La Lega Pro è, ad oggi, solo formalmente l'ultima appendice del calcio professionistico italiano. Già, perché a dispetto del nome, che include al suo interno la definizione di professionismo, nella realtà dei fatti poco ha a che fare con le altre categorie del settore. Serie A e B sono avanti anni luce a livello organizzativo ed economico, pur essendo anch'esse in una situazione del tutto anacronistica rispetto al movimento europeo. Il calcio italiano sta cercando di combattere una guerra su due fronti: uno esterno, contro il resto del mondo; ed uno interno, contro la mentalità, la cultura e l'impostazione radicatasi negli anni. L'obiettivo dei grandi club è quello di rimettere in moto il prima possibile il motore economico del nostro calcio, che è ingolfato da anni, per rendere il prodotto appetibile anche all'estero e per ridare così nuova linfa alle società italiane, che sono costrette a pagare un gap importante con le concorrenti straniere. Il problema fondamentale, però, è che al nostro calcio serve una rivoluzione radicale, che sia in grado di stravolgere lo status quo fin dalle fondamenta. Combattere sul fronte esterno significa lottare per la forma, piuttosto che per la sostanza; i problemi del nostro movimento sono di tipo strutturale, ed il sistema deve essere rivisto a partire dalle serie inferiori, non certo dalla cima. La Lega Pro rappresenta ad oggi uno dei problemi principali del nostro calcio. Tante società, sicuramente troppe, si immettono in un campionato (formalmente) professionistico, pur essendo incapaci nella pratica di affrontare il salto dai campionati dilettantistici. Ecco perché la prima revisione andrebbe fatta dal punto di vista numerico. È chiaro che allargare lo spettro partecipativo ad un numero di squadre elevatissimo, sessanta nella stagione in corso, aumenta il rischio che possano entrare nel calcio professionistico anche società del tutto inadatte dal punto di visto societario ed economico. Il professionismo richiederebbe, per sua stessa definizione, un'impostazione seria ed efficiente, oltre che estremamente qualificata. Questo, però, non può accadere se il campionato apre le sue porte ad un numero troppo vasto di squadre poiché, in questo modo, si perde la natura elitaria intrinseca del professionismo. La riduzione del numero di partecipanti, infatti, potrebbe rappresentare un ritorno alla qualità, prima di tutto gestionale, che è ciò di cui ha bisogno una realtà calcistica per poter essere di successo. È inoltre chiaro che aumentare la competitività media dei club porti innegabili benefici economici, come ampiamente dimostrato dalla Premier League, campionato capace di quintuplicare il proprio fatturato aumentando il livello medio di tutte le squadre. La seconda questione da affrontare è quella della appetibilità del prodotto, che va di pari passo con il numero delle squadre partecipanti. Un campionato così vasto conterà, per forza di cose, al suo interno, squadre inadatte e poco competitive, che finiranno per rendere meno interessante il torneo agli occhi di un potenziale fruitore. Per migliorare la qualità del prodotto offerto bisogna renderlo più qualitativo, oltre che più mediatico. E qui torna attuale, oltre al taglio del numero di squadre, l'inserimento delle squadre B dei grandi club di Serie A. Realtà importanti come Inter, Milan e Juventus potrebbero dare lustro al campionato di Lega Pro, che diventerebbe la vetrina del calcio giovanile. Questa formula creerebbe fascino attorno allo svolgimento del campionato, non solo all'interno dei confini nazionali, che potrebbe anche diventare la fucina di giovani italiani che tanti desiderano. Appare evidente, infatti, l'assoluta inadeguatezza del campionato primavera, che non rappresenta un reale banco di prova per i talenti di domani. La Lega Pro, al contrario, potrebbe essere un test più credibile per i campioni in erba, che non sarebbero così costretti a vivere anche la penalizzante trafila dei prestiti, che rappresenta ad oggi il normale percorso del 90% delle giovani promesse. L'ultimo punto, e più importante, ha carattere normativo. Appare evidente come la legislazione attuale sia del tutto inadeguata ad un campionato di stampo professionistico. La base di ogni torneo, così come di ogni stato, di successo sta nella regolamentazione interna. I tanti scandali, di varia natura, che hanno rappresentato una consuetudine negli ultimi anni, dovrebbero essere, al contrario, spiacevoli eccezioni. E proprio qui si inserisce la necessità di fissare paletti di natura normativa molto più rigidi per le società che dovrebbero rappresentare il professionismo. Una formulazione più restrittiva, con sanzioni pesanti e controlli asfissianti, dal punto di vista economico e gestionale rappresenterebbe il trampolino verso un futuro autosostenibile. Per poter operare una riforma di questa portata, però, sarebbe necessario un cambio di mentalità importante, che vada a rivedere la cultura calcistica italiana dalle radici. Proseguire sul sentiero tracciato decine di anni fa è controproducente, come dimostrano i risultati. Casi come quello del Pisa o del Parma, per citare una realtà di livello internazionale, oltre a quelli del calcio-scommesse, sono assolutamente inconcepibili per una nazione che vuole tornare ad essere leader mondiale di questo settore. L'impostazione di fondo del nostro calcio è sbagliata; poggiata su pilastri ormai desueti ed inconciliabili con l'evoluzione dettata dal nuovo che avanza. La Lega Pro deve essere solo il primo step di un cambiamento che dovrà coinvolgere tutte le realtà professionistiche. Continuare su un percorso evidentemente sbagliato è anti-strategico, e non fa altro che zavorrare la crescita potenziale di una nazione con risorse pressoché infinite. Cambiare non è semplice, ma risulta necessario. Questo è il momento di attuare una riforma importante per tornare ad essere competitivi ai massimi livelli. Partendo dalle basi, per poter costruire con ambizione e solidità. Il professionismo deve essere un'élite all'interno della quale possano entrare solo realtà meritevoli. È il momento di cambiare, per il bene del calcio e per il bene dell'Italia.