La creazione dell’autorità implica il palesarsi d’una figura sgargiante ed imponente, compito non per tutti e ricoperto dai maestosi, coloro che han fatto della supremazia l’atto di rilievo della carriera.

Tra gli eletti nella categoria vi rientra Micheal Ballack. Loew, parlando del teutonico, lo ha definito colui che “trasuda autorità e calma in campo". Coniuga nella contemporaneità delle sue gesta la semplicità naturale di un impostazione pulita e l’esser prolifico nelle circostanze offensive.

Il piede di Micheal risplende, il suo inventare. La concezione temporale lo portava in primo luogo alla conduzione armonica del reparto, e come sempre, era sapientemente condotta dalla visione ed un insieme di virtù spiegabili a chi lo ha visto muoversi sul terreno verde.
Esse sono il simbolo della completezza del goniometro che conclude il cerchio: la sfera è rotonda alla perfezione, non trasuda elementi rumoreggianti al suo interno, e completandosi si eleva.

Ballack, con la sfera, compiva giri da 360 gradi. Danzava, nitido. Il tratto composto rievoca l’idilliaco del personaggio: nel servire mediante un piede dorato il compagno, realizzava la parabola, priva di sbavature.

Era terso, come un cielo senza nuvole, e con eccezionale romanticismo replicava sublimi azioni, una costante che lo ha reso il migliore tra gli umani, nutrendolo di effettività che lo hanno condotto verso la via gloriosa del campione, calcata dagli dei del pallone.

Ballack era per pochi attraverso movenze decisive e singolari rispetto all’emisfero del pallone, sferico anch’esso se accumunato alle grandiosità dei migliori.
Chi lo ha compreso ne ha tratto le doti migliori, ponendole al massimo, fruttando giocate da gotha.
Il pubblico si sublimizzava nella sua eleganza, applaudiva con gli occhi, ed al primo sguardo lo catalogava come il differente, ricco di qualità in ciascuna fase del gioco.

Oltre il dimostrarsi complementare, ha svezzato capacità note esteticamente, sofisticando proiezioni e visioni. Forse, era il più sgargiante tra le luminescenze rivelate della cintola. La sua stella, brilla ancora nella penombra dell’incubo dell’ eterno secondo, taglia pesante inflitta dalle morali “uncorrect” del non rilevare l’estro nell’esibirsi scintillante, opacato da singolarità rarissime, le quali non devono infliggere la sentenza errata di ricordarlo in una maniera opposta a ciò che è stato.
Rimembrare Ballack per la negatività di aver perso in attimi delicati il faro, spegnendolo, va ad attribuire le colpe di un collettivo sul più luccicante degli sconfitti. La bussola mai l’ha persa, ed il suo catalogarlo potrebbe rivelarsi la fascia dei geni incompresi dai più, frenetici nell’emettere verdetti opinabili.

La perla nelle sue vesti
Le effettività concrete, spiegate astrattamente, conducono al suo studio attraverso dinamiche astrologiche. L’elemento rappresentativo per eccellenza nel suo must è la rarezza d’aver visto la contemporaneità di mole di talento e dedizione. Esse, Micheal, le ha sviluppate.
Le dinamiche del farsi osservare come genio mai son approdate in secondo piano. La sagacia nel frapporsi nell’istante al nanosecondo. Episodi analoghi altresì lo raccontano: l’altruismo come vizio intellettuale, maturato anch’egli.
Sfornava gioielli nell’illuminare la manovra, condendola con peculiarità o sfaccettature mai banali, un pizzico di “ Ballack “ nelle più splendide invenzioni. Il valore di una perla nel riferimento d’esserlo per l’organico, un gioiello dal significato illimitato.
Tenace, irrefrenabile stakanovista, il primo sul banco degli imputati nelle vesti della perla. Smarrita era l’ideologia del pubblico, l’ignoranza che non lo mai placato.
Critiche fondate su realtà blasfeme, vane nel contrare l’immensità del calciatore pulito, prima di tutto uomo. Una perla nata a Gorlitz, Kleiner Kaiser, se preferite.

