Oggi, 31 Agosto 2021, si conclude una delle sessioni di mercato più assurde di sempre, se non la più assurda.
I due calciatori più iconici del calcio moderno cambiano squadra a distanza di pochi giorni. Questo stravolgimento dettato dal mercato non può non ricondurre all’eterno e forse insensato ma inevitabile dibattito Messi-Cristiano Ronaldo. Cr7 è sempre stata una macchina perfetta in grado di vincere ovunque andasse, Leo oltre i numeri, riusciva a mantenere quell’aura leggendaria intrisa da quella purezza che si può guadagnare soltanto con una scelta romantica come quella di elevarsi a bandiera di un solo e unico club. Anzi, Leo non era una bandiera, era LA bandiera.
Messi era riuscito a fondare intorno alla sua figura un ineguagliabile misticismo che va ben al di là di qualsiasi fredda statistica.
L’Argentino e il Portoghese da sempre si sfidano a suon di numeri e statistiche da capogiro, ma Messi aveva quella carta in più: la carta “fedeltà”.
Messi poteva sfoggiare quell’iconografia immortale composta da momenti unici, tutti vissuti con la stessa maglia. Dal paradossale goal di testa dell’olimpico nel 2009 al meraviglioso slalom di Madrid del 2011, fino ad arrivare alla caduta di Boateng per finire con l’iconica maglia numero 10 mostrata nell’odiato Bernabeu e si potrebbe continuare per ore…
La figura di Messi andava oltre il “semplice” discorso tecnico-tattico. Leo era ormai era quasi una figura religiosa. Era l’asta di una bandiera che inneggiava valori e ideali. Forse l’ultima bandiera di un calcio romantico che ormai siamo tristemente sicuri non esistere più. Parigi sembra aver spezzato quest’asta, solo apparentemente solida, che non solo si erigeva su Barcellona ma sull’intero panorama calcistico internazionale.

Questo pezzo non vuole fomentare la disputa tra il 10 e il 7. Ognuno parte prevenuto con la propria tesi istintiva che cerca di far collimare con una “logica” matematica basata su statistiche molto solide in entrambi i casi. Si possono paragonare il numero di goal, di assist, le incidenze tattiche e persino paragonare palloni d’oro e tutto quelle che ne scaturisce, ma il punto non è e non vuole essere questo.
Il fatto è che ad “oggi” Leo e Cristiano sono più uguali di “ieri”.
Messi ha perso la possibilità di iscriversi a quel prestigioso albo composto dai “one club man”. Una lista sempre più elitaria alla quale appartengono giocatori come Scholes, Giggs, Maldini, Baresi, Del Piero, Totti, De Rossi e pochi altri. Il calcio moderno sta dimostrando che appartenere a questa élite è sempre più difficile se non impossibile.
La sete di vittoria (e di soldi) di Messi è assolutamente comprensibile e rispettabile, ma questo punto ci si pone davanti ad un interrogativo: vale la pena scambiare denaro e la vittoria (ipotetica) di 1/2 Champions in cambio della gloria eterna?
Vale la pena macchiare quella purezza assoluta per cui tanto ha dovuto combattere?
La risposta di Ronaldo è una scelta che sotto questo punto di vista gli permette di guadagnare terreno.
Il Portoghese avrebbe potuto scegliere il City, un club ricco in grado di garantirgli lo stesso stipendio percepito a Torino ma soprattutto una probabilità più ampia e concreta di continuare a toccare metallo.
CR7 ha accettato la più romantica delle sfide tornando a casa.
Ronaldo sa perfettamente di essere arrivato in un club gerarchicamente un passo indietro rispetto alle proprie rivali, sia In Premier che in Champions. Cristiano però è perfettamente conscio che un trofeo vinto da sfavorito a casa sua, sarebbe la chiusura perfetto del cerchio disegnato dalla sua carriera.

Queste due scelte sono due decisioni paradigmatiche della carriera di questi due fuori classe. Rispecchiano alla perfezione le rispettive “mancanze” di entrambi.
L’insaziabile voglia di vincere e di affermazione di Messi al di fuori della Spagna lo ha condotto nella squadra più attrezzata del mondo per vincere.
La “necessità” di credibilità umana di Ronaldo lo (ri)porta a casa.
Si ha come l’impressione che nella fase finale della carriera cerchino entrambi di ottenere quello che non hanno mai avuto.
Viviamo in un calcio che si nutre di quella dopamina breve e frivola rilasciata dai social e che vive sempre meno dalle emozioni regalate dal campo.
Le emozioni più belle che il campo possa regalare hanno bisogno di tempo e pazienza; valori che stanno scomparendo sempre più velocemente.
Che piaccia o meno i club si sono convertiti in aziende e i calciatori in contenuti.

Questo richiede la nuova economia calcistica, che è finanziata dai “tifosi”. Un’ azienda per sopravvivere ha bisogno del continuo lancio di contenuti, per questo è diventato molto più facile acquistare un giocatore piuttosto che pianificare un progetto.