Avete mai pensato che cosa vuol dire essere Messi? Fino ad oggi gli era richiesto di dimostrare continuamente di essere qualcosa che ha già ampiamente dimostrato essere da tempo: il migliore.
A volte non ci si rende di quanto possa esser difficile continuare a essere se stessi, senza la minima concessione di una pausa perché c’è il mondo intero pronto a puntare il dito e rivendicare paragoni insensati. Il paragone con Maradona sarebbe stato opprimente per chiunque, tranne per Leo.

La genialità di una persona si misura dalla prospettiva con cui guarda le cose. Il genio non è colui che fa qualcosa meglio degli altri, ma è colui che è in grado di vedere cose che gli altri non avrebbero mai neanche immaginato. Messi non deve essere paragonato a Maradona ma a gente come Einstein, Da Vinci, Picasso o Galileo.
Messi ha trovato una meravigliosa continuità con Maradona, mentre gli altri vedevano un ingombrante fardello da dover superare.
La genialità di Messi si riassume nella frase che dice prima che Montiel calciasse il rigore che lo avrebbe consacrato campione del mondo: “Vamos Diego, desde el cielo” (Andiamo Diego, dal cielo).
Leo in Diego ha visto un mentore da cui ispirarsi e non un “nemico” da superare, come il mondo intero invece lo aveva dipinto.
Leo con umiltà ha chiesto una mano dal cielo, quella mano de dios che in certe occasioni è assolutamente necessaria per fare qualcosa di grande.

Messi ha riportato sulla terra tutto ciò che sembrava divino.
Messi non ha superato niente, ha dato continuità a un sogno durato 36 anni. Messi in questo mondiale ha rappresentato tutti quei meravigliosi numeri 10 argentini che sono la pura essenza del calcio. Il rosarino è riuscito a unire in un mondiale Boca Janiors e River Plate. Contro l’Olanda ha deciso di rivendicare i dissapori di Riquelme con Van Gaal esultando proprio come lui. Con le mani tese verso le orecchie aperte. Un gesto che rivendica tutte le ingiustizie commesse da Van Goal nei confronti dei sudamericani e in particolare degli argentini. La magica serpentina nei confronti del povero difensore croato Gvardiol che ha portato all’ assist per Julian Alvarez ha ricordato lo sfacciato talento del Payaso Pablo Aimar, bandiera del River e suo idolo calcistico da sempre.

In questo mondiale abbiamo visto il messi più Maradoniano di sempre. Non è un caso che il suo ultimo goal arrivi di destro, davanti alla porta, in maniera sporca e incerta, sembrava addirittura che la palla non avesse superato la linea. Insomma un goal che sta agli antipodi dall’essenza calcistica a cui ci ha abituato Messi. Lo abbiamo visto freddo dal dischetto pronto a caricarsi la squadra sulle spalle. Pronto a dimenticare il peso del passato di quelle finali perse che hanno fatto malissimo alla pulga, così tanto da portarlo a pensare di smettere con la selección.

Abbiamo visto un Messi in grado di spronare i giovanil, ma anche capace di valorizzare i veterani. Un leader capace di caricarsi il mondo sulle spalle, analizzarlo e rivoluzionarlo a modo suo, proprio come fanno i geni. Ha trasformato la pressione in energia. Ciò che per chiunque sarebbe stata una debolezza lo ha trasformato nella sua più grande forza: il peso della storia.

Nella sua grandezza, involontariamente è riuscito anche a regalarci un erede. Seppur da avversario, Mbappè ha dimostrato di poter reggere il peso dell’eredità. Non deve essere facile segnare una tripletta in una finale della coppa del mondo e tornare a casa senza trofeo.
Ma sicuramente fornisce consapevolezza nei propri mezzi e la forza per inseguire il proprio destino.
Leo ci ha insegnato che le sconfitte fanno male, ma ti cambiano fino a trasformarti addirittura in quello che non sei mai stato. Magari sei sempre stato un tipo timido e docile e di punto in bianco ti ritrovi in camera a rivolgerti rabbiosamente verso un olandese dicendogli “Que mirás bobo?” (Che guardi scemo?).

L’unica pecca del mondiale di Lionel Messi forse sta nel fatto che sia finito.
Dopo esserci riempiti gli occhi di tanta meraviglia, risulta difficile tornare alla realtà e rimettere i piedi per terra.
E se proprio non ne abbiamo voglia, facciamo come Leo e invochiamo le parole magiche: Vamos Diego, desde el cielo.