Tutti gli uomini del presidente?
“Vedrai che se ne va” 
“Ci risiamo, altra fregatura stile Donnarumma e Calhanoglu”
“Se perdiamo anche Kessié a zero, la frittata è fatta”

Noi rossoneri abbiamo i gruppi whatsapp intasati da questo genere di messaggi, perché dobbiamo essere onesti ed ammettere che i casi degli addi a zero euro si stanno portando dietro uno strascico importante di paure ed insicurezze, sentimenti che da sempre sono il terreno perfetto per chiacchiere da bar e mormorii risentiti. Frank Kessié - il Presidente - va in scadenza di contratto l'anno prossimo e la sua partecipazione ai giochi olimpici come fuori quota ha momentaneamente bloccato i discorsi a proposito del rinnovo, lasciando i milanisti a cuocere nel proprio brodo. Un brodo a temperatura decisamente sgradevole, alimentata com’è dalle fiamme della cronaca sportiva.

I più attenti avranno forse notato che in coda al titolo dell’articolo, come sempre ispirato ad un film, si trova un punto interrogativo che non dovrebbe esserci. Il motivo è presto detto. Se avete avuto modo di vedere questo capolavoro di pellicola, forse ricorderete che narra la storia (vera) dei due giornalisti Carl Bernstein e Bob Woodward - rispettivamente Dustin Hoffman e Robert Redford per l’occasione - i quali portarono avanti una complessa indagine politica dopo che cinque uomini, la sera del 17 giugno 1972, furono pizzicati all’interno della sede del partito democratico a Washington, nel palazzo Watergate. Sospettando che questo episodio fosse legato alla campagna elettorale dell’allora presidente Nixon i nostri misero in piedi un’inchiesta che li portò alla scoperta del discutibile modus operandi del CREEP, acronimo che nulla ha a che vedere con l’omonimo pezzo dei Radiohead, ovvero il comitato repubblicano per la rielezione di Richard Nixon. Tra una cosa e l’altra, i cronisti d’assalto ci hanno messo un po’ a venire a capo della faccenda e per inciso ci sono riusciti solo grazie all’aiuto di “gola profonda”, un misterioso informatore anonimo del quale si sa solo che lavorava al Washington Post. A meno di clamorosi ed al momento impronosticabili ricorsi storici, però, hanno avuto ragione a perseverare, giacché il nel frattanto rieletto Nixon ammise de facto le proprie colpe, dimettendosi prima che venisse formalmente avviata nei suoi confronti la procedura di impeachment proprio sulla base dei fatti portati alla luce dall’inchiesta. 
Nel film di Pakula il titolo, citando una parte della filastrocca dell’Humpty Dumpty di Mamma Oca, vuole indicare la fitta e non troppo raccomandabile rete di persone che lavorava per Richard Nixon. Una rete atta a proteggerlo, a fargli ottenere un secondo mandato ed a manipolare tutto ciò che deve essere raccontato in modo un po’ diverso, per rimanere (noi) sul politically correct… Ma quella intorno a Frank Kessié assolve a questo scopo? È cronaca e soprattutto polemica recente: i procuratori e tutto quel che gravita loro attorno fanno il bene dell’assistito? 

Dovete avere pazienza e fare un passo indietro insieme a me. La figura del procuratore sportivo non è sempre esistita. Come tutte le cose, è nata per soddisfare un bisogno che a sua volta si era sviluppato nel corso degli anni. Quando fare il calciatore è diventato una professione remunerativa e gli interessi economici in gioco hanno assunto dimensioni ragguardevoli, si è reso necessario avere al proprio fianco una persona competente in materia. A quanto pare, il primo esempio concreto della faccenda lo dobbiamo niente meno che a Johan Cruijff, e lasciatemi dire che non è la parte della sua eredità che preferisco. 

