. I bavaresi sono visti come unica via di fuga da un calcio sempre più capitalistico.
I Bullen, invece, vantano una politica attiva simile se ci si rivolge al concetto giovanile: pazienza nei loro confronti ed infrastrutture moderne sono le chiavi, e non a caso la rosa è composta da elementi invidiati altrove d’età inferiori ai 22 anni (Upamecano, Nkunku, Dani Olmo, Lainer) su tutti. Eppure l’astio nei confronti del Lipsia nasce dalla rapida ascesa dovuta a ingenti investimenti sul mercato, che in soli 11 anni hanno portato i biancorossi dalla Quinta Divisione alla Champions League.

Tra le principali motivazioni la forte appartenenza ai valori del passato rivendicata dalle tifoserie della Germania, che riconoscono in tale modello lo storpiamento delle identità volute da un calcio, quello teutonico, che di norma non l’ha ritrova negli ingenti acquisti (roba troppo all’inglese).

Modello Rb: i cardini che ti mettono le ali
Da quando la Red Bull è entrata nel mondo del calcio, lo ha fatto in maniera trionfale e rumorosa: era il 2005 quando acquisì il Salisburgo, e già allora si intuì un cambiamento nel mondo pallone. Dall’Austria sino alla Germania, dove il noto marchio puntò sul Lipsia, allora in quinta divisione. La rapidità dell’ascesa fu tale che in sette anni in club si trovò in Bundesliga.
La Red Bull gestisce il suo schema più chiaramente ad oggi, seppur in maniera mai palesata, ma intuibile. Il Lipsia è la squadra cardine, il Salisburgo la seconda forza e il Liefering (seconda divisione austriaca), il primo approdo nel mondo europeo: quest’ultima è la satellite dei più quotati connazionali, che a loro volta, son divenuti pozzo ingente di talenti per i tedeschi. A completare un quadro globale è stata la creazione recente di ulteriori basi, al di fuori del Vecchio Continente. Si pensi al New York Red Bull (Usa) o al Rb Bragantino (Brasile), due realtà consolidate nei rispettivi campionati. 

Il prodotto Rb è un vantaggio per i giovani, la guida ideale per entrare nel mondo del calcio. I ragazzi sono al centro del progetto ed il focus è su di loro. Per entrare nel loop gestito dalla multinazionale, la fase di scouting è determinate quanto capillare. In ogni continente vengono scoperte promesse del calcio mondiale e viene fornita loro la possibilità di allenarsi in centri moderni, ricchi di strutture invidiabili.
La facilità nel creare guadagno è da ricercare nell’ottima struttura organizzativa e dalle già lapalissiane quantità di denaro. La Red Bull ha pensato e giocato in maniera vincente le proprie carte, progettato la propria rete di scout al meglio, creando un sistema vincente. A sua volta, dai primi investimenti ha tratto profitto, permettendosi il lusso di spendere di più sulle infrastrutture all’avanguardia.

Le plusvalenze più note in casa Lipsia sono sicuramente quelle di Werner (55 milioni) e Naby Keita (60 milioni). Seppur i risultati in campo diano ragione a questa politica, le altre tifoserie hanno ripudiato sin da subito tali scelte, un vantaggio competitivo troppo evidente rispetto alla concorrenza. Eppure, la motivazione principale si lega alla regola del 50%+1, istituita nel 1998 dalla federazione tedesca: essa afferma che per poter partecipare al campionato un club debba essere governato per il 50%+1 da un consiglio di membri eletti direttamente dai tifosi, includendo questi ultimi nella vita della società ed allontanando investitori stranieri.
La regola è stata aggirata facilmente dal Lipsia poichè il colosso austriaco ha affidato la maggioranza delle quote a 17 membri interni della compagnia, ma legati ad una società esterna con determinate caratteristiche.

Bayern Monaco, l’emblema del 50%+1
Al contrario, i bavaresi rispettano egidamente la norma imposta dai vertici federali ed hanno a loro vantaggio gli ingenti ricavi commerciali. Eppure, osservando i numeri, il Bayern Monaco ha un bilancio sempre in positivo, ed è tra le big quella che meno ha risentito della crisi finanziaria legata al Covid. Per vincere l’ultima Champions League son bastati solamente 100 milioni di euro, una nullità rispetto alla concorrenza (il Psg ha speso 250 milioni per il solo Mbappè).
A protestare per la gestione societaria agli antipodi, sono le tifoserie di tutta Germania, elemento imprescindibile per un calcio che tenta d’arrancarsi ai vecchi tempi. Il Lipsia è accusato di giocare per sponsorizzare il proprio brand e vivacizzarne le politiche che permettono ad esso di incrementare le vendite.

Tra le varie proteste, vi è l’ultima iconica della curva bavarese, la Schickeria, che ha esposto nell’ultima sfida aperta al pubblico il seguente striscione: Fuck Rb, cantando più volte contro gli avversari. Ad alimentare la rivalità è proprio la vera assenza di essa in un concetto storico, impossibile vista la recente fondazione del Rb Lipsia. Rivalità si, ma per soldi, precedente unico che da sempre i tedeschi han voluto scongiurare e continueranno a combattere. Ad unirsi al grido di battaglia della Schickeria sono le altre squadre, unite nel disprezzo nei confronti dei Bullen: indimenticabile la testa di toro mozzata lanciata dai supporters della Dinamo Dresda sullo slogan: “Tradition kann man nicht kaufen”, la traduzione non può essere comprata.

Il risultato finale conta poco, se prima di esso viene l’amore verso la maglia, contradditorio per tali motivi altrove, non in Germania. Fedelmente legati al 50%+1. Chiamatela identità.