Ci sono squadre che restano nella memoria di tutti per aver infranto decine di  record, altre perchè composte da uomini fuori dal comune che hanno scritto pagine indelebili del mondo del calcio.
Una di queste è il Grande Torino, una delle formazioni più forti che questo sport abbia mai visto  e al contempo una delle più vincenti del panorama calcistico italiano, strappata alla vita troppo presto a causa della tragedia aerea di Superga. 

La nostra storia comincia nel lontano 1939, quando  l'industriale Ferruccio Novo subentra alla guida dei granata prendendo il posto del presidente Giovanbattista Cuniberti e subito procedette con la riorganizazzione della società sul piano sportivo e imprenditoriale seguendo il modello di Edoardo Agnelli, presidente della Juventus e su consiglio di uno dei suoi collaboratori, Novo si circondò di esperti del settore e di ex giocatori con esperienza dirigenziali come Antonio Janni,  Mario Sperone e Giacinto Ellena, mentre il ruolo di responsabile delle giovanili andò a Ernest Erbstein (che fu costretto a collaborare a lungo in gran segreto a causa delle leggi razziali che entreranno in vigore da li a poco).

Propio grazie a Janni il Torino fece il suo primissimo grande colpo, prelevando dal Varese il diciottenne attaccante Salvatore Ossola, che si metterà in luce a partire dall'anno successivo realizzando 15 reti  in 22 presenze nel campionato, portando il Toro a concludere la competizione a meno nove dal Bologna campione d'Italia. 

I buoni risultati ottenuti spinsero Novo ad investire, così, alle porte del campionato 41/42, arrivarono l'ala campione del mondo 1938 Ferraris II dall'Ambrosiana (società antenata dell'Inter ), Romeo Menti dalla Fiorentina e il terzetto Bodoira, Borel e Gabetto dai cugini della Juventus, ma nonostante ciò i piemontesi non riuscirono a vincere lo scudetto a favore della Roma grazie alle due sconfitte con il Venezia di Valentino Mazzola ed Ezio Loik, future stelle della squadra granata.

Mazzola e Loik  vennero infatti acquistati dal Torino nel mercato successivo, insieme al mediano Giuseppe Grezar prelevato dalla Triestina  facente parte della nazionale di Vittorio Pozzo e tutti e tre formarono la spina dorsale della formazione che da allora in poi sarebbe stata ricordata con il nome di "Grande Torino".
All'inizio della  nuova stagione  al tecnico ugherese Kuttik venne consegnata una squadra di tutto rispetto che comprendeva al suo interno giocatori come Bodoira, Cavalli, Cassano,  Piacentini, Baldi e Gallea, mentre in attacco oltre a Mazzola erano rimasti anche Ossola, Menti, Ferraris e Gabetto.

Seguirono anni in cui il Torino dominò in lungo e in largo il campionato fino alla partita Benfica-Torino, amichevole voluta dal  capitano dei lusitani Francisco "Chico" Ferreira, il quale incontrò Mazzola in occasione di una partita fra le rispettive selezioni a novembre di quell'anno  (terminata 4 a 1 per gli azzurri ),  e la partita fra i granata e i portoghesi disputatasi il 3 maggio 1949 allo Stadio Nazionale di Lisbona, terminò sul punteggio di 4 a 3 per le aquile luitane.

Ma la tragedia era lì dietro l'angolo: infatti, di rientro dalla capitale portoghese, l'aereo che trasportava tutta la squadra granata e alcuni giornalisti si schiantò contro i muri di sostegno della Basilica di Superga, provocando la morte di tutta la squadra.
Non appena saputa la notizia il presidente della Federcalcio Ottorino Barassi, in accordo con le altre squadre, decise di proclamare il Torino campione d'Italia, in segno di rispetto per onorare i caduti di Superga.

Onore al Grande Torino, che il vostro esempio viva per sempre.