Avevo appena attaccato il telefono a mio padre. Abbiamo chiacchierato del più e del meno e alla fine come al solito siamo finiti a parlare di calcio. Ero vicino a un fiume. Splendeva timidamente in cielo un pallido sole primaverile. Le tipiche giornate dove puoi toglierti la giacca e goderti un po’ di calore. Quelle che ti fanno capire che l’inverno sta finalmente finendo e oltre a scaldare il corpo, scaldano anche il cuore. Dopo qualche minuto di lettura è passato accanto a me un signore anziano che si muoveva lentamente e affidava il suo equilibrio a una bastone. Con la mano libera reggeva una radiolina che sembrava appartenere a un’altra epoca . Una di quelle con l’antenna lunghissima, con la scocca metallica e i tasti belli grandi. Stava sentendo una radiocronaca in diretta. Non sono riuscito a captare che partita fosse. Quello che sono riuscito a capire è che stava giocando la sua squadra del cuore. Grazie alla voce dello speaker ho intuito che il centravanti avesse sbagliato un goal a tu per tu con il portiere. Il signore si è bloccato, ha trattenuto il respiro e una volta appreso l’esito fallimentare della giocata, il volto si è contratto in una smorfia amareggiata.

In quel momento mi sono rispecchiato. Quando la mia squadra sbaglia un' occasione del genere ho esattamente la stessa reazione. Il respiro si ferma, i muscoli si contraggono per poter esplodere di gioia in caso di un eventuale goal, e poi se va male l’espressione sconfortata è identica a quella apparsa sul viso del signore. Riflettendo bene, anche mio papà reagisce così, probabilmente l’ho ereditato da lui. Scavando ancora più a fondo mi sono reso conto che anche mio nonno reagisce così. Allora in quel momento mi sono emozionato. Mi sono reso conto di quanto, seppur spesso snobbato, il calcio sia una parte fondamentale di noi. Uno sport si trasforma in una scusa per sentire tuo nonno che magari è intento a guardare una partita della serie B brasiliana e la vive come se fosse una finale di Champions. Il calcio è una scusa per prendere un caffè con un amico, è un ottimo motivo per organizzare una rimpatriata con gli amici del liceo che non vedi tanto. Siamo tutti impegnati e vedersi sembra quasi utopico. Eppure, per una partita importante alla fine tutti (o quasi) riescono a liberarsi. Almeno una volta al giorno si pensa al pallone. I social ci bombardano di aggiornamenti e notizie e noi avidamente cerchiamo di stare al passo. A volte si trasforma quasi in ossessione e sembra quasi ridicolo farsi condizionare l’umore da qualcosa totalmente distante dal nostro controllo.

Nonostante l’assurdo paradosso ci fa sentire così dannatamente vivi. Forse la tristezza e la rabbia sono soltanto l’altra parte della medaglia della felicità. A volte determinate emozioni siamo portati a cercare di combatterle e respingerle quando forse dovremmo accettarle e basta. Ciò che dovrebbe farci paura è il disinteresse e l’apatia, non la tristezza. Credo che questo valga per tutte le sfumature della vita, non solo per il calcio. Bresh nella sua splendida canzone “Guasto d’amore” dedicata al suo Genoa dice: “Non mi importa di sapere se mi uccidi o mi fai bene o forse non ho il coraggio di capire se conviene”. Se conviene non lo so, ciò di cui sono sicuro è che non potrei stare senza. Forse in fin dei conti ha ragione Bukowski a dire “trova ciò che ami e lascia che ti uccida”.  Probabilmente la sofferenza è inevitabile, tanto vale viverla per amore.

Viva il calcio che ha ancora il potere di emozionare i nonni e i nipotini. Che tiene vive le tradizioni e permette ai papà di creare un legame unico e insegnare valori attraverso lo sport. Sacchi diceva che il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti. Ma forse è molto di più.

 

P.S

Il signore è quello nella foto