Il calcio Italiano, inarrivabile per chiunque appena 10 anni fa, è inesorabilmente decaduto nel tempo di un battito di ciglia. Un tempo le sette sorelle si contendevano: il campionato, le coppe europee e i migliori giocatori del mondo; la situazione oggi è totalmente diversa. Le società italiane, che hanno agito con una certa leggerezza economica, pagano dazio per le scelte sbagliate del passato. Quando la crisi non era nemmeno un pensiero, i grandi magnati italiani investivano fior di miliardi nei club, senza prestare troppa attenzione ai bilanci o all'espansione dei mercati. L'esportazione del brand non era vista come una necessità, ma piuttosto come una fisiologica conseguenza dei trionfi. La figura del presidente-tifoso, da Moratti a Sensi passando per Agnelli e Berlusconi, ha, certo, portato il calcio italiano sul tetto del mondo, ma ha anche indirizzato i nostri club verso un tetro futuro, che oggi è il presente in cui noi viviamo.
La Serie A, nei suoi anni d'oro, non ha mai visto nell'esportazione del prodotto un punto da inseguire con forza; tutti i mercati emergenti sono stati quasi ignorati; questo ha portato ad un progressivo impoverimento rispetto a quei campionati che, invece, sui diritti TV hanno costruito le proprio fortune, Premier League in testa. Non solo le leghe, ma anche i club inglesi già da anni hanno aperto ai mercati esteri, specialmente asiatici. Emblematico è il caso del Manchester United che da oltre dieci anni sta investendo per valorizzare il brand all'estero. I ricavi di merchandising dei Red Devils sono astronomici; la campagna di "conquista" è iniziata già da tempo con tournée e partecipazione ad eventi asiatici. Ecco perché lo United, a prescindere dai risultati, risulta sempre essere una delle tre squadre più tifate al mondo. E si spiega in quest'ottica di marketing come sia possibile che Adidas abbia formalizzato una proposta, accettata, da oltre un miliardo per sponsorizzare questo team. Sulla falsa riga del modello United sta provando, ora, ad agire l'Inter di Erik Thohir. L'Indonesiano ha posto come obiettivo inderogabile la valorizzazione all'estero del brand. Difficile però percorrere una strada che già altri hanno intrapreso con anni e anni di anticipo. I tifosi, ormai consolidati, difficilmente cambieranno la propria fede; però il tentativo è giusto ed ha comunque portato i nerazzurri ad aumentare il fatturato nel giro di pochissimi anni.
L'avvento dei grandi magnati esteri può essere solo un bene per un calcio ormai povero, alla corda. Un calcio che è rimasto confinato nella sua provincialità e non si è aperto per tempo alle nuove frontiere. Gli errori nella gestione del prodotto "calcio italiano" si stanno pagando ora, sul lungo periodo. La crisi che sta vivendo la serie A è profonda. Difficile poterla superare se alla guida ci sono le stesse persone che ce l'hanno trascinata dentro; in quest'ottica sono manna dal cielo i Pallotta, i Thohir e tutti gli investitori esteri che possono portare freschezza di idee in un panorama arroccato su preconcetti ormai desueti. La dirigenza delle squadre deve essere una giusta miscela in grado di adattarsi a qualunque situazione e leggere in anticipo possibilità potenzialmente vantaggiose, non solo nel breve, ma anche nel lungo periodo.
A prescindere, dunque, dalla pur utile immissione di capitali, è la nuova mentalità che possono portare i grandi investitori stranieri che potrà fare la differenza. Il calcio italiano resterà sempre l'università del calcio; la scuola della tattica. Ma i tempi cambiano, e bisogna avere la giusta elasticità mentale per adattarsi, per saper innovare e non restare fermi sulle proprie posizioni, credendo di poter sempre guardare il mondo dall'alto. Questo è un problema di mentalità che affligge tanto il calcio quanto la società e sta trascinando negli abissi un paese che avrebbe le risorse e le personalità per essere leader nel mondo. Bisogna solo capire che non si può restare fermi mentre tutto va.. Πάντα ρεί.
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