146 minuti. Più i rigori. La partita più lunga della storia del calcio. Una battaglia continuamente spezzettata dalla tensione e dal nervosismo. 

In una finale, come in una battaglia, ogni dettaglio può essere quello decisivo. È normale cercare di difendere a ogni costo ogni particolare. Per chi è in campo si tratta di lavoro e per chi è sugli spalti si tratta d amore. Chi è che non difenderebbe a ogni costo il proprio lavoro o addirittura il proprio amore?
In un momento così importante della propria vita ci dovrebbe essere qualcuno che garantisce giustizia. In questo caso non c’è stato.
Se in una partita il protagonista principale è l’arbitro, vuol dire che questi non ha svolto bene il suo lavoro. Purtroppo a Budapest è stato così.
Sin dai primissimi minuti il metro di giudizio è stato confusionario e fazioso. Tanto da portare gli interpreti all’esasperazione.
Nonostante ciò, entrambe le squadre, come in una battaglia, hanno provato a mettere in campo le loro armi migliori.
Gli andalusi hanno cercato il talento delle individualità mentre gli italiani hanno cercato di affidarsi alla compattezza e alla solidità di squadra conferita dal proprio allenatore in panchina.

Il Siviglia nel primo tempo ha faticato a incontrare varchi centrali da attaccare visto il buon mantenimento delle posizioni da parte dei giocatori della Roma. L’unica opzione era cercare di ingaggiare degli uno contro uno sulle fasce che però venivano prontamente affollate con continui raddoppi. Il Siviglia ha provato ad affidarsi alle capacità aree di En Nesiry senza fare i conti con i 3 difensori della Roma, in particolare con Smalling.
Nonostante lo stile di gioco notoriamente difensivo nella prima parte, le occasioni più ghiotte le ha avute la Roma. Prima con Spinazzola e poi con il goal di Paulo Dybala che innescato da Mancini non ha sbagliato davanti a Bono. La Roma ha costruito il goal come un esercito che blocca gli avversari per poi concedere spazio al guerriero più impavido e talentuoso. L’umiltà di riconoscere i propri limiti, le proprie caratteristiche e scarificare le proprie energie per concedere la gloria a qualcun altro.
La Roma reggeva bene ma nell’arco dei 7 minuti di recupero è arrivato il moto d’orgoglio di un campione come Rakitic, che ha colpito il palo e ha così risvegliato le speranze di un Siviglia che sembrava impotente di fronte alla corazzata romana.

Il secondo tempo è iniziato come il primo. La compagine sivigliana, smossa dal richiamo di Rakitic, il generale più esperto, decide di assediare la Roma e provare a cercare di pareggiare i conti. Suso e Lamela  al posto di Bryan Gil e Oliver Torres hanno cambiato la partita con la loro effervescenza. A differenza dei cambi della Roma che ha inserito un anonimo Wijnaldum mai entrato in partita. Come spesso accade, a volte il peggior nemico non è il rivale ma te stesso. Il muro eretto dalla Roma non cade a causa degli assalti dell’avversario, ma per colpa del fuoco amico. Un intervento scoordinato di Mancini fa 1-1 e rimette la palla al centro. 

A questo punto è guerra totale. Una guerra equilibrata, combattuta con intensità ma rovinata dall’arbitro.
I biancorossi sono in fiducia. Ocampos cade in area dopo una grande percussione palla al piede. A provocare la caduta è stato un intervento di Ibanez che in scivolata allontana la palla e cerca di difendere la propria porta come se fosse il vessillo di guerra. L’arbitro senza esitare fischia il calcio di rigore. La decisione sembra irremovibile fino a che non viene richiamato al monitor. Non c’è nessun contatto tra l’argentino e il brasiliano. Decisione annullata.
Dopo qualche minuto nella stessa azione ci sarebbe dovuto essere un rigore per la Roma, teoricamente procurato dalla mano larga di Fernando in area e un secondo giallo per Rakitic che al limite dell’area abbatte Matic. A questo punto l’arbitro mima il gesto del braccio attaccato al corpo e sorvola sull’intervento del croato concedendo il calcio di punizione e la grazia al numero 10. 
La grafica della UEFA dice che ci sia stato un “silent check”. Rivedendo le immagini francamente sembra difficile non vedere la mano di Fernando che devia la traiettoria del pallone.
Da quel momento in poi il nervosismo è alle stelle, i cartellini fioccano e l’arbitro antepone i suoi interessi personali alla professionalità.
Le scaramucce tra Mourinho e Taylor sono note a tutti. Da questo momento in poi sembra si sia innescata più una sete di vendetta piuttosto che la volontà di garantire spettacolo e giustizia.
La Roma nonostante tutto ci prova e continua a creare occasioni, prima con Abraham che fallisce l’’appuntamento col goal davanti Bono che salva con la gamba. La Roma continua a spingere e ci prova con Belotti che in scivolata cerca di indirizzare verso la porta, ma un colpo di reni del portiere marocchino permette al Siviglia di scamparla. Il tocco a quanto pare non è stato notato dall’arbitro che decide di non assegnare il calcio d’angolo.

I giocatori stremati arrivano ai supplementari dove non ci sono molte occasioni di vedere una partita di calcio. 13 ammonizioni solo tra i calciatori in campo e tanta stanchezza non contribuiscono allo spettacolo.
In una delle ultime avanzate offensive della Roma c’è un contatto in area tra Gudelj e Ibanez ma anche in questo caso l’arbitro decide di sorvolare. Questa volta, nonostante i molti minuti a gioco fermo, date le pessime condizioni di entrambi i calciatori che si contorcono a terra dal dolore, non c’è neanche il controllo da parte del VAR.
La battaglia prosegue per inerzia ma la stanchezza rende il tutto più equilibrato e i guerrieri di entrambe le corazzate non hanno più la forza per poter affondare il colpo. C’è un ultimo guizzo della Roma nel recupero del secondo tempo supplementare ma la traversa nega la gioia alla squadra dell’impero.

Il destino di una battaglia così importante viene così deciso dalla magia dei calci di rigori. Il Siviglia si presenta con un portiere pararigori e 5 rigoristi a disposizione mentre la Roma è costretta a far calciare un centrocampista difensivo e due centrali. Tutti i rigoristi in squadra sono usciti dal campo condizionati dalla stanchezza e dagli infortuni che hanno martoriato i giallorossi durante tutto l’anno. 
In questo caso non si parla di fortuna o sfortuna. Ma di specialisti contro persone che ritrovano a svolgere un compito così importante per la prima volta.
La Roma mette a segno il primo ma poi deve arrendersi al talento di Bono.

I sivigliani segnano tutti, tranne Montiel, che sbaglia e lascia in vita le ultime fievoli speranze romaniste.
L’arbitro, quasi ironicamente, controlla ogni frame e nota che Rui Patricio è partito una frazione di secondo prima dell’impatto tra il piede del terzino argento e il pallone. Un giocatore come Montiel ha deciso una finale di coppa del mondo, figuriamoci se non mette a segno il rigore se gli viene concessa una seconda possibilità…
La seconda volta, infatti, è quella buona.
Il Siviglia è campione dell’Europa League. Per la settima volta.

Un peccato aver visto una finale condizionata da una personalità permalosa e non idonea. Il Siviglia è una grande squadra e probabilmente sarebbe riuscita a vincere anche senza tutte queste macchie. Un peccato per la Roma e per il Siviglia che avrebbe meritato una direzione di gara in grado di valorizzare il proprio gioco.
Ma soprattutto per il Calcio.