Era il 1968 e la dirigenza dell’Ajax, nel giorno fissato per la trattativa di rinnovo del contratto del gioiellino del Watergraafsmeer, si ritrovò di fianco al giovane Johan quello che di lì a poco ne sarebbe divenuto il suocero: Cor Coster. Di lui, dicono, era il classico uomo che si è fatto da solo. Importava orologi dalla vicina Svizzera nascondendoli nel serbatoio dell’auto per poi rivenderli nei bar ed al mercato delle pulci Waterlooplein e partendo da lì ha fatto fortuna, incarnando alla perfezione l’archetipo del mercante olandese. Uno dei suoi più grandi meriti, però, deve come minimo condividerlo al cinquanta per cento con la moglie, la quale ha dato alla luce Diana Margaretha, meglio nota come Danny e futura signora Cruijff. È grazie a lei - o meglio grazie al fatto che Johann se ne fosse innamorato - che ha potuto indottrinare il futuro genero sui concetti economici, inventandosi le interviste a pagamento, il pacchetto di dichiarazioni esclusive per il De Telegraaf a fine partita e, più in generale, il concetto di diritto d’immagine legato all’atleta.
Arrivati a questo punto, ci si potrebbe semplicisticamente limitare ad addossare loro la colpa del “calcio moderno” e delle commissioni monstre, ma personalmente ritengo che sarebbe sbagliato. Nel suo libro, il 14 se ce n’è uno, dice a proposito di Cor: “…fu la mia guida nella società. Il valore più importante che mi ha trasmesso è stata la dignità. Sapeva che educarmi in un certo senso faceva parte dei suoi compiti. I calciatori famosi vivono davvero in un mondo parallelo dove tutto è anormale - lo stipendio, l’interesse dei media - ed i procuratori devono evitare che i loro assistiti perdano il senso della realtà. È un rischio che con gli anni si è fatto ancora più alto, anche per colpa dei social media. Molti calciatori raccontano di avere migliaia di followers, ma loro chi seguono? Nessuno.” Ecco, io trovo che vi sia stato un progressivo discostamento tra la figura descritta in queste righe e quella cui siamo oggi abituati. 
Anche a voler concedere il massimo credito a tutto il bene che Zlatan Ibrahimovic scrive di Raiola nel suo primo libro, mi riesce difficile affermare che i milionari trasferimenti cui l’istrionico procuratore ci ha abituato nei mesi estivi siano state le scelte migliori per i suoi ragazzi. Mino è stato un bene per Zlatan, ok, ma lo è stato per Balotelli? Lo è stato per Pogba? Per Kean, per Verratti, per Hamsik, Areola… Lo sarà stato per De Ligt? Lo sarà per Donnarumma? Può realmente e fattivamente esserlo per tutti questi soggetti? 

Aspettatevi un prossimo capitolo che approfondirà la questione sul canovaccio di Jerry Maguire e torniamo al protagonista di questo articolo: Frank Kessié. O George Atangana? 

Il presidente, dal buen retiro della Costa d’Avorio a Tokyo, ha avuto parole al miele che hanno mandato in brodo di giuggiole i supporters rossoneri: Voglio il Milan, solo il Milan... Capisco i tifosi, ma devono stare tranquilli. Io mantengo sempre la parola, dovrebbero conoscermi. Adesso sono qui a Tokyo per ottenere qualcosa d’importante con il mio Paese, ma appena finita l’Olimpiade torno a Milano e sistemiamo tutto. Non ci saranno problemi. Presto, molto presto. Ma non troppo: voglio andare avanti il più possibile nel torneo olimpico. Al termine, il Milan mi avrà per tutto il tempo che vorrà...".
Tutti noi speriamo che alle parole seguano i fatti (onestamente mi stupirebbe non poco il contrario), ma non avrebbero almeno dovuto essere sufficienti per soffocare definitivamente le voci che impazzavano intorno all’argomento? A quanto pare no, visto che il carrozzone mediatico non ha neanche pensato a fermarsi. Se non l’ha fatto è perché tra gli “uomini del Presidente” con il punto interrogativo in fondo, si annoverano anche i giornalisti… 
Ho letto con dispiacere le righe di Stefano Agresti proprio su Calciomercato.com, nelle quali si sottolineava come le parole dell’ivoriano avessero indebolito non di poco la posizione contrattuale del suo entourage nella futura trattativa con il Milan. Le ho lette con dispiacere perché certificano il discostamento che ho rilevato poco sopra. Può darsi che il bene del calciatore non sia avere un milione in più sul conto in banca, ma vivere e lavorare nell’ambiente per lui ideale ed i procuratori dovrebbero dare maggiore peso a questo aspetto. Purtroppo questa particolare tipologia di felicità mal si traduce in un valore economico e, sfortuna nella sfortuna, quello economico è l’unico valore cui un procuratore sportivo possa materialmente partecipare. Quindi delle due l’una: o il procuratore in questione è un onesto galantuomo che si preoccupa di massimizzare il profitto del calciatore tenendo nella giusta considerazione anche gli altri aspetti della sua vita privata e sportiva, oppure questa vita diventa una moneta svalutata e facilmente sacrificabile sull’altare del dio ingaggio. Tutto ciò rispecchia l’iniziale idea di Cruijff e Cor? Io non credo.

Concludo con un appello: facciamo un po’ meno chiasso intorno a queste trattative, perché siamo parte del problema. Cerchiamo di essere gli uomini del presidente, conferendogli una connotazione positiva. Non un CREEP ma un C.R.E.P.A. (Comitato per il Recupero degli Elfi Poveri ed Abbrutiti) di Rowlingiana memoria.