Il Manchester City surclassa il Psg e vola meritatamente in finale di Champions League, dopo averla tanto inseguita. Andiamo ad osservare le chiavi della debacle francese e della superiorità Citizens.

 

La dipendenza dal campione

La rilevanza dell’assenza di Mbappè sta nel suo accentramento compulsivo nel ruolo non ben definito di colui che crea occasioni. L’abitudine di poter contare esclusivamente sulle fiammate del proprio fuoriclasse è benevola quanto ribelle se costui è assente.

No Mbappè, no party? Esattamente. Il Psg maturo si è da solo autodefinito, o ha tratto profitto da qualche proclamo generalizzato. In verità la sentenza si blaterava già dopo la semifinale vinta contro il Lipsia ad Agosto 2020. Maturo è chi, questa sera, è uscito vincitore.

Il piano tattico annichilito, una vile reazione e una dipendenza spasmodica dal proprio 9.Metteteci il fenomeno Neymar obnubilato da paure inconsuete ed intrappolato dagli anticipi di Ruben Dias e la Caporetto è avviata.

 

La gara d’andata: primi segnali d’allarme

Il gioco assente della ripresa è lo specchio dei parigini, bocciati su tutti i fronti. La gara d’ andata poteva suonare come un campanello d’allarme di un’ assente gestione psicologica, complici errori banali a discapito di un avversario più cinico che solido nei primi 90’ minuti.

Occasioni a ripetizione, anche delle schematiche interessanti. Il dominio dei parigini è durato un tempo, con tanto di goal di vantaggio: quest’ultimo avrebbe, tuttavia, potuto recitare un passivo più roboante.

Il rammarico di non aver sfruttato le potenziali occasioni tra ottime parate di Ederson, portiere moderno con i piedi e con le mani, e di aver sprecato da pochi passi si è ripercosso a lungo termine.

Guardiola, maestro di calcio criticato con poca lungimiranza per le difficoltà in Champions nelle stagioni orsono, ha reagito. Ha approcciato la gara del Parc Des Princes arroccato nella sua fortezza pronto a sfoggiare le armi del contropiede.

Il piano tattico embrionale è prontamente svanito dinanzi ad un dominio dei transalpini, la cui assenza di un piano di riserva a inciso a lungo andare.

Non appena Pep ha riacquisito il suo stile, con un giro palla ipnotico, ha da subito spezzato il ritmo al Psg. Alzando il pressing sui portatori avversari, dando loro meno tempo di impostare e gestendo la sfera con una fitta rete di passaggi volta a controllare la contesa, il tecnico iberico ha mutato le sorti dell’incontro.

Il Psg si è abbassato, abituandosi al ritmo del Manchester City, cullandosi troppo sugli allori e non riuscendo più ad essere padrone del proprio destino. Destino beffardo, quando, errori collettivi hanno legittimato l’errata gestione dei momenti catartici.

Perché, quando un cross nel nulla di De Bruyne e una punizione appartenente innocua si trasformano in rete, non sei maturo. I demeriti, dunque, superano quegli sprazzi di gioco spumeggiante intravisti ad inizio gara, sporadici e vani alla fine, complici le contromisure del City.

Elevando il baricentro dei Citizens, Pep ha teso la migliore delle trappole ai francesi, che hanno perso anche il nesso psicologico. La perdita della conduzione del pallone ha esposto i francesi a subire, affidandosi solamente a Neymar nella ripresa. In più, ad un esito ribaltato nell’andamento del secondo tempo, incidono come macchia ancor più veemente le nefandezze tattiche.

 

La legittimazione del City

All’Etihad Stadium è emersa una superiorità imbarazzante, un divario netto in ogni ambito del campo, un affermazione generalista quanto reale. La trappola dei Citizens è il frutto di ciò che è conseguito dagli ultimi 45’ minuti dell’andata, replicato ad anzi elevato ad un livello superiore.

Infatti, oltre al consueto dominio del possesso palla, il Psg non ha creato occasioni nei 90’ minuti. Merito ovviamente dei pochi palloni regalati perché gestiti sapientemente, ma soprattutto dell’assenza di idee degli avversari.