L’imperatore dai connotati nobili, il capitano. Franz Beckenbauer, lui stesso che ha ereditato lo scettro di Kaiser, lo ha deposto nei confronti del suo erede.

Il titolo beffardo
La morale inculcata risale alla stagione 2002: un giovane Ballack, già conforme all’aspirazione del mito, viene sconfitto in tre circostanze, lapalissiano argomento fonte del appellarlo perdente.
La vile motivazione, nell’aria ha con costanza mantenuto vortice, richiamando un peso specifico d’inesauribile vigore.
«Una cosa così ti lacera l’anima». Il nubifragio eminente, autore di crisi implacabili. L’autogoal che condanna il suo Bayer Leverkusen , (storico feudo nel porre le basi all’ascesa )alla rinuncia del Meisterschale.
Una delusione che l’ha plasmato, ma ardua nei ricordi delle Aspirine.

La scalata al trono di Kaiser, da quel giorno, ha rapidamente preso la via del successo. Iconico nel suo proseguire dagli attimi sconsolati, abile nel percorrere la via nei confronti dell’apogeo.

Tecnica soave, pura, priva d’ogni fronzolo che si può opporre. Quest’ultima ha smarrito interesse nel descriverlo. La massa lo pensa secondo, l’intenditore maestro. Punti di vista che non combaciano, improntati dal medesimo fondo, depravati dissolutamente.
La concezione del tedesco glaciale e leader, nitido, riscuote tutt’oggi nei cuori dei tifosi, scocca nell’occasione della scintilla. Lo hanno amato in ogni ambiente, rispettato e stimato. Detrattore, chi, erroneamente insiste sulla singola argomentazione. Eppure, il titolo del Kaiser risuona fragoroso nel silenzio dei nostri stadi, e sicuramente, nei pensieri degli ammiratori.

Realizzare e realizzarsi
La vena nel proliferare marcature, lo pone unicum nei centrocampisti leggiadri a difendere, innocui ad offendere. Nel comporre il cerchio sopra citato, la seconda facoltà rievoca nomi il cui prestigio è inestimabile, divinità per qualsivoglia appassionato.
Batte il prestigio della vena realizzativa, inculcata nel tempo per mezzo di inserimenti poderosi e felini, in possesso del consueto rigore.

La conclusione all’estremo degli infinitesimali, l’istante costituito dalla soglia dell’impossibile varcato. Queste le più straordinarie opere melodiche composte dal Kaiser. Senso del piazzamento per definire la caparbietà di voler tramutare la tecnica inconsueta per la normalità dei calciatori, fornendo il generarsi della sua risoluzione, determinate per realizzare Ballack.

E poi vi sono i numeri, i quali parlano al suo posto: 94 reti realizzate in carriera. E diciamolo, non serve che le cifre lo descrivano. Bensì, a rendergli omaggio, servono un esiguità d’istanti.
L’immagine platonica che lo compie è la gloria nell’impresa compiuta con il Kaiserslautern, la magnificenza che il suo popolo, devoto, onorerà d’era in era.

Ballack è la virtuosità del campione più umano, capace d’esser sconfitto per ottenere la forza di combattere, e di vincere per merito di essa.
Forza introspettiva, in conflitto con lo sgretolarsi di opinioni negative, sciolte sotto l’illuminarsi del cerchio perfetto. Una stella, che potrei descrivere, a pieno merito, sole.
L’opera dell’abbattere i negligenti non dev’essere l’idea che rimarrà esprimendoci a riguardo.
Sua, invece, è la ragione di aver composto melodie di fattura incomparabile.
Nell’atto che lo consegna al calcio, vi lascio immagini dal significato esclusivo.
Ballack non è “l’ eterno secondo”. L’eterno.
L’eterno Kaiser.