Possesso sterile in mezzo al campo, dove il solo Verratti ha cercato soluzioni alternative. La risposta di Pochettino non si è mai palesata, in quanto più alla ricerca di singole giocate che di una manovra collettiva. I plausi ai francesi vanno indubbiamente innalzati nella capacità di gestire la gara d’andata contro il Bayern Monaco. Va però rimarcato come i bavaresi poco si siano saputi adattare al catenaccio dei parigini, cercando di impostarla sulle fiammate offensive e non preoccupandosi troppo dell’atteggiamento garibaldino, quasi spavaldo, in fase difensiva. Errori pagati a caro prezzo nonostante il ritorno sia stato approcciato in maniera più compatta. Ecco il punto, la compattezza del Manchester City, alla quale il Psg non si è adattato con sufficienti contromisure ed anzi soffrendo con costanza progressiva sino al novantesimo.

Le metodiche ed efficienti coperture difensive dei ragazzi di Guardiola hanno causato inizialmente una manovra sterile e priva di sbocchi sino ad annullarsi da sola in quanto inefficace ,e, successivamente, tentativi disperati oramai evanescenti perché non basati su concretismi ma su speranze episodiche.

Gli onori vanno posti alla capacità dei Sky Blues di concretizzare le opportunità create. Il vantaggio nasce però, dalla letargica marcatura di Kimpembe su Mahrez abile a ribattere una conclusione ben neutralizzata da Keylor Navas. Il goal nasce, ancor prima, da una prateria concessa per vie centrali e dal troppo spazio regalato, come sovente accaduto nell’arco del match, di calciare in porta liberamente ai vari Foden, De Bruyne, che fanno di ciò il loro punto di forza.

Il vantaggio placa le velleità di un discreto inizio del Psg, che per i successivi 75’ minuti non calcia mai nello specchio della porta.

E’ impressionante la resa finale utile a imprezziosire lo show, venti minuti di genio del City, interrotti dai costanti falli degli ospiti, miracolati nel subire due sole reti. Dal 2-0 lo show è servito tra azioni individuali e splendidamente inventate: magia di rara bellezza e pregevole fattura, è per esempio la conclusione incrociata di Foden, dopo una finta spettacolare ai danni di Kimpembe, screditato dall’intero reparto offensivo inglese.

Gli interventi di nervosismo tra l’andata e il ritorno sono l’emblema di un collettivo a cui manca esperienza nelle situazioni cruciali, di talento ma ancora incompleto in determinati reparti. La capitalistica operazione di rinnovamento avvenuta in questi anni,si è troppo focalizzata dalla cintola in su, mettendo in luce problematiche effettive, soprattutto in mezzo al campo.

Se la difesa, seppur arrancando ci ha messo una pezza, il solo Verratti non è riuscito a contenere i lampi di un reparto che possiede pesi massimi quali De Bruyne, Gundogan e Foden. La disparità in tal senso è parsa evidente per la geometrie trovate: il Manchester City ha in queste opzioni il fulcro del gioco, mentre il Psg cerca subito la profondità, o la giocata orizzontale. Quando si passa in mezzo al campo la squadra risente di qualità e perde in quanto a produttività realizzativa, la quale pende dalle invenzioni del trio in avanti.

 

Insomma, la sfida tra i paperoni del calcio moderno l’ha dominata il City, il cui progetto è parso interessante nonostante l’ausilio dubbioso del fair play finanziario...sorvoliamo e limitiamoci ad affermare che ha vinto la squadra più completa, senza particolari patemi. Guardiola ha sublimato il collettivo, reso ottimi profili potenziali campioni ( Foden, Ruben Dias, Gundogan, Mahrez), sottovalutati quanto efficaci nel suo schieramento.

Dall’altra parte vi è tanto lavoro da fare per centrare il massimo obiettivo, e nonostante qualche buon segnale, la superiorità dei Blue Moon è stata oggettiva.

Il Psg è progredito in quanto a saggezza, è cresciuto rispetto al passato, ma la maturità agonistica è ancora lontana. Per coglierla servirà saper sfruttare le occasioni e non limitarsi alla composizione di una squadra devastante negli ultimi 25 metri quanto povera altrove, senza piani alternativi e contromisure a chi fa del fattore principale l’equilibrio.